L’a. analizza i profili generali in materia di assetti organizzativi adeguati nel quadro della corporate governance.
Riconduce gli assetti ai principi di corretta amministrazione nel contesto dei doveri di informazione in capo agli organi delegati e della valutazione del consiglio di amministrazione. Tracciata una distinzione tra assetti organizzativi e scelte di organizzazione d’impresa, propone una definizione della fattispecie anche alla luce delle scienze aziendali, della prassi, della soft law.
Richiamati gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali in tema di business judgment rule, conclude sostenendo che la regola della insindacabilità salvo manifesta irrazionalità si applica alle scelte (di merito) di organizzazione dell’attività ma non si applica agli assetti organizzativi, ascritti invece ai principi di corretta amministrazione, fermi restando i principi di proporzionalità e di flessibilità dei modelli.
Parole chiave: Principi di corretta amministrazione – Assetti organizzativi adeguati – Informazioni – Valutazione consiliare – Proporzionalità – Business Judgment Rule.
The author analyzes the general profiles on the adequacy of organizational structures within the framework of corporate governance.
The paper traces back those structures to the principles of good governance in the context of the existing information duties upon executive bodies of and the assessment by the board of directors. Having drawn a distinction between organizational structures and business organization choices, the author proposes a definition based also on economics business sciences, practice and soft law.
After recalling case law and academic literature on business judgment rule, he concludes by arguing that the rule on the absence of scrutiny (up to the limit of manifest unreasonableness) applies to business organization choices but it does not apply to organizational structures, ascribed instead to the principles of good governance, without prejudice to the principles of proportionality and flexibility of the models.
Keywords: Principles of good governance – Adequate organizational structures – Information – Board evaluation – Proportionality – Business Judgment Rule.
1. Premessa - 2. I principi di corretta amministrazione - 3. Assetti organizzativi e gestione dell’impresa: contraddittori interventi legislativi - 4. Assetti organizzativi: s.p.a. e s.r.l. - 5. Adeguatezza degli assetti: informazioni e valutazione consiliare - 6. Adeguatezza degli assetti organizzativi: criteri di integrazione della clausola generale - 7. Assetti organizzativi, principio di proporzionalità, flessibilità dei modelli - 8. L’adeguatezza funzionale alla prevenzione della crisi - 9. Assetti organizzativi e scelte di organizzazione d’impresa: una distinzione essenziale - 10. Assetti organizzativi e scelte di organizzazione tra diritto, scienze aziendali e soft law - 11. Assetti organizzativi, principi di corretta amministrazione, business judgment rule: ambiguità giurisprudenziali - 12. Assetti organizzativi adeguati, interesse sociale, diligenza e business judgment rule: riflessioni finali - NOTE
I contributi degli autori di questo numero della Rivista affrontano analiticamente, anche con ampi riferimenti, i diversi profili in cui il tema degli assetti organizzativi adeguati si articola. Mi limiterò, pertanto, in questo scritto introduttivo [1], a tracciare i profili generali della materia nel quadro del sistema di corporate governance, formula polisensa ma qui intesa come insieme delle regole relative alla direzione dell’impresa azionaria [2].
I principi di corretta amministrazione sono un paradigma normativo, espressamente codificato all’art. 2403 c.c., all’art. 149 TUF, all’art. 2497 c.c., con riferimento ai gruppi. Per correttezza gestoria [3] deve intendersi l’insieme delle attività informative, istruttorie, valutative relative ad un atto societario, ad un’operazione straordinaria, ad un’acquisizione, ad un contratto commerciale rilevante e così via per ponderarne vantaggi e costi prevedibili, sviluppi prospettici e, in particolare, la misurazione del margine di rischio associato. Si tratta dunque di attività prodromiche e/o coessenziali precedenti o parallele alle scelte di merito in senso stretto caratterizzate invece dai rischi intrinseci ad un’economia di mercato ed allo spirito schumpeteriano dell’imprenditore. È noto, ad esempio, come la prassi internazionale abbia sviluppato, in materia di acquisizioni societarie, tecniche sofisticate di verifica preventiva, patrimoniale, economica, finanziaria; di valutazione dei rischi finanziari, debitori, fiscali, giudiziali e così via – la c.d. fase di due diligence – che, peraltro, si traducono nei complessi contratti di compravendita transnazionale di azioni, articolati in puntuali clausole di representations and warranties [4]. Attività informative, istruttorie e valutative che attengono ai principi di corretta amministrazione, non alle scelte di mercato, insindacabili salvo manifesta irrazionalità. E si pensi ai molteplici esempi che possono formularsi in tema di non corretta gestione societaria e imprenditoriale nei gruppi [5]. Orbene: la violazione dei principi di corretta gestione è sindacabile in termini di vigilanza critica del collegio sindacale (art. 2403 c.c. e art. 149 TUF), di gravi irregolarità ex art. 2409 c.c. o di azioni di responsabilità. Anche per traslazioni comparatistiche [6] è invece oggi principio consolidato in giurisprudenza, anche nel nostro ordinamento, che una scelta gestoria sfortunata, a meno di manifesta irrazionalità, è “protetta” dalla business judgment rule [7]. Ritengo invece che la violazione delle regole tecniche di informazione preventiva, di indagini istruttorie focalizzate, di calcoli di rischio mirati, quindi del dovere di un’appropriata due diligence, può essere fonte di [continua ..]
