Rivista Corporate Governance ISSN 2724-1068 / EISSN 2784-8647
G. Giappichelli Editore

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Sistemi di controllo interno e organismo di vigilanza ex d.lgs. n. 231/2001 nelle società a partecipazione pubblica (di Sara Pietra Rossi, Dottoressa di ricerca in Diritto commerciale presso l'Università L. Bocconi di Milano – Giovanni Strampelli, Professore ordinario di Diritto commerciale presso l'Università L. Bocconi di Milano)


Il contributo analizza l’Organismo di vigilanza nel sistema dei controlli riservato alle società a partecipazione pubblica dal d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (il «Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica»). Quest’ultimo – che pur ha operato un riordino della disciplina applicabile alle società a partecipazione pubblica – non menziona l’OdV. L’articolo si propone di esaminare, quindi, il coordinamento tra la funzione dell’OdV e degli altri attori che compongono il sistema dei controlli delle società partecipate, individuando possibili sovrapposizioni e problemi applicativi.

Internal controls and the supervisory body pursuant to legislative decree 231/2001 in companies with public shareholdings

The paper analyses the supervisory body pursuant to legislative decree 231/2001 within the framework of internal controls set forth by legislative decree 175/2016 (the Consolidated Law on companies with public shareholdings). The latter – which has carried out a reorganization of the rules applicable to companies with public shareholdings – does not mention the supervisory body. The article aims to examine, therefore, the interaction between the function of the supervisory body and the other entities that together form the system of internal control of companies with public shareholdings, identifying possible overlaps and practical issues.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L’applicazione alle società in mano pubblica del diritto societario “comune”: l’idoneità del medesimo alla tutela degli interessi facenti capo alle società pubbliche - 3. Segue. L’adeguatezza degli assetti organizzativi come norma di diritto dell’impresa applicabile indipendentemente dalla natura dei soggetti partecipanti al capitale sociale - 4. L’analitica disciplina dei sistemi di controllo interno delle società a controllo pubblico contenuta nell’art. 6 del Testo Unico - 5. Segue. I “controlli” funzionali alla prevenzione ed al superamento delle crisi nelle società a controllo pubblico - 6. Adeguatezza degli assetti organizzativi ed applicabilità del d.lgs. n. 231/2001 alle società partecipate dalla pubblica amministrazione - 6.1. Il sistema di flussi informativi facenti capo all’organismo di vigilanza - 7. La “sovrapposizione” tra il d.lgs. n. 231/2001 e la disciplina anticorruzione della legge 6 novembre 2012, n. 190 nelle società a controllo pubblico: il coordinamento delle funzioni dell’organismo di vigilanza e del responsabile per la prevenzione della corruzione - 8. Autonomia e indipendenza dell’OdV nelle società soggette al controllo analogo della pubblica amministrazione - 9. La prassi dell’OdV nelle società quotate a partecipazione di controllo (o di maggioranza) pubblica - NOTE


1. Premessa

Mediante il d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (il «Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica», d’ora in avanti anche “Testo Unico”), è stato operato un riordino complessivo della disciplina applicabile e afferente alle società partecipate dalla pubblica amministrazione. La legge di delega (legge 7 agosto 2015, n. 124), recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» indicava, quale obiettivo primario, quello di «assicurare la chiarezza della disciplina, la semplificazione normativa e la tutela e promozione della concorrenza» [1] anche al fine – tra gli altri – di «razionalizzazione e riduzione delle partecipazioni pubbliche secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità» [2]. Il legislatore delegato ha recepito l’indirizzo del delegante seguendo essenzialmente due linee direttive: la prima, volta a realizzare la razionalizzazione e la riduzione delle partecipazioni e la seconda orientata a riorganizzare la normativa allora in vigore [3]. Soltanto di quest’ultimo profilo ci si intende – pur senza pretese di completezza – occupare e, più in particolare, del ruolo dell’organismo di vigilanza ex d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 nel sistema di controllo interno delle società a partecipazione pubblica. Il Testo Unico ha dettato norme specifiche per le società pubbliche e deroghe al diritto comune, distinguendo e modulandone l’applicazione in ragione del tipo di società “pubblica”, passando da un livello inferiore di regolamentazione (e deroghe) nelle società a partecipazione pubblica, ad uno maggiore per quelle a controllo pubblico e ancora superiore nelle società in house [4]. Il discorso che segue è riferibile alle società pubbliche nel loro complesso, ad eccezione delle peculiarità e considerazioni che si faranno per i diversi “tipi”. Le ragioni che sollecitano l’analisi riguardano principalmente il suddetto riordino ad opera del Testo Unico, il quale, pur dettando previsioni specifiche con riguardo agli organi di controllo e al sistema di controllo interno, non menziona espressamente l’organismo di vigilanza (anche “OdV”). L’assenza di un’esplicita previsione richiede, per un verso, di domandarsi se le [continua ..]


