Rivista Corporate Governance ISSN 2724-1068 / EISSN 2784-8647
G. Giappichelli Editore

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I trust interni, gli effetti della Convenzione de L'Aja e le applicazioni per il passaggio generazionale della ricchezza familiare (di Paola Manes, Professore ordinario di diritto privato, Università di Bologna)


Il saggio analizza gli effetti in diritto italiano della Convenzione de L’Aja sul riconoscimento dei trust ed i tratti distintivi dei trust interni. Esamina il vaglio delle Corti sulla meritevolezza dell’istituto ed illustra alcune applicazioni significative nel campo del passaggio generazionale della ricchezza familiare nelle loro intersezioni con il diritto successorio e societario, con attenzione ai profili di efficacia della governance.

Trusts in the Italian legal system, the effects of the Hague Convention and trusts for wealth planning

The paper describes the effects of the Hague Convention on trusts and their recognition under Italian law, the recognition of trusts by Italian courts, the substantive effects of ring fenced funds in a civil law system and illustrates some examples of trust for wealth planning in their interaction with succession law and company law, in view of an affective governance.

SOMMARIO:

1. La Convezione de L’Aja, la nozione di trust interno ed alcuni tratti notevoli, strutturali e funzionali, dei trust - 2. La fattispecie del trust convenzionale rispetto al modello inglese - 3. La segregazione patrimoniale, alcune applicazioni del trust interno e il vaglio di meritevolezza delle Corti - 4. Gli effetti minimi del riconoscimento, le norme convenzionali di diritto materiale e la causa in concreto del trust - 5. Le difese poste dalla Convenzione, la tutela dei legittimari e il mancato riconoscimento giudiziale - 6. I trust per il passaggio generazionale dell’azienda come alternativa al testamento - 7. La ragione del trust e il limite dell’abuso del diritto - NOTE


1. La Convezione de L’Aja, la nozione di trust interno ed alcuni tratti notevoli, strutturali e funzionali, dei trust

In forza della Convenzione de L’Aja sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento, alla quale lo Stato italiano ha dato esecuzione con legge 16 ott. 1989/364, entrata in vigore il 1° gennaio 1992, il nostro ordinamento riconosce effetti giuridici ai trust. Varie sono le finalità della Convenzione: la prima consiste nel predisporre regole per determinare la legge applicabile ai trust in caso di conflitto, ciò che è proprio di tutte le convenzioni di d.i.p.; la seconda intende regolare il riconoscimento, ovviamente rispetto a quegli ordinamenti che disconoscono il fenomeno; la terza finalità è quella di tentare di spiegare a tali ordinamenti, i connotati essenziali del fenomeno [1]. La Convenzione è anomala rispetto a quelle di diritto internazionale privato perché non riguarda solo norme di conflitto, ma determina il riconoscimento, da parte dello Stato aderente, degli effetti di un istituto giuridico ad esso estraneo [2]. La dottrina, anche internazional-privatistica, riconosce effetti sostanziali e diretti ad alcune norme convenzionali, segnatamente gli artt. 2 e 11, che sono qualificate come norme di diritto sostanziale uniforme [3]. Il riconoscimento è attuato nella forma più estesa possibile [4], sia per i trust che non presentano alcun fattore di collegamento con l’ordinamento italiano, sia per quelli che presentano uno o più di tali elementi oggettivi. Oggetto di riconoscimento sono dunque anche i trust interni [5], cioè quei trust i cui elementi essenziali – ossia disponente, trustee, beneficiari e beni – sono tutti italiani; nel trust interno tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi sono legati all’ordinamento italiano, ad eccezione della legge regolatrice che è straniera ed appartiene ad un ordinamento che conosce il trust [6]. Infatti, nessuna differenza, fondata su base soggettiva o oggettiva è autorizzata dalla Convenzione, la cui universalità di applicazione non autorizza esclusioni a seconda che il disponente sia italiano o straniero: il criterio seguito dalla Convenzione è, alla stregua dell’odierna tendenza del diritto internazionale privato, quello della assoluta libertà di scelta della legge regolatrice e contro di esso non possono essere sollevate obiezioni di diritto civile rispetto a particolari effetti che i trust producono in Italia, [continua ..]


