Rivista Corporate Governance ISSN 2724-1068 / EISSN 2784-8647
G. Giappichelli Editore

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Procedura d'allerta e ruolo del collegio sindacale (di Riccardo Russo, Assegnista di ricerca in Diritto commerciale presso il Politecnico di Torino, avvocato.)


Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza attribuisce al collegio sindacale un ruolo di pri­mo piano nell’ambito delle procedure d’allerta. L’articolo confronta alcuni aspetti della disciplina italiana e le soluzioni accolte dal legislatore francese, il quale assegna la legittimazione ad aprire le procedure d’allerta a numerosi soggetti in grado di conoscere la situazione dell’impresa e di rilevare tempestivamente profili di criticità e squilibrio.

Alert mechanisms and role of collegio sindacale

The new Code of crisis and insolvency gives the collegio sindacale a leading role in the context of alert mechanism. The paper compares some aspects of the Italian discipline and the solutions accepted by the French legislator, who assigns the legitimacy to open the alert procedures to numerous bodies that know the condition of the company and detect critical issues and imbalances early.

Keywords: alert mechanisms – board of auditors – French law

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L’allerta del collegio sindacale. Cenni alla procedura francese attivata dai commissaires aux comptes - 3. Gli indici della crisi: ruolo del CNDCEC e meccanismo di way out - 4. Il coinvolgimento del pubblico ministero nella procedura d’allerta - 5. Esonero da responsabilità concorrente e inamovibilità dei sindaci che abbiano avviato la procedura d’allerta - 6. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Premessa

Com’è stato osservato dalla dottrina, gli «strumenti di allerta» costituiscono «l’in­novazione più importante e divisiva» [1] del Codice della crisi d’impresa e dell’in­solvenza. La proposta di introdurre presidi d’allerta nel sistema italiano ha conosciuto una sorte carsica, riaffiorando e inabissandosi a più riprese: essa era stata già accolta nei progetti di legge elaborati dalla Commissione Trevisanato [2] ed è stata ripresa, un decennio più tardi, dalla Commissione Rordorf, i cui lavori hanno preceduto la legge delega n. 155/2017 [3] e il d.lgs. n. 14/2019 [4]. I primi commenti alla Riforma hanno evidenziato che l’allerta sconta il limite di una regolamentazione «sovrabbondante e farraginosa» [5] che contribuisce a rendere la sua fisionomia «vagamente arcigna, somigliante a quella delle tradizionali procedure con­corsuali» [6]. Sono – forse – premature valutazioni complessive e definitive dell’istituto, anche in considerazione del fatto che le disposizioni del Codice non sono ancora in vigore [7]; il presente lavoro mira, in misura assai più circoscritta, ad esaminare le competenze del collegio sindacale nella cornice dell’allerta, focalizzando l’attenzione sui profili che si pongono al crocevia tra il diritto societario e la normativa concorsuale [8]. Il Codice rivela una spiccata sensibilità per il tema della prevenzione dell’insol­venza. Basterà qui ricordare che l’art. 2086, comma 2, c.c. – aggiunto dall’art. 375 CCII – stabilisce espressamente che «l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dal­l’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale» [9]. Vero è che la necessità di anticipare l’emersione della crisi è particolarmente av­vertita sul piano sovranazionale. La Commissione delle [continua ..]


2. L’allerta del collegio sindacale. Cenni alla procedura francese attivata dai commissaires aux comptes

Il collegio sindacale e, se presente, la società di revisione devono «segnalare im­mediatamente» all’organo di amministrazione l’esistenza di «fondati indizi della cri­si» (art. 14, comma 1, CCII), mediante l’invio di una comunicazione «motivata, fatta per iscritto, a mezzo posta elettronica certificata o comunque con mezzi che assicurino la prova dell’avvenuta ricezione» (art. 14, comma 2, CCII). Il Codice precisa che sono «indicatori della crisi» gli «squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’im­presa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di co­stituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua del­l’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi» e specifica che costituiscono indici significativi «quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi» e i «ritardi nei pagamenti reiterati e significativi» (art. 13, comma 1, CCII). Si è evidenziato che «l’opzione di delimitare il perimetro di rilievo temporale della crisi entro la proiezione di un semestre sconta indubbiamente un certo tasso – invariabile – di arbitrarietà, ma è qualificabile come una scelta (opportunamente) prudenziale» [16]; è stato tuttavia sottolineato che «il segnale d’allerta raramente consentirà di assumere per tempo le necessarie decisioni e di porre in atto le necessarie azioni correttive» [17]. Tale seconda affermazione sembra confermata da una considerazione di carattere contabile: il termine semestrale è dimezzato rispetto a quello adottato dal principio di revisione internazionale (ISA Italia) 570, che stabilisce come la capacità dell’impresa di continuare ad operare come un ente in funzionamento debba essere verificata con riferimento ai dodici mesi [continua ..]