2. L’applicazione alle società in mano pubblica del diritto societario “comune”: l’idoneità del medesimo alla tutela degli interessi facenti capo alle società pubbliche

Delimitato, sinteticamente, l’ambito concettuale nel quale ci si intende muovere, è possibile – prima di rivolgere l’attenzione alla composizione ed al ruolo del­l’OdV – accostarsi all’analisi di alcuni profili della più ampia disciplina del sistema dei controlli interni nelle società partecipate dalla pubblica amministrazione al fine di verificare se essa presenti peculiarità rispetto a quella applicabile alle società “private”. E se, in secondo luogo, alla luce delle dette peculiarità, il diritto societario comune offra dei presidi sufficienti alla tutela degli interessi di matrice pubblicistica. Considerata la compresenza di norme privatistiche e norme pubblicistiche nella disciplina delle società in mano pubblica [19] occorre, in primo luogo, considerare il rispettivo ambito di applicazione, al fine di appurare se la presenza del socio pubblico nella compagine sociale possa importare elementi di peculiarità nella regolazione del sistema dei controlli interni delle società partecipate. Sul punto non vi sono più dubbi: le norme del codice civile trovano applicazione alle società in mano pubblica, a meno che esse non siano espressamente derogate [20]. Tanto è ora chiaramente ribadito dall’art. 1, comma 3, del Testo Unico, il quale (riprendendo quanto già in precedenza previsto dall’art. 4, comma 13, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 [21]) prescrive che «per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato» [22]. Questa previsione rende, dunque, incontrovertibile l’applicazione alle società pubbliche delle disposizioni del codice civile relative alla funzione di controllo in senso lato e, più specificamente, agli assetti organizzativi dell’impresa. Benché l’in­dicazione letterale poc’anzi riportata paia di per sé risolutiva, a tale conclusione può essere dato fondamento (anche al fine di cogliere talune implicazioni di più ampio respiro) mediante percorsi interpretativi alternativi. In questa prospettiva deve osservarsi, anzitutto, che nella società a partecipazione pubblica vengono naturalmente in rilievo interessi di natura [continua ..]


3. Segue. L’adeguatezza degli assetti organizzativi come norma di diritto dell’impresa applicabile indipendentemente dalla natura dei soggetti partecipanti al capitale sociale

Alla luce di quanto da ultimo osservato, il percorso interpretativo che si intende in questa sede sviluppare, per affermare, in punto di assetti organizzativi (e quindi, anche rispetto alla redazione di un sistema di controlli interni adeguato), la sostanziale inesistenza di una specialità delle società pubbliche, muove dalla constatazione che l’istituto societario non può essere considerato disgiuntamente dall’im­presa [27]. Come è stato efficacemente osservato, il principio dell’adeguatezza degli assetti «è vincolante anche per le società in mano pubblica: la scelta, da parte di un soggetto pubblico, dello strumento privatistico societario, comporta anche accettazione – in mancanza di deroghe espresse di legge – dei principi privatistici inerenti all’or­ganizzazione e alla gestione della società. Anche le società in mano pubblica dovranno dunque rispettare il principio di adeguatezza organizzativa, cioè dotarsi di un’organizzazione efficiente ai fini della realizzazione dell’oggetto sociale» [28]. Infatti, anche per la gestione delle società pubbliche valgono i principi stabiliti dall’art. 2381 c.c. in punto di assetti adeguati: «Il referente è insomma, per principio, l’esercizio di un’attività di impresa, su cui si commisura l’adeguatezza della struttura della società in parola, che non può non considerarsi organizzata in maniera inadeguata quando sistematicamente in perdita» [29]. Una volta preso atto che il referente è l’esercizio dell’attività d’impresa non sembra potersi dubitare della centrale importanza assunta, anche nelle società in mano pubblica, dalle previsioni, oggi valide per l’impresa – in forma societaria o collettiva – dell’art. 2086 c.c. circa l’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili. Anche prima dell’entrata in vigore del Codice della crisi del­l’impresa e dell’insolvenza era stato possibile affermare – in ragione delle previsioni di cui all’art. 2381 c.c. – che «il paradigma degli assetti organizzativi adeguati assurge a canone necessario di organizzazione interna dell’impresa, sul piano gestionale, amministrativo e contabile, e, conseguentemente, a direttrice [continua ..]


