Rivista Corporate Governance ISSN 2724-1068 / EISSN 2784-8647
G. Giappichelli Editore

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La dimensione dell'impresa e il Codice di Corporate Gover­nance (di Oreste Cagnasso, Professore emerito di Diritto commerciale presso l’Università di Torino)


lo scritto analizza le raccomandazioni contenute nel Codice di Corporate Governance rispetto alle quali assume rilevanza la dimensione dell’impresa. L’esame offre l’occasione per un confronto con altre norme collegate alle dimensioni dell’impresa e per l’illustrazione di alcuni indici relativi ad esse e di alcune tecniche di differenziazione della disciplina in funzione appunto della dimensione dell’impresa.

The enterprise dimension and the Code of Corporate Gover­nance

The analysis offers the occasion to set up a comparison with the other legal provisions related to company dimensions. It will also illustrate some indexes related to company dimensions and some techniques to differentiate the discipline on the basis, indeed, of the company dimensions.

Keywords: judicially based scrutiny – annual statement of accounts – adequate assets – corporate governance – Italian Insolvency Code

SOMMARIO:

1. La rilevanza della dimensione dell’impresa nel nuovo Codice di Corporate Governance - 2. Dimensione dell’impresa e predisposizione degli assetti adeguati - 2.2. Misure e assetti - 2.3. L’ambito delle misure - 2.4. L’area di applicabilità - 2.5. L’ambito del sindacato giudiziario - 3. Dimensione dell’impresa e disciplina del bilancio d’esercizio - 3.2. I principi generali - 4. Dimensione dell’impresa e disciplina della s.r.l. - 5. Indici relativi alla dimensione dell’impresa - 6. Tecniche di differenziazione della disciplina in funzione della dimensione dell’impresa - NOTE


1. La rilevanza della dimensione dell’impresa nel nuovo Codice di Corporate Governance

Come è noto, il Codice di Corporate Governance adottato nel gennaio 2020 si rivolge alle società con azioni quotate sul Mercato Telematico Azionario gestito da Borsa Italiana: ciascun articolo è suddiviso in principi, che definiscono gli obiettivi di una buona governance, e in raccomandazioni, che indicano i comportamenti ritenuti adeguati a realizzarli. Il Codice si ispira ai principi di flessibilità e proporzionalità: in particolare le raccomandazioni sono graduate tenuto conto della dimensione dell’impresa sociale e in certi casi degli assetti proprietari. Sotto il primo profilo le società a cui si rivolge il Codice sono distinte in grandi e diverse dalle grandi: il parametro utilizzato per tale contrapposizione è l’ammon­tare della capitalizzazione. È definita società grande quella la cui capitalizzazione è stata superiore a un miliardo di euro l’ultimo giorno di mercato aperto di ciascuno dei tre anni solari precedenti. In relazione agli assetti proprietari vengono in considerazione le società a proprietà concentrata, in cui uno o più soci che partecipano a un patto parasociale di voto dispongono, direttamente o indirettamente, della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria. La tecnica utilizzata per graduare le raccomandazioni consiste a volte nell’intro­durre indicazioni peculiari per le società di grandi dimensioni, a volte nel semplificare le regole nel caso in cui si tratti di società diverse da quelle grandi. Un primo profilo di rilevanza della dimensione dell’impresa sociale è quello relativo alla composizione degli organi sociali e in particolare al numero degli amministratori indipendenti ed al numero ed alle modalità delle loro riunioni. Secondo la Raccomandazione di carattere generale (art. 2, Raccomandazione n. 5) debbono essere nominati almeno due amministratori indipendenti (diversi dal pre­sidente). Per quanto concerne invece le società grandi vengono distinte quelle a proprietà concentrata rispetto alle società che non hanno tale carattere: nel primo caso gli am­ministratori indipendenti debbono costituire almeno un terzo dell’organo di ammini­strazione; nell’altro almeno la metà. Nelle società grandi gli amministratori indipendenti si riuniscono con cadenza [continua ..]