3. Gli indici della crisi: ruolo del CNDCEC e meccanismo di way out

La legge delega n. 155/2017 aveva demandato al legislatore delegato di circoscrivere «i fondati indizi della crisi» sulla base del rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi e degli indici di rotazione dei crediti, di rotazione del magazzino e di liquidità (art. 4, comma 1, lett. h). Come messo in luce dalla scienza aziendalistica tali pa­rametri non presentano, tuttavia, un’elevata «capacità di segnalare in modo incontrovertibile o anche solo probabile una situazione di insolvenza prospettica» [32]. Il legislatore delegato ha elencato gli «indicatori di crisi», anche al fine di porre «paletti» [33] alla discrezionalità del collegio sindacale e della società di revisione, de­mandando però al Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti con­tabili di stabilire quali siano gli «indici» [34]. L’individuazione del presupposto oggettivo dell’allerta presenta, d’altronde, profili di complessità tecnica [35]; il numero delle imprese assoggettabili alla procedura di allerta non è certo insensibile alle grandezze quantitative utilizzate per la determinazione degli indici: grandezze elevate, infatti, spostano in avanti il momento della segnalazione degli organi di controllo; grandezze più ridotte comportano, invece, l’apertura dell’allerta anche in quelle imprese che versano in condizioni di squilibrio reversibile. Come si è anticipato, le società possono applicare indici alternativi a quelli fissati dal CNDCEC: nei primi commenti al Codice, tale previsione è stata salutata come una «possibilità assai preziosa» [36] per le imprese; il sistema di way out sembra porre, però, problemi più profondi di quelli che intende risolvere, introducendo aspetti di frammentarietà e disomogeneità nell’applicazione dell’allerta [37]. Il legislatore delegato non ha specificato, ad esempio, quali siano i margini valutativi rimessi all’attestatore; si potrebbe ipotizzare che l’oggetto del mandato del pro­fessionista si esaurisca nell’analisi degli indici scelti dalla società e nella verifica che essi siano in grado di intercettare i profili di squilibrio dell’impresa: così argomentando, l’attestatore non sarebbe chiamato ad individuare [continua ..]


4. Il coinvolgimento del pubblico ministero nella procedura d’allerta

La legge delega n. 155/2017 aveva stabilito che le procedure d’allerta dovessero avere carattere «non giudiziale e confidenziale» (art. 4); la disposizione corre il pericolo di ridursi ad una mera petizione di principio. La riservatezza, è stato osservato in dottrina, «sembra di fatto subire una severa frustrazione» [40], atteso che la disciplina dell’allerta pare «tradire» anche «la natura extragiudiziale della tutela dei creditori» [41]. In particolare, tra le previsioni più controverse del Codice vi è quella – già ricordata – secondo cui il collegio degli esperti può rivolgersi al pubblico ministero (art. 22, comma 1, CCII) affinché quest’ultimo richieda al Tribunale l’apertura della liquidazione giudiziale (art. 22, comma 2, CCII): la semplice prospettiva che il pub­blico ministero possa essere informato dal collegio degli esperti del fatto che la società versa in una situazione di insolvenza rende acuto il rischio di tramutare la procedura d’allerta in una sorta di anticamera della liquidazione giudiziale. Lo studio della normativa francese mostra come nel bilanciamento tra confidenzialità della procedura ed efficienza, quest’ultima possa talvolta prevalere: i commis­saires aux comptes comunicano al président du Tribunal de commerce l’apertura della procedura (art. L234-1 cod. comm.). Tuttavia, l’opzione francese si spiega con un dato di ordine sistematico: il Tribunale di commercio è composto, storicamente, da magistrati onorari, dotati di una pregressa esperienza imprenditoriale o manageriale, eletti da altri imprenditori o dirigenti [42]. Tali peculiarità consentono di affermare che il président du Tribunal de commerce è nelle condizioni di offrire consigli e suggerimenti agli organi della società in difficoltà, esercitando sugli amministratori una sorta di moral suasion. Il coinvolgimento del pubblico ministero, invece, lede la riservatezza della procedura senza accrescerne l’efficienza; al magistrato è infatti pacificamente estraneo il compito di coadiuvare le imprese nella ricerca del miglior percorso di risanamento.


