Rivista Corporate Governance ISSN 2724-1068 / EISSN 2784-8647
G. Giappichelli Editore

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Società, mercati finanziari e fattori ESG: ultimi sviluppi (di Paolo Montalenti, Professore ordinario f.r. di Diritto commerciale presso l’Università degli Studi di Torino)


L’Autore esamina gli ultimi sviluppi in tema di fattori ESG (Environmental, Social, Governance) nel quadro di una tendenza in tutti gli ordinamenti verso il neo-istituzionalismo, analizzando le direttive Sha­reholders’Rights I e II, il nuovo Codice di Corporate Governance di Borsa Italiana, l’evoluzione nelle policies delle società quotate, degli intermediari finanziari, degli investitori, con riferimenti comparatistici.

L’articolo si conclude con una riflessione sulle due recenti proposte di direttiva europea in tema di Corporate Sustainibility Due Diligence e con qualche valutazione sulle prospettive future.

 

Corporations, financial markets and ESG-Factors: recent developments

The Author examines the latest developments in ESG (Environmental, Social, Governance) factors in the context of a trend towards neo-institutionalism across all jurisdictions, analysing the Shareholders’Directives I and II, the new Corporate Governance Code of Borsa Italiana, the evolution in the policies of listed companies, financial intermediaries and investors, with comparative references.

The article ends with a reflection on the two recent proposals for a European Directive on Corporate Sustainability Due Diligence and some evaluation on future prospects.

Keywords: ESG Factors – Shareholders’Rights Directives – Corporate Governance Code – Comparative references – Corporate Sustainibility Due Diligence.

SOMMARIO:

1. Fattori ESG: profili generali - 2. Verso il neo-istituzionalismo - 3. Riscontri normativi - 4. Le informazioni non finanziarie - 5. La società benefit - 6. La direttiva Shareholders’Rights - 7. La direttiva Shareholders’Rights II - 8. Il quadro comparatistico - 9. Il Codice di Corporate Governance di Borsa Italiana: successo sostenibile, interessi degli stakeholder, dialogo con gli azionisti - 10. Business community, intermediari finanziari, scelte di investimento, gender diversity e fattori ESG: cenni - 11. La proposta di direttiva sulla responsabilità d’impresa del 10 marzo 2021 - 12. La proposta di direttiva on Corporate Sustainability Due Diligence - 13. Sostenibilità e norme costituzionali - 14. Quali prospettive? - NOTE -


1. Fattori ESG: profili generali

Il tema della sostenibilità ambientale, sociale e di governance – i c.d. fattori ESG – è al centro di un dibattito di scottante attualità non solo tra i giuristi ma in vari consessi scientifici, istituzionali e politici. Restringendo il focus della riflessione alla società per azioni, si deve preliminarmente rilevare [1] che in particolare la società quotata, nel quadro internazionale, ha registrato – nella prassi, nei codici di autodisciplina, nella soft law, nella normativa primaria e secondaria, nazionale e sovranazionale – plurimi mutamenti che impongono alla dottrina economica e giuridica [2] un’analisi approfondita e articolata e una riflessione attenta sugli interrogativi che uno scenario indiscutibilmente mutato pone agli interpreti. La questione di fondo, che peraltro ha già registrato nel dibattito in corso opinioni anche significativamente distanti, consiste nel dilemma tra chi è orientato in un senso fortemente pessimistico [3] e chi, per contro, vede il futuro segnato da profondi cambiamenti [4]. Prospettiva long term, considerazione degli interessi degli stakeholder, sostenibilità ambientale, sociale e di governance (i fattori ESG) costituiscono obiettivi di amplissimo respiro, prospettive progettuali non di breve termine, assunti assiologici che sono fortemente condizionati dall’evoluzione, peraltro differenziata, del sistema economico e dei contesti politici. Conseguentemente, sul più specifico terreno dell’ermeneutica giuridica, è compito dell’interprete tentare di precisare principi generali o clausole generali o, più semplicemente, fattispecie ad ampio spettro, esplorando la possibilità di individuare elementi costitutivi più puntuali, specifici, circoscritti o quanto meno la pluralità di declinazioni concrete che le stesse possono assumere. Si pensi, ad esempio, alla specificazio­ne della c.d. prospettiva long term, al significato da attribuire all’espressione «tenere in considerazione gli interessi degli stakeholder» oppure al sintagma «obiettivi di governance». In terzo luogo si deve prendere in considerazione l’evoluzione normativa in questa materia che, come avrò modo di mettere in luce, è effettivamente articolata e diffusa sul piano internazionale: tra lex e rei veritas non sempre vi è coincidenza ma [continua ..]