2. Dimensione dell’impresa e predisposizione degli assetti adeguati

2.1. L’art. 3 del Codice della Crisi e l’art. 2086, comma 2, c.c. Successivamente alle norme di apertura del Codice della Crisi relative all’ambito di applicazione e dalle definizioni, l’articolo 3, inserito nel capo dedicato ai principi generali, indica i doveri del debitore. In realtà, al di là della rubrica, la norma in esame si riferisce esclusivamente agli imprenditori, e, più precisamente, a quelli individuali ed a quelli collettivi. Il richiamo generico al debitore trova forse una giustificazione dal momento che l’ambito di applicazione del Codice vale in ge­nere per il debitore, sia esso consumatore o professionista, ovvero imprenditore che eserciti, anche non a fini di lucro, un’attività commerciale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica, o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dello Stato e degli enti pubblici. Così dispone il comma 1 dell’art. 1 del Codice. Inoltre, il richiamo nella rubrica dell’art. 3 al debitore in genere probabilmente si collega al Progetto Rordorf, che conteneva un ulteriore comma dedicato appunto ai doveri del debitore, senza alcuna specificazione. Nel testo attuale del Codice tale comma è stato soppresso, ma la rubrica è rimasta invariata. Come si diceva, i due commi che costituiscono l’art. 3 si riferiscono rispettivamente all’imprenditore individuale ed a quello collettivo e prevedono regole di fondamentale rilievo concernenti l’organizzazione dell’impresa. Confrontando i due commi è facile constatare un parallelismo: l’imprenditore in­dividuale deve adottare misure idonee; quello collettivo un assetto organizzativo ade­guato ai sensi dell’art. 2086 c.c.; le misure devono essere idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e così l’assetto deve essere adeguato ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi; le misure inoltre devono essere idonee ad assu­mere senza indugio le iniziative necessarie a far fronte allo stato di crisi e così pure l’assetto deve essere adeguato ai fini dell’assunzione di idonee iniziative. Al di là dell’evidente parallelismo tra i due commi occorre tuttavia tener conto che la disciplina relativa agli imprenditori collettivi è integrata dal rinvio al comma 2 dell’art. 2086 c.c. [continua ..]


2.2. Misure e assetti

Prima di porre a confronto misure e assetti pare necessario verificare se il principio di proporzionalità previsto nel comma 2 dell’art. 2086 c.c., con riferimento agli assetti, valga anche per le misure. La risposta pare ovvia, dal momento che il riferimento alla natura e alle dimensioni dell’impresa non può che essere espressione di un principio generale. Come è stato osservato dalla dottrina, misure e assetti costituiscono categorie omogenee, riferendosi in ogni caso alle modalità organizzative dell’impresa. Infatti gli uni e gli altri devono essere idonei a monitorare la situazione economica e finanziaria e tali da consentire una rilevazione tempestiva della crisi e l’attivazione per fronteggiarla. Come si è già ricordato, l’art. 2086, comma 2, c.c. si riferisce alla crisi e alla continuità aziendale, mentre il comma 1 dell’art. 3 CCII alla sola crisi, tuttavia non pare che ciò determini una differenza sostanziale. Occorre aggiungere che sussiste uno stretto legame “tra le finalità delle procedure d’allerta e composizione assistita della crisi e il dovere di istituire adeguati assetti organizzativi dell’impresa” [1]. Essendo le prime utilizzabili sia dagli imprenditori individuali, sia da quelli collettivi, appare logico che misure ed assetti abbiano carattere omogeneo. In altre parole, tenuto conto delle finalità e della rilevanza all’interno delle procedure concorsuali, misure e assetti sembrano da collocare sullo stesso piano. D’altra parte il principio di proporzionalità consente di rapportare le misure alle esigenze e alle caratteristiche dell’imprenditore individuale.


