Rivista Corporate Governance ISSN 2724-1068 / EISSN 2784-8647
G. Giappichelli Editore

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La nozione di controllo ai fini del bilancio consolidato (di Francesco Salerno, Professore associato di Diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Foggia)


In tema di bilancio consolidato assume rilievo una speciale nozione di “controllo”, differentemente delineata a seconda che la redazione di tale documento contabile sia regolata dalla legislazione nazionale o sulla base dei principi contabili internazionali. Indagando i due sistemi di rilevazione il contributo ne evidenzia le diversità e la difficoltà di riproporre a livello domestico le regole di consolidamento adottate dai principi contabili internazionali.

The concept of control for the purposes of consolidated financial statements

A special concept of “control” assumes importance in the case of consolidated financial statements. This concept is formulated differently, depending on whether the preparation of these financial statements is regulated by domestic legislation or by IFRS Accounting Standards (IFRS). In exploring these two reporting systems, the paper highlights their differences and the difficulty in using the consolidation rules adopted by IFRS in a domestic context.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Le società “controllanti” obbligate alla redazione del bilancio consolidato - 3. Le “controllate” da consolidare secondo le regole nazionali - 3.1. Il richiamo della nozione codicistica - 3.2. Le previsioni integrative della nozione codicistica - 3.3. Il controllo indiretto e altre regole di computo dei diritti di voto - 4. La partecipazione alla società quale solito presupposto del consolidamento e la dubbia superabilità dell’obbligo in caso di detenzione di voti sufficienti ad esercitare un’influenza dominante - 5. La facoltà di consolidamento proporzionale nelle ipotesi di controllo “congiunto” - 6. La nozione di controllo secondo i principi contabili internazionali - 6.1. Il potere sull’entità oggetto di investimento - 6.2. L’esposizione, o il diritto, ai rendimenti variabili di una partecipata - 6.3. Correlazione tra potere e rendimenti - 7. Principali differenze ed esemplificativi raffronti tra principi contabili internazionali e regolamentazione domestica - 8. Segue. Finali raffronti in tema di controllo congiunto - 9. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

Il “gruppo di imprese”, che riunisce più entità sotto una comune organizzazione e che, come noto, rappresenta la naturale implicazione e al contempo uno dei più efficaci strumenti di crescita delle realtà imprenditoriali, pone questioni che investono tra l’altro i profili della comunicazione economico-finanziaria. I tradizionali strumenti contabili non consentono infatti di rappresentare in maniera compiuta la complessiva situazione economica del gruppo, la cui fedele descrizione non può invero essere desunta dal bilancio di esercizio della capogruppo né tantomeno dalla mera sommatoria dei valori di bilancio di ciascuna impresa. Da ciò, la necessità di uno specifico documento contabile, denominato “bilancio consolidato”. Redatto dalla società controllante effettiva o potenziale [1], non mediante apposita contabilità ma attraverso i sistemi contabili ed i bilanci di esercizio delle singole entità «opportunamente rettificati» [2], il bilancio consolidato si propone di rappresentare con chiarezza e «in modo veritiero e corretto» [3] la situazione del gruppo [4], inteso come entità economica complessa interagente con le economie estranee all’area di consolidamento [5], con l’obiettivo di fornire ad azionisti, creditori e mercato dei capitali, informazioni altrimenti non desumibili dai bilanci di esercizio delle singole società [6]. A differenza di questi ultimi, il bilancio consolidato non rileva invece ai fini della determinazione del risultato di esercizio, tant’è che gli utili distribuibili dalla capogruppo sono (solo) quelli risultanti dal proprio bilancio di esercizio restando irrilevante che l’utile risulti confermato (o meno) dal bilancio consolidato [7]. A regolare la redazione del bilancio consolidato è il d.lgs. 9 aprile 1991, n. 127, con il quale il nostro ordinamento, in occasione della riforma della disciplina del bilancio di esercizio e così dando attuazione alla IV ed alla VII direttiva CEE in materia societaria [8], ha introdotto una specifica disciplina dei conti consolidati [9]. Come accaduto per il bilancio di esercizio, tale disciplina è stata poi integrata dal d.lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, emanato a seguito del regolamento 1606/2002 CE [10], che ha previsto, in alcuni casi, la redazione del [continua ..]