2. Verso il neo-istituzionalismo

Nell’ultimo quarto di secolo il dibattito sull’interesse sociale nel nostro ordinamento è stato particolarmente vivace. In estrema sintesi l’orientamento oggi prevalente nella dottrina italiana ritiene superata una visione strettamente contrattualistica dell’interesse sociale, limitato alla massimizzazione del profitto, o, per utilizzare l’espressione internazionale, circoscritto al perseguimento dello shareholder value, e cioè alla massimizzazione del dividendo e/o del valore patrimoniale delle azioni. Si può cioè sinteticamente rilevare che gli autori che hanno maggiormente affrontato il tema, sia pure con varietà di sfumature [6] accolgono oggi una concezione dell’interesse sociale che, con un sintagma, si può definire di “istituzionalismo debole” o di “neo-istituzionalismo”. Anche se vi sono autorevoli opinioni diversamente orientate [7]. La nozione di interesse sociale, nelle diverse fattispecie normative in cui rileva, non si configura tanto come comparazione tra operazioni gestorie oggetto di decisione e astratta conformità alla causa lucrativa quanto piuttosto in termini di valutazione della «razionalità economica» delle operazioni stesse in relazione alle strategie gestionali dell’impresa, il cui fine ultimo, ancorché mediato e composto nei termini sopra precisati, è pur sempre lo scopo di profitto: l’interesse sociale ultimo (alla redditività e/o al valore della partecipazione) si realizza attraverso il medio logico e operazionale dell’interesse dell’impresa. L’interesse sociale è dunque composizione di interessi plurimi delle diverse categorie di azionisti, nei limiti degli interessi-altri (dei lavoratori, dei consumatori, della comunità di riferimento, dell’ambiente, cioè degli stakeholder in generale) coordinati dagli amministratori in una sintesi in ultima istanza profit-oriented che converge nell’interesse all’efficienza dell’impresa ma con un equilibrato bilanciamento con gli interessi degli stakeholder. E la sintonia con l’evoluzione nel quadro comparatistico, come dirò poco oltre, è, a mio parere, intensa.


3. Riscontri normativi

Questo orientamento trova specifici riscontri normativi [8]. In tema di operazioni straordinarie, si pensi alla fusione, al leveraged buyout (art. 2501-quinquies, art. 2501-bis c.c.), alle operazioni sulle proprie azioni (art. 2358, com­ma 3, c.c.) dove l’interesse dell’impresa e di gruppo (art. 2358, comma 8 c.c.) è elemento caratterizzante della disciplina. Si pensi poi all’interesse di gruppo disciplinato nella sezione dedicata alla direzione e coordinamento (art. 2497 ss. c.c.), in cui il perseguimento di interessi plurali, nei limiti dei vantaggi compensativi, è espressamente regolato. E l’emersione della rilevanza di interessi-altri si evince dalle disposizioni in tema di relazione sulla gestione nel bilancio di esercizio (art. 2428, comma 2, c.c.), così come della prospettiva long term (art. 2428, comma 3, n. 6 c.c.). Ancora: l’interesse dei lavoratori e delle comunità di riferimento sono oggetto di specifiche disposizioni in materia di offerte pubbliche di acquisto (art. 103, comma 3-bis TUF) e nelle fusioni transfrontaliere (d.lgs. 3 maggio 2008, n. 108, artt. 6, 8, 13 e 19).