Il Codice della crisi e dell’insolvenza, tracciando un nesso sistematico tra diritto dell’impresa, diritto societario e diritto della crisi [9] ha introdotto, in punto di assetti organizzativi [10] la norma di cui al secondo comma dell’art. 2086 [11] che costituisce un architrave di vertice della corporate governance fondato sui seguenti paradigmi: (i) assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato; (ii) principio di proporzionalità; (iii) funzionalizzazione alla prevenzione della crisi; (iv) dovere di attuazione. Con improvvido, asistematico e contraddittorio interventismo il legislatore ha introdotto la regola dell’esclusività della gestione in capo agli amministratori – già previsto per la società per azioni (art. 2380-bis) – anche per le società di persone (art. 2257, comma 1) e per la società a responsabilità limitata (art. 2475). Lo “scivolone” normativo è stato immediatamente colpito dagli strali della maggioranza della dottrina [12], sia pure con variegate interpretazioni ortopediche. Il legislatore ha poi, conseguentemente, modificato – con il c.d. “Decreto correttivo”: d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, art. 289 – le disposizioni, limitando la competenza esclusiva degli amministratori alla predisposizione degli assetti organizzativi adeguati. Peraltro, con un curioso pleonasmo, ha precisato che anche nella società per azioni la predisposizione degli assetti organizzativi spetta esclusivamente agli amministratori: disposizione singolare dal momento che agli amministratori, già con la riforma del 2003, spetta, in via esclusiva, la gestione della società. A meno che il legislatore presupponga che l’istituzione degli assetti organizzativi non sia attività ricompresa nella gestione dell’impresa.
L’ultima formulazione dell’art. 2380-bis è comunque singolare. Il legislatore – a seguito del segnalato intervento correttivo – ha statuito che «la gestione dell’impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all’art. 2086, secondo comma e spetta esclusivamente agli amministratori» ma ha altresì precisato che «l’istituzione degli assetti di cui all’art. 2086, secondo comma, spetta esclusivamente agli amministratori». Parrebbe allora doversi evincere che, a contrario, cioè in assenza di questa specificazione, l’istituzione di assetti organizzativi non sia, per se, atto di amministrazione: il che contrasta con il sistema di ripartizione di competenze nella s.p.a. in cui nessun atto amministrativo può essere attribuito ai soci, ma soltanto soggetto, statutariamente, ad autorizzazione ex art. 2464, comma 1, n. 5. Si potrebbe forse sostenere che la norma fornisce una chiave interpretativa della competenza in materia di assetti nella s.r.l. Vero infatti che l’art. 2475 stabilisce che (anche per la s.r.l.) «la gestione dell’impresa si svolge nel rispetto dell’art. 2086, secondo comma» e che, allora, alla luce della “precisazione” dell’art. 2380-bis, l’istituzione degli assetti organizzativi, non operando nella s.r.l. il principio di esclusività della gestione dell’impresa in capo agli amministratori, debba essere invece esclusivamente attribuita ad essi e non, ad esempio, ai soci non amministratori [13].
