Rivista Corporate Governance ISSN 2724-1068 / EISSN 2784-8647
G. Giappichelli Editore

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Il surplus da continuità nella gestione dei debiti fiscali e contributivi tra aperture giurisprudenziali e novità legislative (di Francesco Campobasso, Professore associato nell’Università degli Studi di Bari – Mario Nencha, Avvocato del Foro di Bari)


Lo scritto, ripercorrendo le vicende che hanno interessato la gestione dei debiti tributari e previdenziali nell’ambito delle procedure di concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, evidenzia le principali novità introdotte, con particolare riguardo all’utilizzo del surplus da continuità, dal Codice della crisi come modificato dal d.lgs. n. 83/2022.

 

Surplus from continuity in the management of tax and social security debts between case law openings and legislative news

The paper, retracing the events that have affected the management of tax and social security debits in the context of procedures concerning preventive restructuring and agreements with creditors, highlights the main innovations introduced, with particular regard to the use of the continuity surplus, by the Code of crisis as amended by Legislative Decree 83/2022.

Keywords: preventive restructuring, tax and social security debts, surplus from continuity, relative priority rule.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La transazione fiscale e previdenziale - 3. Il c.d. cram down - 4. I limiti alla gestione dei flussi di cassa nel concordato preventivo tra vecchia normativa e aperture giurisprudenziali - 5. La nuova regola della priorità relativa nel concordato in continuità - 6. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

I crediti dell’Erario e degli Enti previdenziali rappresentano, da tempo, la posta di maggior rilievo nell’ambito delle procedure concorsuali, con una percentuale di soddisfacimento medio pressoché irrisoria [1]. La consapevolezza del ruolo che questi crediti hanno assunto nelle procedure di risanamento e gestione del default dell’impresa ha, quindi, indotto il legislatore nazionale ad introdurne una ulteriore specifica disciplina nel Codice della crisi d’im­presa e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) [2], quest’ultimo esplicitamente orientato verso l’individuazione di strumenti volti ad intercettare i primi segni di decozione e verso la salvaguardia della capacità imprenditoriale (piuttosto che la liquidazione). In particolare, l’esigenza di definire il ruolo dei crediti tributari e previdenziali nell’apprezzamento della condizione di difficoltà del debitore emerge chiaramente dalla lettura del Codice, tanto nella versione originaria, quanto in quella modificata dal d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 e, da ultimo, dal d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83. Assume, infatti, un rilievo fondamentale nella riforma il meccanismo della cosiddetta allerta esterna, ovvero della segnalazione effettuata dai creditori pubblici qualificati (Amministrazione fiscale e previdenziale) all’organo amministrativo delle imprese in difficoltà, avente ad oggetto lo sforamento di alcune soglie – assolute o relative – di indebitamento. Tale tipologia di allerta, unitamente a quella cosiddetta interna (che si configura come l’onere che grava sui sindaci e sui revisori di segnalare, sempre all’organo amministrativo, tanto l’esistenza delle cause di crisi quanto la necessità di intervenire per il ripristino delle condizioni di continuità aziendale, monitorando altresì l’esito delle attività all’uopo poste in essere dall’im­presa per rimediare alla situazione contingente), dovrebbe garantire – negli auspici del legislatore – un’anticipata percezione dello stato di difficoltà per consentirne una gestione più efficace. Focalizzando l’attenzione su quanto previsto dalla versione originaria del Codice, emerge che: – l’art. 15 (“Obbligo di segnalazione di creditori pubblici qualificati”), comma 2, definiva quando l’esposizione debitoria [continua ..]


2. La transazione fiscale e previdenziale

Come noto, con questa transazione il contribuente può proporre – nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione o con il piano di concordato – il pagamento parziale o dilazionato dei tributi e contributi (nonché dei relativi accessori) amministrati dalle Agenzie fiscali e dagli Enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatoria [3]. La norma è stata introdotta per permetterne la falcidia (o dilazioni di pagamento più ampie rispetto a quanto previsto dalle singole leggi impositive e previdenziali), nonostante il principio di indisponibilità del credito erariale. L’istituto, che ha avuto vicende normative e giurisprudenziali complesse [4], è stato riproposto nel nuovo Codice della crisi ricalcando sostanzialmente le orme del novellato art. 182-ter della legge fallimentare. L’esperienza dei Tribunali ha, nel tempo, messo chiaramente in evidenza che la principale criticità applicativa dell’istituto, così come originariamente concepito, andava individuata in una diffusa ritrosia delle Amministrazioni nell’apprezzare la convenienza della proposta (anche quando risultava oggettivamente conveniente e persino quando, nel concordato preventivo, vi era parere favorevole del Commissario Giudiziale). L’impasse, in particolare, non è risultato concretamente risolubile in ambito giurisprudenziale dove, ancora fino a poco tempo fa, si discuteva finanche del giudice giurisdizionalmente competente a conoscere dell’impugnativa contro il diniego o il silenzio dell’Amministrazione [5].