4. Le informazioni non finanziarie

Particolare interesse assume, nel nostro ordinamento, la disciplina relativa alla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario [9] (c.d. DNF). Il d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254 ha dato attuazione alla direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante modifica alla direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e taluni gruppi di grandi dimensioni. La normativa riguarda gli enti di interesse pubblico (ex art. 16, comma 1, d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39) e i gruppi di grandi dimensioni, con più di 500 dipendenti e con un bilancio consolidato che soddisfi almeno uno dei due seguenti criteri: 1) attivo superiore a € 20 milioni; 2) totale dei ricavi netti superiore a € 40 milioni. La nuova disciplina prevede informazioni in materia di «temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva». Richiede inoltre che siano descritti «a) il modello aziendale; b) le politiche praticate dall’impresa; c) i principali rischi» (art. 3, comma 1). Di particolare interesse, oltre alle politiche energetiche, l’obbligo di trattare gli «aspetti sociali e attinenti alla gestione del personale» e, in particolare «le modalità con cui è realizzato il dialogo con le parti sociali» [art. 3, comma 2, lett. d)]. Sicuramente un tassello normativo rilevante per l’esplorazione del tema degli interessi degli stakeholder e dei fattori ESG. Le nuove disposizioni, che si applicano, «con riferimento alle dichiarazioni e relazioni relative, agli esercizi finanziari a partire dal 1° gennaio 2017» (art. 12), sono di particolare interesse per l’oggetto e, soprattutto, per la metodologia di rendicontazione (cfr. art. 3, d.lgs. n. 254/2016). In conclusione le informazioni non finanziarie si traducono in informazioni al mercato che in caso di falsità idonea ad incidere sulle scelte di investimento oppure in caso di dichiarazioni negoziali integranti rapporti contrattuali – ad esempio contratti di lavoro o contratti di fornitura – possono essere fonte di responsabilità [10].


5. La società benefit

La legge 28 dicembre 2015, n. 208, ai commi 376-384 ha introdotto nel nostro ordinamento la società benefit [11]. Indipendentemente dal tipo prescelto (cfr. comma 379) sono società benefit le società che «nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse». Il perseguimento di interessi generali ampliati agli stakeholder e l’esercizio di attività sostenibili non sono però, a mio parere, sufficienti a qualificare una società come società benefit [12]. Del resto si può forse ipotizzare che l’adesione al Codice di Corporate Governance in punto di successo sostenibile configuri, per se, la società come società benefit?


6. La direttiva Shareholders’Rights

Successivamente all’approvazione della direttiva Azionisti (direttiva 2007/36/CE), c.d. Shareholders’Rights Directive – SHRD, attuata nel nostro ordinamento con il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 27, poi modificato dal d.lgs. 18 giugno 2012, n. 91 – su cui non mi soffermo per brevità –, l’Unione Europea ha formulato il 10 aprile 2014 [13], con emendamenti proposti il 12 maggio 2015, la Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio di modifica della Direttiva n. 2007/36/CE relativamente all’incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti e della Direttiva n. 2013/34/UE in merito a taluni elementi della relazione sul governo societario, che si è tradotta nella direttiva (UE) 2017/828 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2017 che modifica la direttiva 2007/36/CE per quanto riguarda l’incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti [14]. Il maggiore coinvolgimento degli azionisti nel governo societario delle società rappresenta – come si evince dal Considerando 14 – «una delle leve che possono contribuire a migliorare i risultati finanziari e non finanziari delle società, anche per quanto riguarda i fattori ambientali, sociali e di governo, in particolare ai sensi dei principi di investimento responsabile sostenuti dalle Nazioni Unite». Disposizioni analitiche sono poi previste in tema di diritto di voto sulla politica di remunerazione (art. 9-bis, art. 9-ter).


7. La direttiva Shareholders’Rights II

Il d.lgs. 10 maggio 2019, n. 49 ha dato attuazione alla direttiva SHRD II nel nostro ordinamento, accogliendo sostanzialmente tutte le innovazioni proposte. Con riferimento ai soci le innovazioni rilevanti riguardano l’identificazione degli azionisti (art. 83-duodecies TUF), le indicazioni sugli «interessi a lungo termine» e sulla «sostenibilità della società» da inserire nella Relazione sulla politica di remunerazione e sui compensi corrisposti (art. 123-ter, comma 3-bis TUF), e l’inte­ra sezione sulla Trasparenza degli investitori istituzionali, dei gestori di attivi e dei consulenti in materia di voto (sez. I-ter, da art. 124-quater ad art. 124-novies TUF). Di particolare interesse la previsione di obblighi di informazione sul comportamento di voto e sul ricorso ai servizi di consulenza in materia di voto (art. 124-quinquies, comma 2, TUF), la disciplina in tema di strategie di investimento degli investitori istituzionali (art. 124-sexies TUF) e le disposizioni in tema di trasparenza dei consulenti in materia di voto (art. 124-octies TUF). Per i profili che ci occupano si vedano ancora le norme che impongono nelle quotate la deliberazione assembleare vincolante sulla politica di remunerazione espressamente orientata long-term (artt. 123-ter, 3-bis e 3-ter TUF) e l’obbligo degli investitori istituzionali e dei gestori di attivi di comunicare al pubblico la «politica di impegno», in particolare sui «risultati non finanziari» e «sull’impatto sociale e ambientale» (art. 124-quinquies, comma 1, TUF), assistiti da un apposito apparato sanzionatorio (cfr. d.lgs. n. 49/2019, art. 4).