2. La fattispecie del trust convenzionale rispetto al modello inglese

Alcuni elementi della definizione di trust contenuta nell’art. 2 Conv. non appartengono ad alcuna delle varie tipologie di trust di diritto inglese [41]: innanzitutto, il rapporto che il trustee ha rispetto ai beni, qualificato in termini di controllo, non già di proprietà. Non si esclude dunque che, attribuito al trustee il solo controllo, il disponente conservi la proprietà dei beni, ciò che nega la stessa essenza del trust: è quindi trust, secondo la Convenzione, un rapporto obbligatorio che permetta al disponente di agire direttamente contro il trustee per pretendere l’adem­pi­mento del­l’obbligazione. Se infatti è certamente possibile, ed anzi frequente, soprattutto nei moderni trust di ricchezza mobiliare, che il disponente trattenga alcune facoltà, tecnicamente powers, il termine “prerogative” impiegato dalla Convenzione è troppo ampio ed indeterminato, potendo anche includere le prerogative proprietarie, che invece nel trust del modello inglese risiedono nel trustee [42]. Secondariamente, risulta errato designare la figura del soggetto che pone tali beni sotto il controllo del trustee in termini di “costituente”, ciò che evoca immediatamente il tema delle persone giuridiche: è per tale motivo che è corretto parlare di disponente che esattamente indica l’autore dell’atto istitutivo a carattere dispositivo, unico atto, si è visto, realmente necessario qualora il trust emani da una dichiarazione di volontà. Da ultimo, fuorviante appare l’indicazione delle posizioni soggettive poste in trust in termini esclusivamente proprietari: tale dato porta non solo all’errata convinzione secondo la quale solo il diritto di proprietà è oggetto del trust, ma conduce anche ad un travisamento della figura dei beneficiari, come titolari di un peculiare tipo di proprietà contrapposto a quello del trustee. Inoltre, si parla di beni del trust, non già di beni in trust, pensando dunque che lo stesso trust, quasi entificato in un patrimonio autonomo, diventi soggetto di diritto, centro di imputazione di diritti ed obbligazioni. Né maggiore chiarezza si raggiunge riferendosi al rapporto tra trustee e beni in termini di intestazione, fenomeno simmetricamente opposto a quello proprio del trust: infatti, la mera intestazione di beni in capo al trustee permette [continua ..]


3. La segregazione patrimoniale, alcune applicazioni del trust interno e il vaglio di meritevolezza delle Corti

L’esigenza principale che il trust riesce a soddisfare, meglio di alcuni strumenti di diritto italiano (della fondazione, del fondo patrimoniale, del mandato, del testamento, della donazione), è la segregazione patrimoniale perfetta di un patrimonio, formato da uno o più beni di qualsiasi genere che viene destinato a specifiche finalità (interesse dei beneficiari nei trust con beneficiari; realizzazione dello scopo nei trust di scopo), dalle quali non può per nessun motivo essere distolto [44]. Il problema della causa del trust ai sensi dell’art. 2 Conv. è, analogamente a qualunque atto giuridico, quello della sua meritevolezza e, una volta risolto il problema in astratto, quello del vaglio sulla causa in concreto [45]. I trust sono realmente tali perché il fine che intendono realizzare è effettivamente coerente con la segregazione patrimoniale, la cui meritevolezza [46] è già nella causa in astratto dell’atto di trust ai sensi della Convenzione de L’Aja [47]. Quando i due atti, istitutivo e dispositivo, sono separati, si distingue tra (i) atto istitutivo, la cui causa è il programma di segregazione che persegue un interesse meritevole in astratto ai sensi dell’art. 1322 c.c. [48], perché la Convenzione de L’Aja comporta tra gli effetti minimi del riconoscimento, quello segregativo, e (ii) atto dispositivo, che impone sui beni il vincolo di trust e che ripete la propria causa da quello istitutivo: è quest’ultimo atto che è concretamente idoneo a violare norme imperative e può essere in frode alla legge. Agli atti dispositivi, per espressa previsione della Convenzione (art. 4), non si applica la legge straniera; peraltro, anche se fosse applicabile la legge straniera, la norma di chiusura dell’art. 13 permetterebbe di privare di effetti quei trust contrari all’ordinamento giuridico e ai giudici di non riconoscerli. Quindi, in presenza di uno scopo illecito, l’invalidità dell’atto dispositivo verrà, qualunque legge si applichi, in ogni caso stabilita [49]. La giurisprudenza e la prassi (conservatorie immobiliari, registro delle imprese) hanno recepito largamente e con favore le più diverse applicazioni del trust interno [50], fugando così definitivamente i dubbi sulla legittimità dell’istituto e sancendone la piena [continua ..]