4. L’analitica disciplina dei sistemi di controllo interno delle società a controllo pubblico contenuta nell’art. 6 del Testo Unico

Non essendo ormai controverso che, nella prospettiva del diritto dell’impresa, il controllo è coessenziale all’amministrazione e che i due momenti non possono essere disgiunti [33], occorre notare che nelle società a controllo pubblico il sistema dei controlli interni è oggetto di una disciplina più analitica rispetto a quella contenuta nel diritto societario comune: mentre quest’ultimo, per le società chiuse, non afferma espressamente il dovere di apprestare un idoneo sistema di controlli interni, il quale è riconducibile al generale principio di adeguatezza organizzativa della società, le norme “speciali” disciplinano, invece, in dettaglio l’articolazione dei controlli interni [34]. Una prima rilevante indicazione in questa direzione proviene dalle previsioni dell’art. 147-quater del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), che regola i controlli sulle società partecipate non quotate da parte dell’ente locale, prevedendo che quest’ultimo è tenuto a definire, secondo la propria autonomia organizzativa, un sistema di controlli sulle società partecipate [35]. Tali disposizioni, pur costituendo un evidente indice della rilevanza della funzione di controllo nel settore pubblico e potendo avere diretti riflessi sull’organizzazione dei controlli interni delle società partecipate, riguardano, tuttavia, l’ente locale partecipante e non anche queste ultime, il sistema di controllo delle quali non era oggetto di specifiche previsioni normative, sino all’emanazione del Testo Unico. Come già ricordato, quest’ultimo, nel quadro del complessivo riordino della disciplina delle società in mano pubblica, ha definito (coerentemente con le indicazioni della best practice internazionale [36]) i principi fondamentali sull’organizza­zione e sulla gestione delle società a controllo pubblico, sì da regolare compiutamente il sistema dei controlli interni delle società controllate dalla pubblica amministrazione [37]. Il secondo comma dell’art. 6 del Testo Unico prescrive che le società a controllo pubblico predispongano specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e ne informino l’assemblea nell’ambito della relazione sul governo societario di cui al [continua ..]


5. Segue. I “controlli” funzionali alla prevenzione ed al superamento delle crisi nelle società a controllo pubblico

Tanto chiarito in merito alla generale previsione dell’art. 6 del Testo Unico, è opportuno un breve excursus (anche in considerazione del particolare rilievo che tale profilo assume nella prospettiva dello studioso del diritto commerciale) sulle specifiche forme di controllo (da intendere in tal caso in senso di verifica e monitoraggio) che, in base al Testo Unico, devono essere esercitate nelle fasi di crisi a­ziendale. Molto spesso – è opinione comune – le disposizioni speciali del settore bancario e finanziario anticipano gli interventi legislativi che riguardano le società di diritto comune. Con riferimento alle misure di valutazione del rischio e gestione della crisi aziendale è stato, invece, il diritto amministrativo ad avere – come ci si auspicava [50] – una portata anticipatrice rispetto al diritto societario comune che, soltanto nel 2019, ha inserito nella disciplina dell’impresa e delle società principi generali di prevenzione e gestione della crisi aziendale. Il Testo Unico prevede, infatti, per le sole società a controllo pubblico, per un verso, che esse predispongano «specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale» (art. 6, comma 2, Testo Unico) e, per altro verso, che, laddove in tali programmi di valutazione del rischio emergano uno o più indicatori di crisi aziendale, l’organo amministrativo adotti «senza indugio i provvedimenti necessari al fine di prevenire l’aggravamento della crisi, di correggerne gli effetti ed eliminarne le cause, attraverso un idoneo piano di risanamento» (così l’art. 14, comma 2, Testo Unico). Sono evidenti le similarità con alcune delle previsioni di cui al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. L’art. 2086 c.c., come novellato dal d.lgs. n. 14/2019, richiede all’imprenditore di dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati «anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale» nonché di attivarsi senza indugio per adottare uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi. Nel medesimo segno sono anche gli strumenti di allerta (di cui all’art. 12 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) che impongono agli organi di controllo delle [continua ..]