8. Il quadro comparatistico

Il quadro comparatistico [15] conferma che vi è una precisa convergenza “neo-istituzionalistica” nei principali ordinamenti. Negli Stati Uniti si segnalano i non-shareholder constituency statutes (che prevedono il dovere di tenere in considerazione gli interessi della comunità di riferimento). Nel Regno Unito il Companies Act del 2006 alla Sec. 172, disciplina, nel quadro dei doveri degli amministratori, the Duty to promote the success of the company, statuendo che gli amministratori must have regard (amongst other matters) a prospettive long term, considerazione degli interessi dei lavoratori, fornitori, clienti, impatto sulla comunità di riferimento e sull’ambiente: in sintesi i fattori ESG. Uno spunto particolarmente interessante ci proviene dalla Francia dove recentemente è stata modificata la definizione stessa dell’interesse sociale. Infatti la Loi n° 2019-486 del 22 maggio 2019, relativa alla crescita e alla trasformazione delle imprese (c.d. “Loi Pacte”), ha modificato l’art. 1833 del Code civil che definiva come objet de la société «l’intérêt commun des associés», aggiungendo l’alinéa che stabilisce che «la société est gérée dans son intérêt social, en prenant en considération les enjeux sociaux et environnementaux de son activité» [16]. Le sfide sociali e ambientali devono dunque essere tenute «en considération». A queste considerazioni si devono aggiungere i segnali pervenuti – di cui dirò poco oltre [17] – dal mondo delle imprese – si pensi alla Business Round Table del 2019 [18] – dalle posizioni assunte dagli investitori istituzionali [19] – si pensi alla lista nera di Black Rock [20] – dall’Unione Europea che ha dedicato alla sostenibilità ai fattori ESG una nutrita attività di consultazione; di cui ricordo soltanto il Final Report per la Commissione europea di Ernst Young da titolo evocativo: «Study on directors’duties and sustainable corporate governance», July, 2020 [21], a cui seguiranno le proposte di direttiva [22].


9. Il Codice di Corporate Governance di Borsa Italiana: successo sostenibile, interessi degli stakeholder, dialogo con gli azionisti

Il Codice di Corporate Governance di Borsa Italiana, nell’ultima versione del gennaio 2020, che verrà applicato dalle società che lo adottano a partire dal primo esercizio che inizia successivamente al 31 dicembre 2020, informando il mercato nella relazione sul governo societario da pubblicarsi nel corso del 2022, ha introdotto numerose innovazioni [23]. In considerazione dell’applicazione del Codice nell’esercizio 2021, ancorché l’informativa al mercato debba essere resa nella relazione sul governo societario da pubblicarsi nel 2022, le società quotate che aderiscono al Codice di Autodisciplina devono esaminare sin d’ora le nuove disposizioni per verificare se e quali adempimenti siano dovuti o opportuni in materia di governance societaria e/o di assetti organizzativi interni. Vero è, come si è detto, che la DNF già contiene informazioni rilevanti in tema di interessi degli stakeholder e di sostenibilità, ma un approfondimento alla luce del nuovo Codice di Corporate Governance pare necessario. Per i profili qui rilevanti (i) il Codice di Corporate Governance ha introdotto la definizione di successo sostenibile e (ii) nei Principi relativi all’Art. 1 – Ruolo del­l’organo di amministrazione ha statuito, al punto I, che «l’organo di amministrazione guida la Società perseguendone il successo sostenibile». Il successo sostenibile è definito come «obiettivo che guida l’azione dell’organo di amministrazione e si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società». La nuova formulazione è dunque in linea con l’evoluzione dell’ordinamento interno ed europeo sotto il profilo (i) della prospettiva long-term e (ii) della rilevanza degli interessi degli stakeholder diversi dagli azionisti. La specificazione «per la società» è, a mio parere, significativa e di pratico rilievo perché individua con maggiore precisione il “perimetro” degli stakeholder rilevanti, non già in termini assoluti e generici, ma da individuarsi nell’area di operatività della Società. Ciò incide anche su un diverso profilo operativo. Il Codice di Corporate Governance prevede tra i Principi relativi al Ruolo [continua ..]


