Rivista Corporate Governance ISSN 2724-1068 / EISSN 2784-8647
G. Giappichelli Editore

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Crisi, assetti adeguati e business judgement rule (di Stefano A. Cerrato, Professore ordinario di Diritto commerciale presso l’Università degli Studi di Torino)


L’entrata in vigore del Codice della crisi completa il disegno originario, rimasto attuato solo in parte, di un sistema di assetti organizzativi, amministrativi e contabili preordinati anche alla rilevazione anticipata della crisi. L’implementazione di questo obbligo lascia tuttavia irrisolta, fra le altre, la delicata questione della soggezione dell’organo amministrativo al sindacato giudiziario ovvero dell’operatività del safe harbour della business judgement rule.

Crisis, adequate corporate structure, and business judgement rule

The entry into force of the Code of business crisis completes the original design, which has remained only partially implemented, of a system of organizational, administrative and accounting structure also preordained to the early detection of crisis. The implementation of this obligation, however, leaves unresolved, among others, the delicate question of whether the board of directors is subject to judicial review or whether the safe harbor of the business judgement rule applies.

SOMMARIO:

1. La “corsa ad ostacoli” del Codice della crisi - 2. Crisi e assetti organizzativi - 3. Colpa da organizzazione e danno - 4. Violazione del dovere di adeguatezza degli assetti come (a) fonte di pregiudizio alla società … - 5. Segue. … e (b) come presupposto di condotte gestorie pregiudizievoli per la società - 6. Conclusioni. Insufficienza della business judgement rule a proteggere gli amministratori dalla colpa di organizzazione - NOTE


1. La “corsa ad ostacoli” del Codice della crisi

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza è finalmente operativo dal 15 luglio 2022. L’entrata in vigore, già prevista ab origine con un’abbondante vacatio legis al 15 agosto 2020 è stata, come è noto, posticipata dapprima al 1° settembre 2021 e poi – mentre intanto è stato pubblicato come d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, il primo correttivo ai sensi della legge 8 marzo 2019, n. 20 [1] – al 16 maggio 2022 fatta eccezione per la disciplina dell’allerta che avrebbe dovuto attendere fino al 2024 [2] e nel frattempo la disciplina del sovraindebitamento è stata scorporata [3]. Da ultimo, il d.l. 30 aprile 2022, n. 36, ha ulteriormente posticipato l’entrata in vigore del Codice (includendo anche la disciplina dell’allerta) al 15 luglio 2022; infine, con il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, di recepimento della direttiva insolvency [4] sono state apportate corpose revisioni e integralmente sostituita la disciplina dell’allerta e della composizione della crisi, che vede scomparire il mai nato OCRI.


2. Crisi e assetti organizzativi

Nel riformato contesto del Codice, il sistema dei rimedi alla crisi si regge su una sottilissima punta di cristallo costituita dagli assetti organizzativi (art. 3) [5] la cui efficacia ed efficienza sono garanzia della permanenza in equilibrio dell’intera architettura giuridica: un’inefficiente performance degli assetti può infatti far accumulare un irrecuperabile ritardo nella percezione della situazione di squilibrio e nella conseguente attivazione dei meccanismi di contrasto alla crisi, rendendo fatalmente inutili gli strumenti che il codice mette a disposizione a tale scopo. La solidità delle fondamenta del nuovo diritto della crisi è imprescindibile per la tenuta dell’intera struttura e questo spiega perché la riforma sia intervenuta in modo così incisivo ed innovativo anche sul diritto dell’impresa al quale affida – attraverso mirate modifiche normative (il nuovo secondo comma dell’art. 2086 c.c., le modifiche agli artt. 2257, 2380-bis, 2409-noviesdecies e 2475, e l’art. 3 c.c.i.) – il compito di erigere gli avamposti deputati a far suonare gli allarmi non appena si intravedano all’orizzonte le avvisaglie di una crisi. L’obbligo di dotare l’impresa collettiva di un «assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale» apre molteplici scenari problematici; fra questi, ci pare di maggior interesse affrontare lo spinoso tema della responsabilità degli amministratori per la violazione del dovere di dotare la società di assetti adeguati domandandoci se la riforma del codice della crisi abbia offerto nuovi argomenti ad un dibattito dagli esiti ancora piuttosto incerti.