2.3. L’ambito delle misure

Sia la predisposizione delle misure sia quella degli assetti costituiscono l’oggetto di un obbligo specifico, anche se a contenuto indeterminato. Tuttavia il profilo problematico, e che vede opinioni diverse in dottrina, concerne l’ambito delle misure. Sotto il profilo letterale, mentre il legislatore estende gli assetti all’area organizzativa, amministrativa e contabile, le misure sono esclusivamente riferite alla rilevazione della crisi e all’attivazione in presenza della stessa. Prendendo le mosse dal lato letterale una parte della dottrina ha ritenuto che l’area a cui si riferiscono le misure sia più circoscritta rispetto a quella concernente gli assetti: tale conclusione troverebbe giustificazione nell’intento del legislatore di non aggravare la posizione del­l’imprenditore individuale così da non creare per quest’ultimo un obbligo troppo gravoso [2]. Secondo una differente opinione misure e assetti riguarderebbero sostanzialmente la stessa area: pertanto anche le misure dovrebbero essere organizzative, amministrative e contabili. Tale conclusione, a mio avviso, sembra preferibile: in primo luogo. l’intento del legislatore pare essere quello di imporre a tutti gli imprenditori regole organizzative; in secondo luogo, è difficile scindere i vari aspetti, nel senso che misure dirette alla prevenzione della crisi non possono che ricomprendere, oltre all’area della contabilità, anche i restanti ambiti, che rappresentano sostanzialmente un tutt’uno nella vita dell’impresa. Inoltre l’esigenza, certamente avvertita dal legislatore e certamente da valorizzare, di “alleggerire” la posizione dell’imprenditore individuale può essere raggiunta applicando il principio di proporzionalità: si tratta infatti in ogni caso di misure che debbono tenere conto della natura e delle dimensioni dell’impresa.


2.4. L’area di applicabilità

Ritenendo che le regole di organizzazione per l’imprenditore individuale e per quello collettivo siano omogenee, con applicazione per entrambe del principio di proporzionalità, non sorgono particolari problemi in ordine all’area di applicabilità. Se, per contro, si ritiene che il contenuto delle misure sia più circoscritto rispetto a quello degli assetti, si può porre il dubbio in ordine alla razionalità del sistema: in effetti la differenza di disciplina dovrebbe essere collegata non alle modalità di esercizio dell’impresa, individuale o collettiva, ma alle sue dimensioni. In tale prospettiva si è osservato [3], al fine di razionalizzare il sistema, che la regola degli assetti dovrebbe trovare applicazione anche per le imprese individuali di maggiori dimensioni e non venire in considerazione in caso di imprese collettive di modeste dimensioni. In ogni modo, a mio avviso, la regola, o le regole, di organizzazione previste dall’art. 3 devono trovare attuazione, con riferimento a tutti gli imprenditori, qualunque sia la loro attività e qualunque sia la loro dimensione: infatti si tratta di un connotato tipico dell’imprenditore, espressamente previsto nella definizione contenuta nell’art. 2082 c.c.


2.5. L’ambito del sindacato giudiziario

La predisposizione di misure o di assetti costituisce un obbligo a contenuto generico, così come la loro adeguatezza rappresenta una clausola generale, da valutare caso per caso, che rinvia ad altri ordinamenti e, in particolare, alle discipline aziendalistiche [4]. Pertanto anche con riferimento alle misure adeguate si pone il problema, ampia­mente discusso in dottrina, dell’ambito del sindacato giudiziario: in altre parole, se il giudice possa valutare l’adeguatezza delle misure o degli assetti, oppure se, anche per tale obbligo, valga la regola, della business judgment rule. E quindi il sindacato del giudice debba essere limitato al difetto d’istruttoria, alla presenza di conflitti di interessi, o ad una predisposizione di regole organizzative (manifestamente) irrazio­nali. In ogni caso non pare dubbio che sussista un ambito, anche ampio, di discrezionalità tecnica nella predisposizione degli assetti e quindi nell’individuazione di regole organizzative per i vari settori dell’attività di impresa adeguate al singolo caso, tenuto conto della natura dell’attività svolta, delle dimensioni e di ogni altra circostanza peculiare. Secondo un’opinione dottrinale [5], accolta anche dalla giurisprudenza [6], non potrebbe operarsi un controllo da parte del giudice con riferimento ad una sfera di così ampia discrezionalità, non essendovi ragione per distinguere sotto questo profilo le scelte gestionali da quelle organizzative. Come è stato efficacemente osservato, in questa prospettiva il sindacato giudiziario riguarda “eventuali manchevolezze del procedimento che ha dato vita alla decisione e non il contenuto della stessa” [7]. Altra parte della dottrina ritiene per contro che si debba distinguere tra decisioni gestionali e decisioni organizzative e che la regola dell’insindacabilità riguardi solo le seconde e non le prime. Pertanto il giudice deve poter valutare l’adeguatezza delle misure o degli assetti, naturalmente tenuto contro di un’ampia discrezionalità di tipo tecnico nella loro creazione [8]. La regola relativa alla creazione degli assetti adeguati ha un’area di applicazione molto ampia, venendo in considerazione con riferimento agli imprenditori societari e collettivi, nonché, ove si riconducano le misure agli assetti, a tutti gli imprenditori. Si [continua ..]