6. Adeguatezza degli assetti organizzativi ed applicabilità del d.lgs. n. 231/2001 alle società partecipate dalla pubblica amministrazione

Prima di esaminare le modalità applicative del d.lgs. n. 231/2001 alle società partecipate dalla pubblica amministrazione e, in particolare, alla composizione ed ai profili organizzativi dell’OdV, occorre, in primo luogo, ricordare che, a fronte del puntuale intervento del Testo Unico in ordine ai controlli interni delle società a partecipazione pubblica, non si registra alcuna indicazione (o previsione) in merito all’applicazione alle società in mano pubblica della disciplina di cui al d.lgs. n. 231/2001. Il silenzio del legislatore sul punto è stato oggetto di critiche da parte del Consiglio di Stato, secondo il quale esso può generare equivoci sull’applicabilità del d.lgs. n. 231/2001 alle società a controllo pubblico [55]. Pur non sembrando tali timori del tutto infondati, è da ritenere, tuttavia, che essi siano superabili in via interpretativa. A tal fine assumono decisivo rilievo le pronunce con cui la Corte di Cassazione [56] ha affermato l’applicazione del d.lgs. n. 231/2001 alle società a partecipazione pubblica, in quanto enti societari esercenti attività imprenditoriale in base al diritto comune, sebbene preordinati all’erogazione di servizi di rilevanza o interesse pubblico. Fermi restando tali importanti arresti giurisprudenziali (che appaiono di per sé risolutivi al fine di superare i possibili dubbi interpretativi suscitati dal silenzio legislativo), in forza dell’affermata applicabilità alle società a partecipazione pubblica delle disposizioni relative all’adeguatezza degli assetti organizzativi, è da notare che (in accordo alla tesi preferibile [57]) l’adozione di modelli per la prevenzione dei reati è riconducibile al dovere di corretta amministrazione, al dovere di agire con diligenza, ovvero ad un’articolazione del dovere di curare e valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo ovvero, ancora, al dovere di vigilanza. Ne risulta, pertanto, che anche per le società a partecipazione pubblica la predisposizione del modello 231, pur essendo, sul piano formale, un onere e formando oggetto di una facoltà, costituisce, nella sostanza, un dovere connesso ai più generali doveri di condotta dell’amministratore. A segnare una differenza tra le società “private” e quelle in mano pubblica, conducendo [continua ..]