4. Gli effetti minimi del riconoscimento, le norme convenzionali di diritto materiale e la causa in concreto del trust

L’art. 11 elenca gli effetti minimi del riconoscimento; ne deriva la conseguenza che la mera ratifica della Convenzione ottiene il risultato di produrre, nel foro, quanto meno questi effetti giuridici: la separazione dei beni in trust rispetto ai beni personali del trustee; la qualità di attore o convenuto del trustee; la possibilità di comparire in tali qualità davanti a notai o pubbliche autorità. Ma a ben vedere queste tre regole, accomunate dall’essere norme di diritto materiale [82], non hanno la stessa portata: solo la prima, relativa alla separazione, rectius segregazione, patrimoniale, essendo presente anche nella definizione di trust accolta dall’art. 2, dovrà necessariamente essere presente anche nella legge del trust; le altre due invece, estranee al trust convenzionale, ben potranno non essere contemplate da tale legge ma presenti solo in quella del foro. Se la maggioranza delle norme contenute nella Convenzione soddisfa il fine tipico delle regole di diritto internazionale privato, determinando i criteri che stabiliscono la prevalenza di una legge in caso di conflitto, la norma dell’art. 11, in particolare al comma 2, fa eccezione e si distingue per il suo contenuto di diritto sostanziale che comporta la loro traduzione in regole di immediata e diretta applicazione nel foro, a prescindere dalla loro corrispondenza con la legge che regola il trust [83]. Gli effetti della Convenzione non possono essere relegati al mero ambito del diritto internazionale privato, poiché essi di fatto introducono il trust in ordinamenti che non lo conoscono e ne consentono il riconoscimento anche qualora i soggetti interessati dal rapporto giuridico siano cittadini di uno Stato che conosce il trust [84]. La seconda norma di diritto materiale della Convenzione è l’art. 12, che prevede che il trustee che intende compiere adempimenti pubblicitari relativi al trust, ha diritto di chiedere che tali adempimenti contemplino la propria qualità, eccezion fatta per il caso in cui questo sia vietato o incompatibile con la legislazione nella quale gli adempimenti devono avere luogo (gli effetti minimi del riconoscimento creano obblighi in capo ai conservatori, di consentire la trascrizione della qualità di trustee e in capo al giudice di riconoscere la segregazione patrimoniale dei beni in trust rispetto al patrimonio personale del trustee [85]). Si noti [continua ..]


5. Le difese poste dalla Convenzione, la tutela dei legittimari e il mancato riconoscimento giudiziale

La norma dell’art. 15 è la prima difesa predisposta dalla Convenzione contro la possibilità che un trust violi le norme imperative della legge dettate dalle norme di conflitto del foro [92]. Si tratta di norme non derogabili con una manifestazione di volontà delle parti e rilevanti per effetto dell’intermediazione delle norme di conflitto in forza delle quali il rinvio potrà essere nei confronti di un ordinamento diverso da quello individuato con i criteri di collegamento propri della Convenzione e quindi sia all’ordinamento del foro che a quello di uno Stato terzo [93] (e ciò a differenza del­l’art. 11 che rinvia alle regole di conflitto del foro senza distinguere tra norme imperative e dispositive [94]); la norma rappresenta un baluardo per impedire il riconoscimento di un trust anche in un ordinamento che lo conosce data la non equivalenza del trust anglo-americano con quello convenzionale; ma per l’irrilevanza della disposizione, data la previsione dell’ordinamento italiano di tutte le fattispecie elencate dalla norma convenzionale [95]. Quanto al contenuto concreto delle norme imperative (che, ratione materiae, vengono individuate come quelle poste a presidio di valori da tutelare perché di particolare sensibilità [96]) rileva ai fini della presente trattazione, la lett. c) dell’art. 15 che impone in particolare il rispetto delle disposizioni in materia di legittima: quindi, il trust testamentario non potrà violare il disposto del­l’art. 554 c.c. e le disposizioni lesive dei limiti ivi imposti saranno soggette al rimedio dell’azione di riduzione [97]. Oltre a tali difese, che già appaiono in grado di tutelare energicamente i valori fondanti dei diversi ordinamenti, la Convenzione contiene una sorte di baluardo estremo, una clausola di salvezza del sistema, di residuale salvaguardia che può essere attivata nel caso in cui, per qualsiasi motivo, i rimedi sopra indicati si rivelino inefficaci: si tratta dell’art. 13, che consente al giudice di non riconoscere un trust che, per le finalità che persegue o per le modalità impiegate, ripugni all’ordina­men­to giuridico che ignora quella particolare figura di trust e nel quale essa è destinata a produrre i suoi effetti principali. È il giudice il soggetto destinatario di questa disposizione: è [continua ..]