3. Dimensione dell’impresa e disciplina del bilancio d’esercizio

3.1. Bilancio in forma abbreviata e bilancio delle micro-imprese Come è noto, la direttiva 2013/34 in tema di conti annuali ha avuto attuazione mediante i d.lgs. 18 agosto 2015, n. 139 e n. 136. Il primo riformula in parte l’art. 2435-bis relativo al bilancio in forma abbreviata ed introduce un nuovo articolo 2435-ter concernente il bilancio delle micro-imprese. La fattispecie presa in considerazione ai fini dell’ammissibilità della redazione del bilancio in forma abbreviata è rimasta immutata rispetto al testo precedente. Val­gono quindi i parametri numerici relativi al totale dell’attivo dello stato patrimoniale, ai ricavi delle vendite e delle prestazioni, al numero dei dipendenti occupati in media durante l’esercizio. I riferimenti, rispettivamente a 4.400.000 euro, 8.800.000 euro e 50 unità, individuano, rapportati alle categorie costruite dal legislatore comunitario, piccole imprese di capitali. Oltre agli indici numerici, così come nel precedente testo, viene in considerazione un presupposto di tipo qualitativo e cioè la mancata emissione di titoli negoziati in mercati regolamentati. Ed ancora: il legislatore espressamente prevede che la redazione del bilancio in forma abbreviata costituisca una semplice possibilità per le società a cui la norma in esame risulti applicabile. La peculiare disciplina concerne la possibilità di redigere lo stato patrimoniale, il conto economico e la nota integrativa in forma abbreviata, nonché di omettere la predisposizione della relazione sulla gestione (in presenza di alcune informazioni che dovrebbero essere contenute in essa, inserite per contro nella nota integrativa). Inoltre le società in questione sono esonerate dalla redazione del rendiconto finanziario, introdotto in attuazione della direttiva comunitaria. Lo stato patrimoniale abbreviato, così come nella precedente versione dell’art. 2435-bis, comprende le sole voci contrassegnate con lettere maiuscole e con numeri romane e prevede la possibilità di raggruppamenti di alcune di esse. Analogo discorso vale per il conto economico abbreviato, ove è possibile il raggruppamento di una serie di voci. La nota integrativa abbreviata deve fornire alcune indicazioni, con la possibilità di ometterne altre. Il legislatore nella nuova norma dispone esplicitamente che restano ferme le [continua ..]