6.1. Il sistema di flussi informativi facenti capo all’organismo di vigilanza

Preso atto che le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni del d.lgs. n. 231/2001, è necessario considerare se profili di “specialità” nell’ap­plicazione di tale disciplina da parte delle medesime possano derivare dalla presenza del socio pubblico e dalla particolare influenza che esso può esercitare sulle società controllate, occorrendo a tal fine distinguere i contenuti e la struttura del modello dal funzionamento e dai requisiti dell’organismo di vigilanza. Concentrando (coerentemente con gli obiettivi delle presenti note) la successiva indagine esclusivamente sulle peculiarità della disciplina dell’organismo di vigilanza nelle società in mano pubblica, è opportuno al riguardo preliminarmente notare che, pur avendo il Testo Unico delineato (come dianzi chiarito) per queste ultime un sistema dei controlli in gran parte analogo a quello delle società di capitali private, il sistema dei controlli delle società in mano pubblica risulta ancor più complesso in quanto si aggiungono controlli di stampo pubblicistico, quale la disciplina anticorruzione prevista dalla legge Severino [62]. Condivisibile è dunque l’opinione secondo cui l’aumento del numero dei soggetti e dei tipi di controllo, a carattere privatistico e pubblicistico, può indurre fenomeni di sovrapposizione tra aree di controllo e di duplicazione di attività, con potenziali rischi di deresponsabilizzazione dei soggetti coinvolti e aggravio dei costi. È opportuno, pertanto, assicurare l’equilibrio tra la necessità di prevenzione e controllo e il rischio di imporre alle imprese oneri burocratici o inefficienti: l’eccesso di regole può condurre, infatti, ad una loro applicazione formalistica e a comportamenti elusivi [63]. Fermo restando l’auspicio di una futura semplificazione del sistema dei controlli, nell’attuale contesto normativo risulta essenziale, al fine di limitare possibili disfunzioni e duplicazioni, un efficace scambio di informazioni tra i diversi soggetti chiamati a svolgere funzioni di controllo. In assenza di un sistema informativo efficiente, che consenta di conoscere (e anticipare) i rischi connessi allo svolgimento della propria attività, non è, evidentemente, possibile organizzare efficientemente l’attività di [continua ..]


7. La “sovrapposizione” tra il d.lgs. n. 231/2001 e la disciplina anticorruzione della legge 6 novembre 2012, n. 190 nelle società a controllo pubblico: il coordinamento delle funzioni dell’organismo di vigilanza e del responsabile per la prevenzione della corruzione

Chiarita l’importanza di un efficace coordinamento tra l’OdV ed i diversi attori del sistema dei controlli, un elemento di specialità delle società a controllo pubblico [75] – suscettibile, se possibile, di rendere tale esigenza ancor più stringente di quanto essa sia nelle società private – deriva, come anticipato, dall’innesto di controlli pubblicistici nel sistema dei controlli propri delle società di capitali. Di particolare rilievo in tal senso è la disciplina anticorruzione contenuta nella legge 6 novembre 2012, n. 190, la quale, secondo l’interpretazione accolta dal­l’ANAC [76] (ma non unanimemente condivisa [77]), comporta anche per le società a controllo pubblico l’obbligo di adottare misure idonee a prevenire fenomeni di corruzione e illegalità. Più precisamente, in forza delle disposizioni della legge 190/2012, art. 1, commi 60 e 61, le società controllate dalla pubblica amministrazione devono predisporre specifiche misure organizzative, tra le quali il piano triennale di prevenzione della corruzione, e nominare (come previsto dall’art. 1, comma 7) il responsabile per la prevenzione della corruzione (RPCT) [78] al quale spetta definire le misure organizzative da attuare ai sensi della legge n. 190/2012 (anche proponendone, ove necessario, l’integrazione e la modifica) e vigilare sull’attua­zione effettiva delle misure. Come rilevato dall’ANAC [79], l’ambito di applicazione della legge n. 190/2012 e del d.lgs. n. 231/2001 non coincidono e, nonostante l’analogia di fondo dei due sistemi, finalizzati entrambi a prevenire la commissione di reati nonché ad esonerare da responsabilità gli organi preposti qualora le misure adottate siano adeguate, sussistono differenze significative tra i due plessi normativi quanto alla tipologia dei reati oggetto di prevenzione. Il d.lgs. n. 231/2001 concerne, infatti, esclusivamente i reati commessi nell’interesse o a vantaggio della società o che comunque siano stati commessi anche e nell’interesse di questa (art. 5), diversamente, dalla legge n. 190/2012 è volta a prevenire anche reati commessi in danno della società. Più precisamente, per quanto riguarda i fatti di corruzione, il d.lgs. n. 231/2001 contempla esclusivamente le fattispecie tipiche di concussione, induzione [continua ..]