6. I trust per il passaggio generazionale dell’azienda come alternativa al testamento

Accanto ad una variegata gamma di strumenti di diritto interno come fondazioni, clausole statutarie particolari tipi di società, strumenti para successori o di successione anticipata come il patto di famiglia, soluzioni offerte dal diritto societario riformato, tutti accomunati dall’integrare il vasto fenomeno delle successioni anomale, il trust assume da tempo il ruolo di strumento elettivo per garantire un efficace trasferimento della proprietà e del controllo delle aziende di famiglia [109], laddove gli strumenti del testamento e della donazione mostrano limiti notevoli quanto a rigidità e scarsa adattabilità al mutare delle circostanze e, in generale, alla gestione delle sopravvenienze. L’atto istitutivo è oggetto di considerazione in termini di donazione soggetta al­l’azione di riduzione nonché a collazione e imputazione [110]. Nei trust di famiglia che realizzano il passaggio generazionale e garantiscono dopo la morte del disponente l’unità del patrimonio o la tutela di soggetti deboli, la sicura gratuità dell’atto si combina con la presenza di un interesse economico del disponente e con il soddisfacimento di un’esigenza mediata o indiretta del beneficiante, che inserendosi nello schema causale dell’atto, lo distanzia dalla liberalità tipica della donazione, anche per la mancanza dell’elemento dell’arricchimento immediato in capo al trustee; a seconda che il trust soddisfi l’esigenza di mantenimento dei figli del disponente (al quali i beni devono tornare una volta cessato l’obbligo di mantenimento, oppure con la previsione che siano trasferiti in proprietà ai figli anche in vita del disponente). Nel diverso caso in cui il valore dei beni trasferiti ecceda notevolmente l’entità del­l’obbligo da soddisfare, l’atto si riavvicina all’area della liberalità, attraendo l’atto di trust all’area della donazione [111]. In prospettiva successoria, si noti che il trust che soddisfi, con beni sufficienti solo a realizzare questa funzione, l’interesse del disponente di assicurare il mantenimento dei suoi figli, presenta un interesse economico come causa dell’attribuzione, che si pone quale corrispettivo indiretto del­l’attribuzione e quindi differisce dal punto di vista causale dalla donazione che esige lo spirito di [continua ..]


7. La ragione del trust e il limite dell’abuso del diritto

Il ricorso al trust soccorre quindi nelle situazioni, come quelle esaminate, nelle quali gli strumenti civilistici (nei casi di specie, il mandato fiduciario, il testamento e la donazione) presentano limiti insuperabili ed offrono rimedi inappaganti, che giustificano il ricorso al trust e ne garantiscono il vaglio di meritevolezza ancorché, in una prima fase, soltanto in astratto [131]. Qualora poi l’assetto di interessi divisato dalle parti ed astrattamente meritevole di tutela, in concreto realizzi questa congruenza tra finalità ed interessi meritevoli per l’ordinamento giuridico nel quale il trust opera, e quindi il trust venga effettivamente utilizzato per le finalità indicate nelle premesse dell’atto istitutivo, il controllo di meritevolezza sarà realizzato anche in concreto. Al contrario, qualora il trust, ancorché istituito in forza di un atto valido ed efficace, venga utilizzato in concreto per fini diversi da quelli per i quali è stato istituito e, soprattutto, per fini contrari e ripugnanti all’ordinamento giuridico, si sarà in presenza di un abuso del diritto sanzionabile [132], che determina la caducazione di alcuni effetti, causando l’inefficacia di quelle disposizioni dell’atto istitutivo contrarie all’ordinamento e l’operatività dei rimedi che l’ordinamento prevede a tutela dell’interesse leso [133]. La funzione di controllo sulla presenza dell’interesse meritevole deve essere attuata sullo scopo del trust che, se illecito o impossibile, causa nullità dell’atto istitutivo [134]; non possono infatti essere riconosciuti trust in frode alla legge ed il meccanismo per sanzionarli è l’art. 13 della Convenzione de L’Aja [135]. E tecnicamente la caducazione degli effetti del trust è conseguenza del mancato riconoscimento in forza degli artt. 13 o 15 della Convenzione de L’Aja: l’art. 13, come si è visto, rappresenta la norma di chiusura del sistema convenzionale che consente al giudice di non riconoscere trust contrari all’ordinamento giuridico italiano; a seguito di un’indagine svolta in concreto sulla particolare figura di trust e, all’interno della stessa, su quegli effetti, e solo su quelli, ripugnanti all’or­di­namento [136]. E, qualora le clausole del trust non siano essenziali o determinanti per [continua ..]


NOTE