3.2. I principi generali

La disciplina del bilancio in forma abbreviata offre un eccellente esempio di nor­ma “transtipica” collegata alle dimensioni dell’impresa. I parametri utilizzati sono di carattere quantitativo. Si colloca in un settore ove, come la legislazione comunitaria dimostra, forte è avvertita, al fine di costruire la relativa disciplina, l’influenza del dato dimensionale dell’impresa. Si tratta di un “abbassamento” del livello del ri­gore delle norme in tema di bilancio, con particolare riferimento alle “quantità” delle informazioni fornite. La ratio è chiaramente quella nella semplificazione, dei minori costi, delle minori necessità di tutela per soci e terzi sotto il profilo dell’in­formazione. La disciplina del bilancio abbreviato contiene, pur ammettendo un abbassamento del livello dell’informazione, un importante correttivo. La deroga – occorre sottolinearlo – si riferisce ad alcune norme che si pongono alla base del sistema informativo del bilancio. Restano pur sempre validi – e non poteva essere altrimenti – i principi che si collocano al vertice del sistema e, in particolare, le clausole generali di chiarezza, verità e correttezza e i principi di redazione del bilancio. Dal momento che le clausole generali hanno, nel sistema delineato dalla direttiva, una funzione integrativa delle regole specifiche, mi pare evidente che la possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata (e in particolare la possibilità di omettere l’indicazione di voci nello stato patrimoniale o del conto economico o di elementi nella nota integrativa) viene meno quando lo esigano i principi generali e, in particolare, la clausola della chiarezza. Le informazioni complementari, di cui all’art. 2423, comma 3, c.c., possono consistere anche nella redazione di un bilancio in forma ordinaria (o di un bilancio con un minor numero di semplificazioni), pur in presenza di una società che non superi le soglie dimensionali sopra illustrate. I principi generali, data la loro funzione, costituiscono quindi un prezioso correttivo ad un eccesso di semplificazioni, che potrebbero compromettere la significatività del bilancio e quindi dell’informazione. Oggi tale conclusione è stata espressamente accolta e sancita dal legislatore, che, come si è osservato, ha introdotto un [continua ..]


4. Dimensione dell’impresa e disciplina della s.r.l.

Come è noto, la riforma societaria ha profondamente modificato la disciplina della s.r.l. contenuta nel codice civile, dando alla stessa un volto nuovo e individuan­do caratteri autonomi rispetto alla società per azioni. Successivamente al 2003 il legislatore è intervenuto più volte sia variando singole regole o interi settori della normativa, sia introducendo figure nuove di s.r.l. La creazione di un tipo societario caratterizzato dal regime di responsabilità limitata, da un’ampia elasticità, da vari profili di semplificazione e dalla valorizzazione della persona dei soci era diretta, nelle prospettive del legislatore della riforma, a fornire agli operatori un modello di normale applicazione per le imprese medio-piccole, così da togliere spazio, da un lato, alle società di persone, confinate nel­l’area delle imprese di piccolissime dimensioni, e, dall’altro, alle società azionarie, destinate a quelle di grandi dimensioni. La possibilità di costituire s.r.l. con un unico socio consente inoltre di utilizzare tale modello anche in luogo dell’esercizio individuale dell’attività di impresa. La nuova disciplina della s.r.l. segna sicuramente una profonda “frattura” rispetto a quella prevista originariamente nel codice civile. D’altra parte, e per converso, rappresenta, in qualche misura, un “ritorno al passato”, collocandosi nel solco dei primi progetti di codice di commercio anteriori al codice civile del 1942 e del disegno riformatore degli anni Sessanta. Sotto questo profilo essa prosegue, con una decisa accelerazione, un lento processo di diversificazione del tipo dalla società per azioni, già in atto ad opera dello stesso legislatore e della dottrina (e in parte anche della giurisprudenza). Rimane il limite costituito dall’impossibilità del ricorso al mercato del capitale di rischio, anche se il legislatore della riforma, con una rilevante innovazione, consente ai soci della s.r.l. il ricorso indiretto al mercato del capitale di credito. I caratteri della disciplina, ispirati ai principi di flessibilità e di personalità, dimostrano, in modo nettamente più marcato, come il tipo sia normalmente diretto a costituire imprese – individuali e collettive – di medio-piccole dimensioni, con una compagine ristretta ed omogenea, formata da soci [continua ..]