8. Autonomia e indipendenza dell’OdV nelle società soggette al controllo analogo della pubblica amministrazione

Delineati, nei loro tratti generali, i requisiti di indipendenza ed autonomia che devono caratterizzare l’OdV nelle società a partecipazione pubblica (anche in considerazione dell’applicazione alle medesime della disciplina c.d. anticorruzione), occorre, in conclusione, svolgere alcune specifiche considerazioni in merito alla declinazione dei requisiti dell’OdV in relazione alle società sulle quali l’Ammini­strazione pubblica esercita un controllo analogo. Riguardo a tali società devono, infatti, coniugarsi due elementi, almeno in apparenza, difficilmente conciliabili. Per un verso, in base alla definizione di cui all’art. 2, comma 1, lett. c), del Testo Unico, si ha controllo analogo ogniqualvolta l’amministrazione eserciti su di una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, esercitando un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici sia sulle decisioni significative della società controllata [96]; per altro verso, l’ente pubblico controllante è espressamente escluso dall’ambito di applicazione del d.lgs. n. 231/2001 in forza delle previsioni dell’art. 1, sicché la responsabilità penale resta confinata alla società eterodiretta e non risale alla capogruppo [97]. Fermo restando che nelle società pubbliche assume particolare importanza la definizione di procedure obbligatorie e formali per la tenuta di rapporti istituzionali con il socio pubblico di controllo (in specie quando esse sono finalizzate ad assolvere obblighi di comunicazione, reportistica, rendicontazioni, verifiche ispezioni) e che la previsione di adeguati presidi procedimentali in tal senso contribuisce a garantire una maggiore autonomia rispetto al socio pubblico, formalizzando i rapporti intrattenuti con lo stesso [98], nelle società soggette al controllo analogo dell’ente pubblico appare ancor più rilevante l’esigenza di prevedere specifici presidi a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia dell’OdV. Per quanto concerne la nomina e la revoca dei componenti del medesimo è opportuna la definizione di specifici presidi procedurali diretti a contenere il rischio di scelte discrezionali suscettibili di comprometterne l’autonomia e l’indipendenza. In fase di nomina sussiste, senz’altro, l’opportunità di procedere alla [continua ..]


9. La prassi dell’OdV nelle società quotate a partecipazione di controllo (o di maggioranza) pubblica

Alle società partecipate è riservato, in materia di controlli, uno statuto speciale di regole [102] che il Testo Unico ha definito agli artt. 6 e 11. In forza dell’art. 1, comma 5 del Testo Unico, le disposizioni speciali destinate alle società partecipate si applicano alle società quotate (e alle società da esse controllate) soltanto se è espressamente previsto. Gli artt. 6 e 11 del Testo Unico non operano, tuttavia, alcun richiamo alle società quotate, con l’effetto che a queste ultime, ancorché partecipate dalle pubbliche amministrazioni, non è applicabile lo statuto speciale delle società partecipate in punto di controlli. Il legislatore del Testo Unico ha pertanto preferito il “sistema” [103] dei controlli delineato dal Testo unico finanziario e dai regolamenti dell’Autorità di vigilanza, alle regole speciali riservate alle società partecipate. La ragione può rinvenirsi nella circostanza che il sistema dei controlli delle società quotate, pur sollevando numerosi dubbi applicativi in punto di competenze e responsabilità [104], si compone di un complesso di organi, uffici e funzioni senz’altro più ricco e articolato rispetto a quello definito per le società a partecipazione pubblica [105] e, perciò, sufficientemente (e probabilmente maggiormente) tutelante per il socio pubblico partecipante al capitale. All’organismo di vigilanza nelle società quotate non è, tuttavia, destinata una disciplina specifica, né da parte del d.lgs. n. 231/2001, né dal t.u.f. Menzioni all’OdV nelle società quotate si riscontrano, invece, nel Codice di Corporate Governance e nel Regolamento Mercati di Borsa Italiana. Il primo raccomanda che «l’organo di amministrazione, con il supporto del comitato controllo e rischi (…) attribuisc[a] all’organo di controllo o a un organismo appositamente costituito le funzioni di vigilanza ex art. 6, comma 1, lett. b) del Decreto Legislativo n. 231/2001. Nel caso l’organismo non coincida con l’organo di controllo, l’organo di amministrazione valuta l’opportunità di nominare all’interno dell’organismo almeno un amministratore non esecutivo e/o un membro dell’organo di controllo (…) al fine di assicurare il coordinamento tra i diversi [continua ..]


NOTE