5. Esonero da responsabilità concorrente e inamovibilità dei sindaci che abbiano avviato la procedura d’allerta

Il Codice stabilisce che l’avvio dell’allerta «non costituisce giusta causa di revoca» dei sindaci (art. 14, comma 3, CCII); si tratta di una disposizione che non manca di suscitare perplessità per la sua perentorietà. È noto che, ai sensi dell’art. 2400, comma 2, c.c. [43], la delibera assembleare di revoca del sindaco è sottoposta allo scrutinio del Tribunale, chiamato a sentire le ragioni del sindaco interessato e ad emettere, all’esito, il decreto con il quale la decisione degli azionisti è approvata o respinta; v’è da dubitare, pertanto, dell’opportunità di precludere del tutto all’as­semblea e all’Autorità giudiziaria l’indagine sulle concrete modalità delle segnalazioni inviate dal collegio sindacale agli amministratori e all’OCRI. D’altronde è lo stesso legislatore concorsuale ad aver stabilito che la segnalazione dei sindaci agli amministratori deve essere «motivata» (art. 14, comma 2, CCII), attribuendo parallelamente al collegio degli esperti il potere di procedere all’«archi­viazione» della segnalazione all’OCRI ove la stessa, al termine dell’audizione della società, risulti infondata (art. 18, comma 3, CCII): consentire, pertanto, la rimozione dei sindaci autori di segnalazioni del tutto prive di motivazione o fondamento incentiverebbe un utilizzo ponderato degli strumenti d’allerta [44]; i sindaci avvierebbero la procedura soltanto dopo aver verificato che la segnalazione all’OCRI sia adeguatamente motivata e abbia concrete probabilità di essere giudicata fondata dal collegio degli esperti. «La tempestiva segnalazione all’organo amministrativo – recita, invece, l’art. 14, 3° co., CCII – costituisce causa di esonero dalla responsabilità solidale per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere dal predetto organo, che non siano conseguenza diretta di decisioni assunte prima della segnalazione a condizione che (…) sia stata effettuata tempestiva segnalazione al­l’OCRI». Affinché non sorga la responsabilità concorrente di cui all’art. 2407, comma 2, c.c. sono necessarie, dunque, più condizioni: i) i sindaci devono aver segnalato tem­pestivamente la presenza di fondati indizi [continua ..]


6. Considerazioni conclusive

È noto che gli organi sociali tendono a procrastinare l’apertura delle procedure concorsuali e a rinviare l’ostensione ai creditori e ai terzi di una condizione di difficoltà [49]. Del resto, «in un sistema produttivo caratterizzato dalla prevalenza di imprese familiari, l’uscita allo scoperto espone un patrimonio che vale non solo in sé, ma anche in quanto bene di famiglia» [50]. Alla base delle procedure d’allerta vi è dunque il convincimento che gli amministratori debbano agire con tempestività per eliminare i profili di squilibrio reversibile (i) o applicare rapidamente rimedi liquidatori ove il recupero dell’impresa sia or­mai improbabile (ii) [51]. Avviandosi alla conclusione, premono tre rilievi di sintesi. Il primo. La procedura d’allerta può essere aperta dal collegio sindacale allorché siano emersi «fondati indizi della crisi» (art. 14, comma 1, CCII); il Codice individua gli «indicatori» della crisi (art. 13, comma 1, CCII), traslando – alternativamente – sul Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili (art. 13, comma 2, CCII) o sulla stessa società il compito di determinare gli «indici» della crisi (art. 13, comma 3, CCII). Si tratta di un approccio assai distante da quello adottato dal legislatore francese: si è visto che i commissaires aux comptes sono tenuti a rilevare, più genericamente, i «fatti che possono compromettere la continuità aziendale» (art. L. 234-1 cod. comm.). In prospettiva storica è da notare che la soluzione di circoscrivere minuziosamente il presupposto oggettivo della procedura d’al­lerta si era affacciata anche in Francia, soltanto per breve tempo, nei lavori preparatori della legge 1° marzo 1984, n. 84-148: il Rapport Sudreau del 1975 [52] e il Project n. 974/1979 [53] correlavano l’allerta al riscontro da parte dei commissaires aux comptes di specifici segnali d’allarme, quali i differimenti delle scadenze, le notifiche di protesti, il mancato pagamento dei contributi previdenziali e fiscali. Vero è che tale tec­nica normativa fu scartata sul corretto rilievo che qualsiasi elenco dei fattori della crisi, per quanto esteso, fosse «fatalmente incompleto» [54]. Il secondo. Nelle pagine che precedono si è [continua ..]


NOTE