10. Business community, intermediari finanziari, scelte di investimento, gender diversity e fattori ESG: cenni

La sostenibilità, come ho scritto in altra sede [26], ha visto significative evoluzioni – pur sempre in un quadro di non semplice valutazione sul merito e sull’incidenza reale nel complesso e contraddittorio scenario dei mercati finanziari – nelle posizioni espresse dalla business community, degli intermediari finanziari e nelle opzioni degli investitori. Di particolare interesse, sul terreno della sostenibilità ambientale, è la posizione assunta da Black Rock. Black Rock gestisce un patrimonio globale di circa 6 mila miliardi di dollari, quasi il triplo del debito pubblico italiano, ed è socio di grandi società quali Apple, Amazon, Alphanet. Nel 2018 si segnalava [27] che in Italia Black Rock deteneva circa il 5% di primarie società quali Intesa SanPaolo, Unicredit, Mediobanca e Ubi e si sottolineava la posizione di particolare rilievo di Norges Bank Investment Management, fondo sovrano socio, in Italia, di Eni, Saipem, Erg, Autogrill, Ansaldo, Leonardo, Fca, Poste, Juventus. Black Rock nel 2020 ha individuato 244 aziende «che stanno compiendo progressi insufficienti nell’integrare il rischio climatico nei rispettivi business model e informative». La società di asset management presieduta da Larry Fink, sul climate change, ha dunque votato contro nelle assemblee di 53 società e per le restanti 191 ha «notificato lo stato di sorveglianza e il rischio di un’attività di voto nei confronti del management, nel 2021, qualora non compiano progressi sostanziali» [28]. Fra le 53 aziende bocciate sul clima vi sono nomi noti: da Exxon a Chevron, da Lufthansa a Daimler. In particolare sul colosso petrolifero americano Exxon Black Rock chiede un maggiore allineamento alle raccomandazioni della task force creata dal Financial Stability Board (Tcfd) e ai criteri della rendicontazione Sasb. Si pensi inoltre alla presa di posizione assunta dalla Business Roundtable che, il 19 agosto 2019, ha pronunciato lo Statement on the Purpose of a Corporation che espressamente abbandona la tesi dell’interesse sociale circoscritto allo Shareholder Value affermando che esso deve essere contemperato con l’impegno a creare valore anche per tutti gli stakeholder (il documento si può consultare sul sito https://www.businessroundtable.org). Sul significato concreto di questa prospettazione il dibattito è certamente aperto, con [continua ..]


11. La proposta di direttiva sulla responsabilità d’impresa del 10 marzo 2021

Si deve ancora segnalare la recente – del 10 marzo 2021 – Proposta di Direttiva del Parlamento europeo sulla responsabilità d’impresa [35]. La proposta prevede l’introduzione di un dovere generale delle imprese – non solo di grandi dimensioni – di rispettare «i diritti umani, l’ambiente e le regole di buon governo». Sul piano applicativo si propone di adottare formali meccanismi di ricezione, gestione e risposte a rilievi critici formulati, non già come prevede, in termini di dialogo, il nuovo codice italiano di Corporate Governance dagli stakeholder rilevanti per le società bensì da qualsiasi interessato ed inoltre anche in relazione a eventuali «impatti negativi attuali o potenziali» della loro attività, ponendo in essere «azioni rimediali» genericamente descritte. La proposta suscita non poche perplessità: la previsione di doveri generici e di possibili azioni di responsabilità, in cui sembra operare una sorta di inversione dell’onere della prova, rischia di tradurre principi e raccomandazioni – tipiche, correttamente, di Codici etici e di Codici di autodisciplina – in norme giuridiche “a fattispecie aperta” la cui applicazione può condurre a overshooting non appropriati [36]. La mera lettura dell’Oggetto e finalità della Proposta di Direttiva nella sua declinazione operativa (cfr. art. 1, comma 2) è paradigmatica: «La presente direttiva – si prevede testualmente – stabilisce gli obblighi in materia di dovuta diligenza nella catena del valore delle imprese da essa disciplinate, vale a dire adottare tutte le misure proporzionate e commisurate e impegnarsi entro i mezzi a loro disposizione per scongiurare che si producano impatti negativi sui diritti umani, sull’ambiente e sulla buona governance lungo le loro catene del valore e per fronteggiare tali effetti in maniera adeguata allorché si verificano. In virtù dell’esercizio del dovere di diligenza, le imprese sono tenute a individuare, valutare, prevenire, far cessare, attenuare, monitorare, comunicare, contabilizzare, affrontare e correggere gli effetti ne­gativi potenziali e/o effetti sui diritti umani, sull’ambiente e sulla buona governance che possono comportare le loro attività e quelle delle loro catene del valore e di altri rapporti [continua ..]