3. Colpa da organizzazione e danno

L’introduzione del secondo comma dell’art. 2086 c.c. ha portato nuova linfa alle opinioni di coloro che sostengono la non sindacabilità nel merito delle decisioni sugli assetti in virtù della nota regola della business judgement rule [6], e questa posizione è anche stata avallata di recente dalla giurisprudenza di merito [7], contribuendo ad alimentare maggiormente il dibattito [8]. Non è nostra intenzione ripercorrerne le tappe, e neppure scendere nell’esame di dettaglio delle differenti posizioni ove si disputano il campo concetti quali quelli del carattere tecnico/vincolato o meno della decisione di adozione degli assetti o della natura generale o specifica dell’obbligo in parola [9]. Vorrei provare ad offrire una chiave di lettura differente, muovendo dalla considerazione che la business judgement rule entra in campo quando è sub judice la responsabilità sociale degli amministratori la quale – essendo una species della responsabilità contrattuale ex art. 1218 ss. c.c. – presuppone sempre (la prova di) un danno [10], che secondo consolidati orientamenti giurisprudenziali può essere sia attuale, in quanto già verificatosi incidendo negativamente sul patrimonio sociale, sia futuro ma pur sempre identificabile in termini di accertamento di potenziale idoneità lesiva della condotta (pensiamo al requisito del pregiudizio che è richiesto per l’attivazione di rimedi ex art. 2409 c.c.). Si disegnano quindi due possibili scenari, fra loro alternativi.


4. Violazione del dovere di adeguatezza degli assetti come (a) fonte di pregiudizio alla società …

Nel primo scenario, il danno contestato agli amministratori è cagionato direttamente dalla mancata o inadeguata istituzione di assetti organizzativi, amministrativi o contabili; in altre parole, la violazione dell’obbligo di dotare la società di assetti adeguati e di curarne l’adeguatezza (artt. 2086 e 2381 c.c.) assume autonoma capacità lesiva del patrimonio sociale (o di terzi), circostanza che può verificarsi solo quando l’inade­guatezza sia elemento costitutivo di una fattispecie causativa di pregiudizio patrimoniale per la società o per i terzi. Pensiamo al caso della società che non possa invocare l’esimente dalla responsabilità di cui all’art. 6, d.lgs. n. 231/2001 per inidoneità o assenza del modello di organizzazione e gestione (che è per opinione comune una parte degli assetti organizzativi) [11]; oppure al danno conseguente al dissesto non tempestivamente rilevato per mancanza o inadeguatezza degli assetti. La questione è se il sindacato giudiziario si appunti sul merito delle scelte degli amministratori nel predisporre gli assetti, ovvero solo sul(la correttezza del) processo decisionale condotto. Vi è chi ha espresso preoccupazione per il troppo penetrante controllo giudiziario sull’agire degli amministratori che ne risulterebbe nel primo caso [12] e chi al contrario ha manifestato il timore che applicando la business judgement rule anche alle decisioni relative agli assetti si vanifichi l’obiettivo della riforma concorsuale di favorire l’emersione anticipata della crisi attraverso l’obbligo di adozione di assetti finalizzati a rilevarla [13]; in generale non si può non convenire che la business judgement rule si sia sviluppata con l’intento di non comprimere la libertà d’impresa emancipandola dal sindacato giudiziale ex post, tuttavia occorre anche evitare che all’opposto venga assicurato agli amministratori un vero e proprio “regime di impunità” dalle maglie eccessivamente dilatate in ambiti estranei a quelli dell’esercizio d’impresa in senso proprio. Ora, che gli atti di organizzazione in genere implichino un grado di discrezionalità notevole, non minore di quello proprio delle scelte di merito della conduzione del business, mi sembra che sia difficilmente revocabile in dubbio: dotare o meno la società di un certo [continua ..]