Si deve sottolineare che – già con la riforma del 2003, ben prima, quindi, della “integrazione” dell’art. 2086 ad opera del Codice della Crisi – il legislatore, all’art. 2381 terzo comma c.c., ha inserito «l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società» nell’“architettura strutturale” della corporate governance e precisamente (i) come dovere degli «organi delegati» (art. 2381, comma 5, c.c.); (ii) come oggetto di «informazioni» dovute al consiglio (art. 2381, comma 3, c.c.); (iii) come oggetto del dovere di valutazione del consiglio stesso (art. 2381, comma 3, c.c.). Come ho ampiamente argomentato in diversi scritti, le informazioni devono essere appropriate e quindi chiare, sufficientemente analitiche, non apodittiche, ma neppure esageratamente estese, proprio perché devono essere idonee a consentire la valutazione del consiglio che non può ridursi ad una mera presa d’atto. Con un dovere quindi di ogni consigliere – tenuto ad agire informato (ex art. 2381, comma 6, c.c.) – a richiedere «in consiglio» informazioni ulteriori, qualora quelle ricevute non fossero sufficienti, trasparenti, comprensibili, efficaci insomma per rendere una valutazione consapevole.
Le clausole generali necessitano, per definizione, di essere integrate per specificarne il contenuto in relazione alla fattispecie, ai soggetti, alla peculiarità del contesto normativo; ben noto il dibattito sulla criticità metodologica, in particolare sul rischio di eccessi di creativismo giurisprudenziale [14]. Senza volere, ovviamente, riprendere in questa sede un dibattito che da decenni impegna la dottrina, mi limito ad osservare che la nozione di assetti organizzativi adeguati non può che essere specificata, puntualizzata, precisata e quindi dotata di un appropriato contenuto precettivo: da standard a rule. A mio parere il criterio integrativo primario, per le clausole o le fattispecie generali di diritto societario, deve essere ricercato nella elaborazione tecnico-aziendalistica e nelle best practices che in materia hanno articolato principi, elementi costitutivi, schemi, modelli, regole operative a cui il giurista, nell’applicare la norma, non può non fare riferimento. Come si è già precisato, gli assetti organizzativi adeguati sono ispirati al principio, normativo, della proporzionalità che ha – peraltro – anche una precisa declinazione tecnica e operativa. Ad esempio una società in nome collettivo avente ad oggetto la distribuzione commerciale nel territorio cittadino di articoli sportivi, dovrà, esemplificativamente, essere dotata di un responsabile degli acquisti, di un responsabile del magazzino, eventualmente di un direttore del personale, di un addetto alla contabilità, di un sistema informativo appropriato. Diversamente, una società per azioni di medio-grandi dimensioni, produttrice di componenti elettronici, con una media di trecento dipendenti, dovrà dotarsi, nella predisposizione degli assetti organizzativi, oltre agli addetti alle funzioni sopra indicate, di un direttore generale, di uno o più capireparto nelle officine, di sistemi di protezione della sicurezza sul lavoro, di un sistema coordinato – societario e aziendalistico – di controllo interno, di un modello 231, di un regolamento disciplinante i flussi informativi interni, di un sistema di rilevazione contabile informatizzato. Ancora, una società capogruppo multinazionale, holding di società operanti nel settore della produzione di arredamenti domestici, dovrà dotarsi di una struttura degli assetti ben più complessa, [continua ..]
Si è già accennato in apertura al principio di proporzionalità. Il legislatore è, sul punto, inequivoco: l’adeguatezza dell’assetto deve essere parametrata alla «natura» e alle «dimensioni dell’impresa». La valutazione deve sempre avvenire con valutazione ex ante e non ex post, così come rigorosa deve essere la ricostruzione del nesso di causalità: la carenza di adeguatezza degli assetti organizzativi, in particolare nella loro funzione di prevenzione della crisi, può essere fonte di responsabilità. Nei termini e per le ragioni di seguito esposte.
Si deve poi ulteriormente sottolineare che il legislatore della riforma ha espressamente funzionalizzato l’adeguatezza alla prevenzione della crisi. Il nuovo “tassello normativo” introduce un elemento ulteriore di specificazione dell’adeguatezza che contrasta ulteriormente, a mio parere, con la riconducibilità degli assetti alla “zona protetta” della business judgment rule. La struttura organizzativa (uomini, procedure, strumenti) [16] non può più declinarsi come mero assetto elementare diretto a garantire un regolare svolgimento dell’attività, un monitoring costante e/o periodico della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, ma deve contenere, sempre graduate dal principio di proporzionalità, metodologie prognostiche di intercettazione dei segnali di crisi che per essere efficaci devono anche rilevare i dati per l’early warning nella c.d. twilight zone. La nuova disciplina deve sicuramente essere interpretata con un appropriato bilanciamento tra libertà d’iniziativa economica e interesse – di sistema – di ordinata organizzazione interna dell’impresa societaria [17], ma rappresenta, in ogni caso, una svolta sistematica perché non affida più soltanto all’estro, alla genialità, all’intuizione dell’imprenditore – che rimane alla base dell’economia di mercato – lo svolgimento dell’impresa ora normativamente regolato da principi e regole tecniche. In fondo una scelta che trascende il mero diritto e travalica nella cultura d’impresa: se si riflette sulla frequenza con cui nella casistica pratica si verifica, a causa di default organizzativi, l’emersione tardiva non già della probabilità dell’insolvenza, ma addirittura della insolvenza conclamata, non possiamo che concludere con un giudizio positivo sul risultato, finale, della riforma in materia.