2. Le società “controllanti” obbligate alla redazione del bilancio consolidato

In tema di bilancio consolidato la nozione di “controllo” assume anzitutto rilievo ai fini dell’identificazione delle società tenute alla redazione di tale documento contabile. Invero, ai sensi dell’art. 25 d.lgs. n. 127/1991 sono tenute a redigere il bilancio consolidato le società per azioni, le società in accomandita per azioni e le società a responsabilità limitata che controllano un’impresa in qualsiasi forma costituita nonché le società cooperative, le mutue assicuratrici e gli enti di cui all’art. 2201 c.c., qualora controllino una società per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata [20]. Per effetto di queste previsioni, sono invece escluse dall’obbligo del consolidato, anche se controllano società di capitali, le società di persone, le associazioni o fondazioni esercenti attività d’impresa e gli imprenditori individuali (dipendendo questa esclusione dalla mancanza, per questi soggetti, di un obbligo di pubblicazione dei propri bilanci) [21]. Sono altresì esonerate dall’obbligo di redigere il bilancio consolidato, in questo caso per effetto di specifiche previsioni, a) le imprese controllanti piccoli gruppi che per due esercizi consecutivi non abbiano superato, unitamente alle controllate, i limiti stabiliti dall’art. 27 del d.lgs. n. 127/1991 [22]; b) la subholding che non abbia emesso valori mobiliari ammessi alla quotazione in mercati regolamentati italiani o dell’Unione Europea, controllata da una holding che rediga e sottoponga a controllo il bilancio consolidato secondo la legislazione italiana ovvero di altro Stato membro dell’Unione europea o in conformità ai principi contabili internazionali adottati dall’Unione europea [23]; c) le «imprese che controllano solo imprese che, individualmente e nel loro insieme, sono irrilevanti ai fini indicati nel secondo comma dell’art. 29», vale a dire ai fini della rappresentazione veritiera e corretta della situazione economico-finanziaria del gruppo [24] nonché quelle «che controllano solo imprese che possono essere escluse dal consolidamento ai sensi dell’articolo 28» [25]. Se tenute a redigere un bilancio consolidato, le società provvedono quindi alla relativa predisposizione nel rispetto degli applicabili criteri contabili, [continua ..]


3. Le “controllate” da consolidare secondo le regole nazionali

Mentre l’art. 25 del d.lgs. n. 127/1991 menziona le società controllanti quali soggetti tenuti alla redazione del bilancio consolidato, a chiarire cosa debba intendersi per “controllo” è il successivo art. 26, che dà contenuto alla nozione identificando gli specifici criteri per la selezione delle controllate da consolidare. In effetti, cosa debba intendersi per controllo e come conseguentemente delimitare il gruppo ai fini del consolidamento dei relativi conti rappresenta la questione di fondo della disciplina in esame, da sempre dibattuta a livello (anche) internazionale a motivo delle differenti visioni sostenute dai vari paesi. Alcuni, infatti, hanno tradizionalmente privilegiato l’aspetto legale del controllo, facendolo in pratica coincidere con il possesso della maggioranza delle azioni con diritto di voto in un’impresa [30]. Altri, invece, hanno dato rilievo alle situazioni di controllo conseguenza della realtà economica e dei rapporti di dipendenza tra imprese, a prescindere dal formale possesso di azioni o quote, riconoscendo così l’esistenza di rapporti di controllo anche a fronte di semplici sistemi di gestione centralizzata (c.d. controllo economico) [31]. Queste due diverse impostazioni sono state di fatto coniugate dalla VII direttiva CEE, la quale, pur prevedendo quale criterio principale il concetto di controllo legale, ha anche dato rilievo al controllo economico, consentendo agli Stati, sulla base di quest’ultimo, di consolidare sia i conti delle imprese assoggettate ad influenza dominante che quelli appartenenti ad imprese gestite su base unificata e centralizzata e/o aventi una struttura direzionale comune (c.d. gruppi paritetici o orizzontali). Il medesimo contemperamento è stato poi mantenuto nella successiva direttiva 34/2013/UE, il cui considerando 31 ha a sua volta chiarito, da una parte, che il controllo dovrebbe essere fondato sul possesso di una maggioranza di diritti di voto, dall’altra che lo stesso può essere tuttavia fondato anche su accordi con azionisti o soci, dimodoché «in certe circostanze il controllo può essere effettivamente esercitato da un’impresa madre che detiene una partecipazione di minoranza o nessuna azione o quota nell’impresa figlia». Lo stesso considerando ha chiarito altresì che gli Stati membri avrebbero potuto imporre di includere nei bilanci [continua ..]