5. Segue. … e (b) come presupposto di condotte gestorie pregiudizievoli per la società

Il secondo scenario che si può configurare vede venire in rilievo l’inadeguatezza degli assetti come evento-presupposto (unico o concorrente con altri) delle distinte ed autonome condotte gestorie che sono sotto la lente del giudice, e ciò per la ragione che l’adozione e il mantenimento di assetti organizzativi, amministrativi e contabili appartengono al novero delle decisioni di organizzazione dell’impresa che, pur rientrando nel perimetro della gestione, si collocano in posizione logicamente antecedente all’attività di conduzione del business, alla quale sono propedeutiche [20]. Sebbene non vi sia motivo di escludere in assoluto che possano presentarsi casi di danno provocato in via eziologica diretta dalla negligente adozione o cura degli assetti come ipotizzato nel primo scenario, è facile supporre che l’ipotesi di più frequente ricorrenza sarà quella in cui le carenze o inadeguatezze organizzative, amministrative o contabili rappresentino un fattore che influisce, influenza o concorre causalmente [21] a deviare il corretto dipanarsi dell’iter decisionale seguito dagli amministratori, portandoli all’assunzione della decisione e al compimento dell’atto che è poi oggetto di censura, come è accaduto nelle vicende oggetto dei primi provvedimenti giudiziari che si sono pronunciati sull’art. 2086 c.c. [22]. In questo caso, ritengo che chiedersi se l’agire dell’organo amministrativo nell’adottare gli assetti sia o meno protetto dalla business judgement rule, sia frutto di un vizio di prospettiva che confonde l’attività con la “cassetta degli attrezzi” utilizzata per svolgerla. Si è già ricordato che l’esperienza giudiziaria, anche straniera, sulla business judgement rule ci insegna che questa regola nasce e si sviluppa allo scopo di preservare la discrezionalità imprenditoriale impedendo all’autorità giudiziaria di sindacare il contenuto delle decisioni d’impresa che abbiano determinato un pregiudizio sostituendosi, oltretutto con una prospettiva ex post che genera concreti rischi di insight bias, all’amministratore che le abbia assunte, tutte le volte che questi abbia adottato un modus operandi razionale informato a principi di corretta amministrazione, diligenza, buona fede, prudenza, informazione; in altre parole, nulla potrà [continua ..]


6. Conclusioni. Insufficienza della business judgement rule a proteggere gli amministratori dalla colpa di organizzazione

Come si vede, dunque, nella maggior parte dei casi la business judgement rule non può proteggere gli amministratori nelle decisioni di adozione di assetti, semplicemente perché esse sono soltanto un presupposto, o meglio potremmo dire uno strumento, per il corretto dispiegarsi di quel segmento dell’agere gestorio che gode di questo safe harbour; e non li protegge comunque, a mio avviso, quando gli assetti siano inadeguati e questa situazione abbia inciso sul processo decisionale portando all’assunzione di decisioni pregiudizievoli ancorché secondo un iter astrattamente ineccepibile ma viziato alla radice, dal momento che gli amministratori per tal guisa, violando il dovere di dotare la società di assetti adeguati (art. 2086 c.c.), hanno volontariamente o colposamente creato le condizioni per non adempiere correttamente ai loro doveri gestori. Resta forse da chiedersi se questo sindacato giudiziario sugli assetti quali componente del processo decisionale condotto dagli amministratori nell’adozione dell’atto gestorio possa scendere nel merito delle scelte o resti al livello della correttezza del processo decisionale (e dunque, in qualche modo, se non si possa far rientrare “dalla finestra” il canone di giudizio applicato alle decisioni di gestione in senso proprio). La situazione che si determina nell’ipotesi ora descritta presenta rilevanti analogie – pur nella diversità del contesto – con il fenomeno della responsabilità della struttura sanitaria (e per essa del dirigente medico responsabile) per carenza o inadeguatezza dell’organizzazione; sul punto, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che il primario risponde dei deficit organizzativi del reparto a lui affidato, quando questi siano consistiti in una carente assegnazione di compiti e mansioni al personale; in una scarsa diramazione delle istruzioni da seguire e dei compiti da assolvere; in una negligente diramazione di istruzioni con riferimento al singolo degente [25]: dunque per insufficienze e difettosità concrete delle procedure, non dell’iter di loro adozione. Ma non solo. Di responsabilità per deficit organizzativi si è occupata anche diffusamente la giurisprudenza penale in correlazione con il d.lgs. n. 231/2001. In un recente arresto, sempre in ambito sanitario, si è in particolare affermato che il direttore sanitario di una casa di cura privata [continua ..]


NOTE