Esplicitamente o implicitamente chi sostiene l’applicabilità agli assetti organizzativi della business judgment rule è mosso dalla preoccupazione che il sindacato, dell’organo di controllo, dell’autorità di vigilanza o del giudice, sconfini nella valutazione di merito e che, in giudizi di responsabilità, si crei il rischio di hindsight bias [18]. A mio parere la questione si pone in termini diversi. Come ho già sostenuto in altra sede [19], le clausole o fattispecie “generali” – nel nostro caso gli assetti organizzativi adeguati – devono essere integrate con i contributi delle discipline tecnico-aziendali, della prassi, della soft law. Diversa è la fattispecie delle scelte organizzative di mercato: sul punto ritengo rilevante sottolineare che nella scienza aziendalistica e nella realtà operativa la distinzione è ben chiara. Degli assetti organizzativi si è detto. Altro è il profilo organizzativo strettamente connesso e intersecato con le scelte di mercato. Alcuni esempi. Un’impresa di distribuzione di prodotti di abbigliamento, se intende abbandonare la vendita di prodotti di massa e introdursi nel mercato di prodotti di haute couture, dovrà modificare fornitori, responsabili commerciali, look dei negozi di distribuzione, tecniche pubblicitarie: scelte organizzative dunque strettamente connesse alla scelta di mercato. Se un’impresa produttrice di macchine agricole, affermata sul mercato nazionale, intende allargarsi ad altri mercati, dovrà modificare la propria organizzazione produttiva, decidere tra forme di multidivisional firm e organizzazione di gruppo, ricorso alla filiera e così via. In punto di diritto, nei casi prospettati, non si potranno ritenere violate le regole sugli assetti organizzativi per aver rischiato sul tipo di prodotto, sull’area di mercato, sull’area dei consumatori, sulle modalità di produzione: scelte organizzative, dunque, strettamente connesse al merito e, dunque, al rischio d’impresa. In conclusione – a mio parere – le scelte di organizzazione connesse e biunivocamente collegate alle opzioni di merito, cioè di mercato, sono quindi – queste sì – protette dalla business judgment rule. Come poco oltre più analiticamente argomentato.
Non vi è dubbio che la distinzione tra assetti organizzativi e scelte di organizzazione può apparire non sempre agevole e di immediata evidenza. Ma l’evoluzione dell’impresa, l’affinamento delle scienze aziendalistiche, l’imponente produzione di linee guida, unite ad un’equilibrata art of distinguishing può condurre ad un’applicazione efficace delle due categorie concettuali: gli assetti organizzativi sindacabili in caso di violazione dei principi di correttezza, le scelte di organizzazione dell’impresa connesse alle opzioni di mercato sindacabili soltanto in caso di manifesta irrazionalità. “Per assetti organizzativi” – si legge ad esempio nella circolare di Assonime dell’agosto 2019 [20] – «far riferimento agli aspetti statico-strutturali dell’organizzazione dell’impresa nel senso di configurazione di funzioni e competenze (funzionigramma), poteri e responsabilità (organigramma). Gli assetti amministrativi fanno riferimento ad una dimensione dinamico-funzionale dell’organizzazione, intendendosi per tale l’insieme delle procedure e dei processi atti ad assicurare il corretto e ordinato svolgimento delle attività aziendali e delle loro singole fasi. Gli assetti contabili sono quella parte degli assetti amministrativi volti ad una corretta traduzione contabile dei fatti di gestione sia ai fini di programmazione sia ai fini di consuntivazione». Ancora più puntuali le norme di comportamento elaborate dal CNDCEC per le società non quotate che prevedono specifici requisiti di un assetto organizzativo adeguato: organigramma, funzionigramma, procedure efficienti ed efficaci di gestione dei rischi, personale competente, direttive in materia di procedure aziendali con adeguati flussi informativi [21]. Il CNDCEC ha recentemente approvato le norme di comportamento del Collegio sindacale, applicabili dal 1° gennaio 2021 [22]. Le modifiche sono rilevanti; in particolare, in relazione alla materia che qui ci occupa, sono state introdotte regole di comportamento specifiche in merito alla vigilanza del collegio sindacale sulla istituzione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati, alla luce del nuovo testo dell’art. 2086 del codice civile. Si definisce la fattispecie e si precisano gli oggetti della valutazione di adeguatezza e le metodologie di [continua ..]