3. Il c.d. cram down

Per superare la situazione di stallo, il Codice della crisi ha introdotto, nella sua formulazione originaria, all’art. 45, comma 5, l’istituto del c.d. cram down. Il cram down, in sintesi, è un’espressione anglosassone che indica la possibilità per il Tribunale di omologare il concordato e/o l’accordo di ristrutturazione nonostante l’assenza di voto o il voto contrario di un creditore (in questo caso il Fisco o l’INPS), se ritiene che il credito possa risultare soddisfatto dalla procedura concorsuale in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente percorribili. L’istituto, come noto, è divenuto operativo ben prima della prevista entrata in vigore del Codice: infatti, per anticiparne sostanzialmente gli effetti (in considerazione della situazione di crisi economica per le imprese determinata dall’emergenza epidemiologica da Covid-19), il legislatore (a far data dal 4 dicembre 2020) aveva integrato, in tali sensi, l’articolo 180, comma 4 (relativo al concordato preventivo) [6] e l’articolo 182-bis, comma 4 (relativo agli accordi di ristrutturazione) [7] della legge fallimentare. La giurisprudenza fallimentare ha accolto con favore la novella, evidenziando con tempestività gli aspetti problematici ad essa connessi e consentendone una rimodulazione normativa (che, a tempo di record, ha reso l’istituto un efficace strumento per superare l’ipotesi fallimentare tutte le volte in cui l’alternativa proposta risultava oggettivamente migliorativa per il ceto creditorio) [8]. Il d.lgs. n. 83/2022 ha sostanzialmente recepito l’esperienza maturata nell’ultimo biennio e, superando la formulazione unitaria dell’art. 45, comma 5 (che è stato abrogato), ha correttamente ricondotto il cram down nell’alveo della disciplina del trattamento dei debiti tributari e previdenziali cui inerisce: oggi, in particolare, l’istituto risulta compiutamente disciplinato dall’art. 63, comma 2-bis per gli accordi di ristrutturazione e dall’art. 88, comma 2-bis per il concordato. Il tribunale, quindi, può omologare gli accordi di ristrutturazione o il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell’Amministrazione finanziaria o degli Enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando: (1) l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento [continua ..]


4. I limiti alla gestione dei flussi di cassa nel concordato preventivo tra vecchia normativa e aperture giurisprudenziali

Nel quadro fin qui delineato va collocata la problematica, di non poco conto nella predisposizione del piano, dell’utilizzo dei flussi finanziari (o, più in generale, del valore eccedente quello di liquidazione) che si generano nel concordato preventivo in continuità [9]. Infatti, i principi che fino ad oggi sottendevano alla pianificazione del concordato erano quello “del divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione” (in forza del quale non è possibile procedere ad alcun pagamento del grado inferiore di privilegi, fintanto che quello superiore sia stato soddisfatto integralmente), quello della falcidiabilità dei crediti privilegiati “purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione”, integrato, per quanto attiene ai crediti tributari, da quello “del divieto di trattamento deteriore rispetto ai crediti omogenei” (in forza del quale il trattamento riservato a tali crediti di natura privilegiata non può essere deteriore rispetto a quello destinato ad altri crediti caratterizzati da una posizione giuridica e da interessi economici omogenei)[10]. Il loro rispetto imponeva, quindi, di valutare non solo se tali flussi (evidentemente futuri) dovessero essere considerati ai fini del raffronto con l’alternativa liquidatoria, ma anche di stabilire se fossero – ed in che misura – liberamente disponibili da parte del debitore nella distribuzione ai creditori (ovvero se dovesse essere rigorosamente rispettato l’ordine dei privilegi). Quanto al primo punto, per ampliare le opportunità offerte dal concordato, si è sostenuto che la regola della responsabilità patrimoniale illimitata stabilita dal primo comma dell’art. 2740 del codice civile trovava un limite nella disciplina della continuità, dato che l’art. 186-bis, comma 2, lettera b), della legge fallimentare prevedeva quale condizione per essere ammessi alla procedura concordataria che essa fosse funzionale alla migliore soddisfazione dei creditori. Il confronto, in tal modo, avrebbe dovuto essere condotto con riferimento al patrimonio già esistente alla presentazione della domanda (dovendosi conseguentemente ritenere legittimo che i flussi generati dalla prosecuzione dell’attività aziendale permanessero [continua ..]