12. La proposta di direttiva on Corporate Sustainability Due Diligence

Alla proposta di direttiva, di cui ora si è detto, è seguita la Proposta della Commissione europea per una direttiva del Parlamento europeo del Consiglio in tema di Corporate Sustainability Due Diligence and amending Directive (EU) 2019/1937 del 23 febbraio 2022. Si tratta di una proposta di ampio respiro che richiederà approfondite riflessioni. Le finalità – analiticamente esposte nell’Explanatory Memorandum e nei whereas consistono, in estrema sintesi, nell’obiettivo di (1) migliorare le practices di governance, per integrare meglio nelle strategie societarie le procedure di risk management e di prevenzione degli impatti sui diritti umani e sull’ambiente; (2) evitare la frammentazione dei doveri di due diligence in singoli mercati e creare certezza legale per imprese e stakeholder; (3) aumentare la accountability societaria nel contrasto verso gli impatti avversi; (4) rafforzare i rimedi a tutela dei soggetti pregiudicati da comportamenti contrari al rispetto dei diritti umani e agli impatti ambientali imputabili a condotte delle imprese; (5) creare uno strumento “orizzontale” focalizzato sui processi imprenditoriali, con istituti estesi alle catene di valore o a specifici settori produttivi. La proposta di direttiva intende introdurre doveri per le società relativi ad impatti negativi attuali e potenziali su diritti umani ed ambiente, in relazione ad operazioni proprie, operazioni di società controllate e operazioni nella catena del valore. La direttiva non può diminuire il livello di protezione delle legislazioni nazionali europee né di altre norme europee (art. 1). L’area di applicazione (art. 2) riguarda (i) società che occupano oltre 500 dipendenti e con fatturato superiore a € 150 milioni; (ii) società con più di 250 dipendenti e € 40 milioni di fatturato operanti nei settori manifatturieri di prodotti di cuoio, tessili, abbigliamento, calzature, agricoltura, ittica, alimentari, animali, cibo, bevande, estrazioni di minerali, con estensione a società sottoposte a legislazioni di paesi terzi. Si definiscono (art. 3) le fattispecie più significative: «impatto», «relazioni com­merciali», «catena di valore» e così via, in particolare la nozione di stakeholder: dipendenti della società e delle controllate, individui, comunità, gruppi, [continua ..]


13. Sostenibilità e norme costituzionali

Nel diritto italiano sono da segnalare le recenti modifiche degli artt. 9 e 41 della Costituzione introdotte da legge cost. n. 1/2022. All’art. 9 si è inserita la promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica nonché la tutela del paesaggio e del patrimonio artistico della Nazione come dovere della Repubblica che altresì «tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interes­se delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali». All’art. 41 è stato aggiunto il comma 3 ove è statuito che «La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali». I fattori ESG assurgono a norme costituzionali [37]?