La giurisprudenza in materia si è espressa in modo non sempre lineare sul rapporto tra assetti organizzativi e business judgment rule. Prendiamo le mosse da una sentenza del Tribunale delle Imprese di Milano che, a quanto consta, è la prima pronuncia anche sul nuovo art. 2086 c.c. [23]. Il tema è in realtà assorbito da molteplici violazioni di legge nell’ambito di un procedimento ex art. 2409, tra cui però viene espressamente indicata l’«inadeguatezza dell’attuale gestione rispetto ai relativi obblighi, come in particolare oggi disegnati dal nuovo testo dell’art. 2086 c.c. modificato dal d.lgs. n. 14/2019, nuovo testo in vigore dal 16.3.2019». Anche se il rilievo si configura più come obiter dictum che come ratio decidendi, in quanto assorbito nell’inadempimento a provvedere in merito al conclamato stato di crisi e di assenza di continuità aziendale, dal complesso della motivazione pare ricavarsi il principio che la predisposizione di assetti organizzativi adeguati debba qualificarsi come dovere di rispetto dei principi di corretta amministrazione e non soggetto alle larghe maglie della business judgment rule. La giurisprudenza precedente si è espressa in termini a volte ambigui. La S.C. ad esempio ha motivato la propria decisione «correttamente applicando il principio di business judgment rule più volte affermato da questa Corte secondo cui il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanza di tali scelte, … ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità» [24]. L’arrêt della Suprema Corte traccia, a mio parere correttamente, il discrimen tra merito dell’operazione (insindacabile) e diligenza, ricondotta invece alla regola di corretta procedimentalizzazione normativa, ma non attiene espressamente al tema degli assetti organizzativi. Nel senso invece specifico dell’applicabilità della business judgment rule in relazione all’adeguatezza degli assetti organizzativi si è [continua ..]
In conclusione la materia degli assetti organizzativi assume un rilievo sistematico e operativo centrale nel diritto delle società di capitali. Per le ragioni esposte ritengo che l’adeguatezza sia da ascriversi ai principi di corretta amministrazione non assistiti dalla business judgment rule [29]. Più precisamente, la diligenza, professionale, e il principio di correttezza, a mio parere, non coincidono. La diligenza professionale è il principio generale, di cura, attenzione, precisione tecnica, lo standard comportamentale generale che distingue la diligenza dell’amministratore di società di capitali dalla diligenza dell’uomo comune. La correttezza è una species, connessa ma distinta che si colloca quale categoria intermedia (tra merito e legalità) consistente nella completezza istruttoria, informativa e procedurale che deve assistere il processo decisionale: tema aperto e ampiamente dibattuto ma su cui mi sembra di dover confermare tesi che ho da tempo sostenuto [30]. Sempre nei limiti della proporzionalità, della flessibilità, dell’anti-schematismo è quindi soggetta ad uno scrutinio più stringente della mera manifesta irrazionalità. Gli assetti organizzativi adeguati sono una species («in particolare»: art. 2403 c.c.) dei principi di corretta amministrazione. In conclusione, a mio parere, solo le scelte organizzative strettamente legate al merito – si pensi alla catena distributiva o al franchising nella distribuzione di prodotti di massa; si pensi alla dislocazione produttiva per risparmio di costi; si pensi alla costruzione della filiera tecnologico-produttiva – sono ascritte al “porto sicuro” della BJR. Per contro gli assetti organizzativi – e quindi organigramma, funzionigramma, flussi informativi, corretta rilevazione contabile anche adeguati alla rilevazione della crisi – sono sindacabili, e quindi fonte di potenziale responsabilità, se non corrispondenti ai principi di correttezza, pur sempre alla luce del principio di proporzionalità e flessibilità dei modelli. Non credo che l’assunzione della BJR a principio supremo equiparato alla libertà di iniziativa economica sia un risultato ermeneutico condivisibile. Oltre agli argomenti sopra svolti, la prassi, ben nota ad operatori e professionisti, che quotidianamente ci espone casi di imprese in [continua ..]