5. Indici relativi alla dimensione dell’impresa

Numerosi sono gli indici utilizzati o utilizzabili al fine di individuare le dimensioni dell’impresa. Naturalmente variano o possono variare a seconda del contesto preso in considerazione. Ed ancora, possono essere di carattere elastico e qualitativo (sia pure diretti a cogliere un profilo dimensionale), oppure rigidi e quantitativi, oppure ancora di natura quantitativa con correttivi di carattere qualitativo o anche alternativi. Tradizionalmente un parametro di natura quantitativa rilevante era costituito dal­l’ammontare del capitale sociale. Si pensi ai differenti minimi previsti nel codice civile del 1942 per la costituzione di s.p.a. e di s.r.l.: un milione di lire e cinquantamila lire. La prima somma rappresentava un valore molto elevato ed i due minimi erano nettamente differenziati (il capitale minimo delle s.p.a. era venti volte quello delle s.r.l.). Oggi il capitale minimo della s.p.a., individuato in euro cinquanta mila, rappresenta una somma, rapportata alle esigenze relative all’esercizio di un’attività di impresa, del tutto esigua. Il capitale minimo delle s.r.l. è ormai ridotto al valore simbolico di un solo euro. Ma anche prendendo in considerazione il capitale “normale” minimo della s.r.l., pari a diecimila euro, è constatazione immediata che rappresenta un quinto di quello della s.p.a. Ma, al di là del discorso relativo ai valori minimi, sono la stessa previsione e disciplina del capitale sociale che sembrano aver perso rilievo, pur sempre essendo presenti sia nel contesto comunitario che in quello italiano. In primo luogo – ma si tratta di una constatazione riferibile anche al passato – il possibile utilizzo di mezzi propri (in particolare versamenti in conto capitale) diversi dal capitale può rendere di per sé di scarso peso il suo ammontare. In secondo luogo, al fine di “misurare” lo “stato di salute” della società assumono sempre più maggior rilievo indici differenti dall’equi­librio patrimoniale, venendo in considerazione in particolare quelli che fanno riferimento all’equilibrio economico-finanziario e quindi alla continuità aziendale [10]. Inoltre è la stessa evoluzione delle regole in tema di s.r.l. a dimostrare come il capitale sociale abbia un significato sempre minore: l’obbligo di nominare un organo di controllo o un [continua ..]


6. Tecniche di differenziazione della disciplina in funzione della dimensione dell’impresa

Un profilo di particolare interesse concerne le tecniche utilizzate dal legislatore per differenziare la disciplina in funzione delle dimensioni delle imprese societarie. Pare opportuno sottolineare come spesso le stesse si intreccino e quindi vengano in considerazione contemporaneamente. In una prima prospettiva pare opportuno sottolineare come a volte il legislatore preveda una disciplina per così dire di base che, a seconda dei casi, può essere arric­chita oppure semplificata o addirittura disapplicata in presenza, rispettivamente, di imprese di maggiori o di minori dimensioni (o di ulteriori circostanze, oltre a quelle relative al profilo dimensionale). In altri contesti la tecnica può consistere nella creazione di una disciplina modulare, differenziata con riferimento a determinate soglie dimensionali (o anche dimensionali). Ancora: la differenziazione può essere realizzata attraverso la creazione di un sottotipo oppure di una pluralità di sottotipi. Un’ulteriore tecnica consiste nelle esenzioni e cioè nella disapplicazione di una certa disciplina o nel venir meno di un obbligo in funzione delle dimensioni dell’impresa. Particolare rilievo assume poi la presenza di regole, costruite in modo implicito o anche esplicito, tali da automaticamente adattarsi alle dimensioni delle imprese. In primo luogo, le dimensioni dell’impresa possono determinare “scelte meno rigorose” o “più rigorose” rispetto alla “disciplina di base”, applicabile ad un certo tipo, sottotipo o categoria di società. A mio avviso, deve essere sottolineato come ciò possa avvenire secondo modalità differenti. Il legislatore può prendere le mosse da una certa disciplina che indica lo standard medio e semplificarne o escluderne l’applicazione in presenza di imprese minori. Si verifica quindi una sorta di “abbassamento” del livello del rigore. Come si è già visto, un esempio tipico in tal senso è fornito dalla disciplina del bilancio in forma abbreviata e da quella del bilancio delle microimprese: il primo contiene semplificazioni rispetto al bilancio in forma ordinaria; il secondo prevede ulteriori semplificazioni rispetto al bilancio in forma abbreviata. Le semplificazioni rispetto ad un determinato standard normativo costituiscono normalmente delle semplici facoltà: infatti il [continua ..]


NOTE