14. Quali prospettive?

Formulare oggi valutazioni prospettiche è arduo [38]. Il tema della sostenibilità ambientale si articola, in primo luogo, su diversi piani teorici e pratici: dalle posizioni assunte dagli scienziati nei diversi settori disciplinari (climatologia, geologia, biologia, ecc.), sovente non coincidenti, alle opzioni ideo­logiche, alle scelte statuali e sovranazionali – di policy e di regolazione – il quadro generale risulta fortemente diversificato, contraddittorio e difficilmente riconducibile a linee comuni. E la situazione è analoga per quanto riguarda la tutela dei lavoratori, l’attenzione agli interessi delle comunità di riferimento, la protezione dei diritti umani. Di là dalla condivisione di principi generali, peraltro anch’essi di difficile interpretazione (ambiente, transizione ecologica, diritti umani, lotta alla corruzione) non ritengo appropriato cercare di tradurre i principi in regole di uguale latitudine, per il rischio, a mio parere tutt’altro che remoto, di costruire norme o inapplicabili per eccesso di genericità o suscettibili di interpretazioni soggettive, variabili, incerte e quindi contrarie alla se pur relativa certezza del diritto. Un esempio davvero eclatante ci è fornito dalla già ricordata Proposta di direttiva europea del 10 marzo 2021 in materia di diligenza e responsabilità delle imprese. La seconda proposta di direttiva del 23 febbraio 2022 costituisce un apprezzabile sforzo, come si è detto, di circoscrivere doveri e responsabilità, ma, per le ragioni sopra esposte, richiede ancora, a mio parere, riflessioni puntuali e specifici approfondimenti. È vero che il quadro normativo, attraverso un’attenta indagine comparatistica, offre un ampio materiale di riflessione che dovrebbe, a mio parere, essere ricostruito per settori. Alcuni esempi, in termini problematici. Il panorama europeo vede istituti diversi di protezione degli interessi dei lavoratori alla gestione dell’impresa. Rispetto al vivace dibattito degli anni settanta [39], nonostante i tentativi senza successo di pervenire ad una direttiva in materia, è possibile oggi individuare un minimo comune denominatore traducibile in norme sovranazionali? L’istituto delle Dichiarazioni non finanziarie può essere rafforzato imponendo disclosure e responsabilità più precise così da rafforzare gli [continua ..]


NOTE

[1] Traggo alcuni passi da miei precedenti scritti: Montalenti, Lezione aperta. L’Università e il diritto commerciale, oggi. L’evoluzione della società per azioni: quali prospettive?, in Orizzonti dir. comm., 2021, p. 1107 ss.; Id., La società per azioni: dallo shareholder value al successo sostenibile. Appunti, in AA.VV., Studi di diritto commerciale per Vincenzo Di Cataldo, a cura di Costa-Mirone-Pennisi-Sanfi­lippo-Vigo, vol. II, Impresa, società, crisi d’impresa, tomo II, Torino, 2021, p. 67 ss. Sia consentito altresì il rinvio a Montalenti, La nuova società quotata: quali prospettive?, in Riv. dir. comm., 2022, e in AA.VV., La nuova società quotata, tutela degli stakeholder, sostenibilità e nuova governance, a cura di Montalenti-Notari, Atti del Convegno Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale CNPDS e dalla Fondazione Courmayeur, 9 aprile 2021, in corso di stampa nei Quad. giur. comm.; Montalenti, Il diritto societario europeo, in AA.VV., Le società, a cura di Montalenti, in Trattato di di­ritto privato dell’Unione Europea, diretto da Ajani-Benacchio, Torino, in corso di pubblicazione. [2] In argomento si vedano sin d’ora due opere generali: Rolli, L’impatto dei fattori ESG sull’impre­sa. Modelli di governance e nuove responsabilità, Bologna, 2020; Caterino-Ingravallo, L’impresa sostenibile. Alla prova del dialogo dei saperi, Lecce, 2020. Si veda altresì, in particolare con riferimento alle recenti modifiche costituzionali nell’ordinamento italiano, con la modifica degli artt. 9 e 41 Cost., Cerrato, Appunti per una “via italiana” all’ESG: l’impresa “costituzionalmente solidale” (anche al­la luce dei “nuovi” artt. 9 e 41, comma 3 Cost.), in corso di pubblicazione. [3] Tra gli altri: Bebchuk-Tallarita, Shareholderism versus Stakeholderism – A Misconceived Contradiction. A Comment on “The Illusory Promise of Stakeholder Governance”, disponibile su https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3617847; Enriques, The Business Roundtable CEOs’Sta­tement: Same Old, Same Old, disponibile su https://www.law.ox.ac.uk/business-law-blog/blog/2019/09/business-roundtable-ceos-statement-same-old-same-old; Ventoruzzo, Beware of the Panacea of Stakeholder-friendly Corporate Purposes, disponibile su [continua ..]