5. La nuova regola della priorità relativa nel concordato in continuità

Il differente principio della priorità relativa, assunto dalla direttiva Insolvency a regola generale di distribuzione del patrimonio tra i creditori (in una evidente ottica di facilitare le ristrutturazioni, preservando la continuità aziendale), ha orientato il legislatore nazionale verso soluzioni più aderenti al precetto comunitario. L’art. 11, par. 1, lett. c) della direttiva prevede, pur consentendo agli Stati membri di derogarvi, che il patrimonio del debitore, nella ristrutturazione con più classi di creditori (cd. ristrutturazione trasversale), possa essere distribuito secondo la regola per cui “le classi di voto dissenzienti di creditori interessati ricevano un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori”. Il combinato disposto dall’art. 84, comma 6, e dall’art. 112, comma 2, del Codice della crisi (come modificato dal d.lgs. n. 83/2022) ha recepito tale criterio, nel concordato in continuità aziendale, per il pagamento di tutti i crediti (non solo tributari e previdenziali), prevedendo che il valore eccedente quello di liquidazione possa essere liberamente distribuito purché i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore (il rispetto della regola della priorità assoluta viene mantenuto unicamente per i crediti del lavoratore dipendente assistiti dal privilegio di cui all’art. 2751-bis, n. 1, del codice civile). Il Codice, quindi, indica due principi da osservare nella ripartizione dell’attivo concordatario: (i) il valore di liquidazione dell’impresa deve essere distribuito nel pieno rispetto delle cause legittime di prelazione (regola della priorità assoluta); (ii) il cd. surplus da continuità può essere distribuito secondo la regola della priorità relativa (con salvezza dei crediti lavorativi indicati). Resta fermo, con specifico riferimento alla tematica trattata, che: – i crediti tributari o previdenziali degradati devono essere suddivisi in apposita classe (art. 85, commi 2 e 3); – il trattamento riservato a tali crediti non può essere differenziato rispetto a quello dei crediti per i quali è previsto un trattamento più [continua ..]


6. Conclusioni

Con il Codice della crisi la regola cosiddetta della priorità assoluta continua a presiedere la modalità di ripartizione del patrimonio del debitore, seppure limitatamente a quello esistente al momento dell’apertura della procedura. Le maggiori risorse che si generano con la continuità, invece, possono essere utilizzate anche in deroga (con il limite del pagamento dei crediti lavorativi privilegiati ex art. 2751-bis, n. 1, del codice civile), purché venga garantito ad ogni creditore un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore. Questa facoltà (cosiddetta regola della priorità relativa), dunque, originariamente ammessa per i soli crediti fiscali e previdenziali, è stata estesa dal Codice a tutti i crediti entro i limiti indicati. Più in generale, la possibilità di disporre liberamente delle risorse aziendali nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, chiaramente promossa dalla direttiva Insolvency, viene recepita, nell’ambito del Codice, dall’art. 64-bis che introduce il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione: tale piano, infatti, può prevedere – previa suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei – la distribuzione (senza vincoli) del valore generato dallo stesso, anche in deroga agli artt. 2740 e 2741 del codice civile ed alle disposizioni che regolano la graduazione delle cause legittime di prelazione. Il fatto che la proposta ex art. 64-bis del Codice debba essere approvata dall’una­nimità delle classi per essere omologata, però, difficilmente consentirà di prescindere dalla natura dei crediti e dalla graduazione che ne conseguirebbe nel concorso tra di loro. Pertanto la nuova normativa, estendendo la regola della priorità relativa oltre il limite del solo ambito fiscale e previdenziale, finisce per candidare il concordato in continuità a strumento principe di definizione delle situazioni di crisi aziendali, in quanto potenzialmente idoneo a favorire il maggiore consenso dei creditori. La concreta applicazione di tale regola, in ultima analisi, sarà influenzata dal perimetro di stima dell’alternativa liquidatoria nei termini sopra indicati, con particolare riferimento al valore di [continua ..]


NOTE