3.1. Il richiamo della nozione codicistica

Seguendo questa impostazione comunitaria, anche il legislatore italiano, con l’art. 26 del d.lgs. n. 27/1991, ha quindi dato rilievo agli aspetti formali del controllo legale contemperandoli con quelli del controllo di fatto. In particolare, l’art. 26 si apre prevedendo, al comma 1, che «[a]gli effetti dell’art. 25 sono considerate imprese controllate quelle indicate nei numeri 1) e 2) del primo comma dell’art. 2359 del codice civile». Impiegando la medesima tecnica adottata da altre normative di settore [33], l’art. 26 definisce dunque il controllo richiamando anzitutto la nozione codicistica, e specificamente la fattispecie del controllo di diritto (riguardante le società «in cui un’altra dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’as­semblea ordinaria») nonché quella del controllo interno di fatto (della società che cioè disponga di voti sufficienti per esercitare nella medesima assemblea «un’in­fluenza dominante»). Richiamando l’art. 26 una disposizione foriera di non poche incertezze interpretative, va da sé che queste ultime si ripropongono, in egual modo, nel­l’ambito della disciplina in esame [34]. Il rimando alla nozione codicistica è tuttavia parziale, non ricomprendendo difatti il richiamo del n. 3 dell’art. 2359 c.c., che come noto considera controllate le società sotto l’influenza dominante di natura economica in virtù di particolari vincoli contrattuali [35]. Un’esclusione, quest’ultima, che dipenderebbe dal fatto che, quando determinata da ragioni di natura (solo) economica, la soggezione gestionale della controllata non comporterebbe né l’integrazione nel gruppo né tantomeno la riferibilità alla controllante dei risultati economici, ciò facendo venir meno l’esigenza di rappresentazione economica della situazione della controllata nel contesto di gruppo [36]. Al di là di questa parzialità, merita poi di essere sottolineata la diversità terminologica ai fini dell’identificazione delle entità controllate, facendo impiego l’art. 26 del termine «impresa» in luogo del termine (utilizzato invece dall’art. 2359 c.c.) «società». Tale differenza terminologica, che la dottrina ha messo in relazione alle previsioni [continua ..]


3.2. Le previsioni integrative della nozione codicistica

Dopo il richiamo da parte del comma 1 (per quanto parziale e terminologicamente difforme) della nozione codicistica, il successivo comma 2 dell’art. 26 del d.lgs. n. 127/1991 arricchisce la nozione di controllo, rendendola in questo modo “speciale”, con l’aggiunta di ipotesi in parte certamente estranee alla nozione codicistica ed in parte non riconducibili con certezza alla stessa. In particolare, ai fini del consolidato il comma 2 considera controllate (a) le imprese in cui un’altra ha il diritto, in virtù di un contratto o di una clausola statutaria di esercitare un’influenza dominante, quando la legge applicabile consenta tali contratti o clausole, nonché (b) le imprese in cui un’altra, in base ad accordi con altri soci, controlla da sola la maggioranza dei diritti di voto. Iniziando dalla lettera (a) e in particolar modo dalla prima delle ipotesi ivi contemplate, il caso in considerazione è quello dei contratti di dominio della tradizione legislativa tedesca, che come noto ammette espressamente il controllo e la gestione unitaria del gruppo attraverso la stipulazione di specifici accordi(Beherrshungsvertrag). In mancanza di una disciplina analoga, l’ammissibilità di questi contratti nel nostro paese è stata invece dibattuta. In particolare, mentre è del tutto prevalente l’opinione che esclude la validità degli accordi comportanti il diritto della capogruppo di impartite direttive vincolanti anche se direttamente pregiudizievoli [40], la dottrina ha molto discusso, prima della riforma organica del diritto societario del 2003, in merito alla validità delle pattuizioni aventi ad oggetto il diritto di impartire istruzioni di collegamento o coordinamento gerarchico, comportanti il diritto/dovere degli amministratori delle controllate di rifiutare l’esecuzione di direttive non conformi agli interessi della impresa controllata dovendosi tuttavia adeguare a quelle neutre o comunque non contrastanti l’interesse della controllata per quanto ispirate dall’interesse della controllante (c.d. contratti di coordinamento o di dominio debole) [41]. La riforma del 2003 ha però come noto introdotto significativi cambiamenti, avendo in particolar modo l’art. 2497 c.c. confermato in modo espresso la liceità della c.d. direzione unitaria ed avendo poi gli artt. 2497-septies e 2545-septies c.c. a loro volta chiarito [continua ..]


3.3. Il controllo indiretto e altre regole di computo dei diritti di voto

Con il comma 3, infine, l’art. 26 del d.lgs. n. 127/1991 sancisce l’estensione della disciplina alle fattispecie di controllo c.d. indiretto, realizzate cioè per il tramite dei diritti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persone interposte, in tal modo applicando anche ai fini del consolidato la regola, diffusamente applicata dalla generale disciplina in tema di controllo, avente come finalità «di chiudere varchi all’elusione della normativa che assume a proprio presupposto il controllo» [54]. È dunque da escludere la possibilità di riservare la qualifica di controllanti a soggetti interposti ed a società fiduciarie trattandosi di entità che si limitano di regola (ed a condizione quindi che di fatto si limitino) ad attuare poteri di cui altri dispongono [55]. La norma in commento, in altre parole, conferma anche ai fini del bilancio consolidato la volontà legislativa di non riservare la qualifica di controllanti a soggetti che solo attuino un potere di influenza qualificata di cui altri possono disporre. L’estensione disciplinata dal comma 3 è tuttavia prevista, letteralmente, con e­sclusivo riferimento alle fattispecie del comma 2, tant’è che, sul piano letterale, potrebbe anche dubitarsi della riferibilità alle fattispecie disciplinate dal comma 1 (vale a dire alle fattispecie di controllo secondo la tipica nozione codicistica di cui ai numeri 1 e 2 dell’art. 2359 c.c.). La questione è stata comunque risolta dalla dottrina nel senso della naturale applicazione di questa regola anche alle fattispecie di derivazione codicistica, mancando una ratio in grado di giustificare una differente conclusione [56]. A favore di questa ipotesi, d’altra parte, depone la circostanza che l’art. 2359, comma 2, c.c., stabilisce la regola del computo dei voti spettanti a società controllate, società fiduciarie e persone interposte, proprio ai fini dell’applica­zione dei numeri 1) e 2) del comma 1, sembrando perciò naturale che la regola debba trovare applicazione con riferimento anche all’art. 26, comma 1, che a sua volta richiama i predetti nn. 1) e 2), comma 1, art. 2359 c.c. [57]. Sempre in tema di computo dei voti va altresì ricordato che la direttiva 2013/34/UE stabilisce che, ai fini del computo dei diritti di voto riguardanti le [continua ..]


4. La partecipazione alla società quale solito presupposto del consolidamento e la dubbia superabilità dell’obbligo in caso di detenzione di voti sufficienti ad esercitare un’influenza dominante

Stante il mancato richiamo del n. 3 dell’art. 2359 c.c., riguardante l’influenza dominante di natura economica, e per il rilievo residuale – visti i limiti di validità nel nostro ordinamento dei contratti di dominazione ed il limitato impiego di quelli costitutivi di gruppi orizzontali – del controllo dipendente da previsione contrattuale, può dunque dirsi, in estrema sintesi e con buon grado di approssimazione, che nel nostro ordinamento l’obbligo di consolidamento si ricollega nella maggior parte dei casi alla disponibilità di un certo numero di azioni o quote partecipative (non necessariamente rappresentative della maggioranza dei voti in assemblea ma purché) in grado di assicurare (anche per la polverizzazione del voto, l’assenteismo degli altri soci, a motivo di specifici accordi e per eventuali altre ragioni) la possibilità di agire in assemblea (anche solo in via di fatto) quale socio di maggioranza. Ma se per un verso questa disponibilità di voti rappresenta il naturale presupposto del consolidamento, per altro verso non è tuttavia certo se la stessa comporti una presunzione assoluta di controllo e quindi un insuperabile obbligo di consolidamento. La questione rimanda evidentemente alla generale incertezza che l’art. 2359 c.c. pone in merito a se la previsione in essa contenuta debba essere considerata imperativa, così come la natura definitoria della norma e l’impiego dell’espressione «[s]o­no considerate» sembrerebbero suggerire [62], o se si tratti al contrario di una presunzione relativa che consentirebbe la prova dell’insussistenza di una influenza dominante nonostante il possesso di un numero di voti sufficienti a controllare (in via di diritto ovvero in via di fatto) l’assemblea. Ai fini della delimitazione dell’area di consolidamento, la questione si pone in termini tuttavia particolari, non potendosi certo trascurare che quello riguardante il consolidamento è un obbligo da adempiersi a fine esercizio sociale i cui presupposti dovrebbero essere di regola verificabili ex post [63], nel senso cioè che la società dovrebbe di regola essere nelle condizioni di poter valutare, sulla base degli elementi a disposizione, se nel corso dell’anno la partecipazione detenuta sia stata interessata (o meno) da eventi impeditivi dell’e­sercizio del controllo. Questa [continua ..]


5. La facoltà di consolidamento proporzionale nelle ipotesi di controllo “congiunto”

Gli aspetti dei quali si è fatta menzione al § che precede, l’esigenza cioè di impedire scelte opportunistiche determinate dal proposito di consolidare una partecipata profittevole evitando invece l’inclusione di quelle eventualmente in difficoltà, nonché il possesso di una partecipazione societaria quale presupposto non imprescindibile ma riscontrabile nella maggior parte dei casi, assumono rilievo anche riguardo alla disciplina del consolidamento delle imprese oggetto di controllo “congiunto” con altri soci. Ad occuparsi di questa fattispecie, rispetto alla quale non è forse superfluo chiarire che di per sé non comporta alcun obbligo di redigere un bilancio consolidato [76], è in particolar modo, come già fatto cenno, l’art. 37 del d.lgs. n. 127/1991, con il quale il legislatore italiano, avvalendosi dell’opzione concessa dall’art. 32 della VII direttiva CEE, ha consentito di inserire nel consolidato le entità per la cui gestione un’impresa – in ragione di vincoli contrattuali, patti parasociali, clausole statutarie o per effetto delle quote detenute – debba raggiungere un accordo con un’altra impresa [77]. Ai fini del consolidamento il presupposto della co-gestione non è tuttavia sufficiente, essendo altresì richiesta la detenzione di una partecipazione non inferiore alle percentuali indicate dall’art. 2359, comma 3, c.c., che come noto, nel qualificare società collegate quelle sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole, indica in almeno un quinto di voti (ovvero un decimo nel caso di società quotate in borsa) la percentuale in presenza della quale l’influenza notevole si presume [78]. Solo al ricorrere di entrambe queste condizioni (necessità di un accordo con altri soci e detenzione di una partecipazione qualificata) la partecipazione posseduta può quindi essere consolidata, in particolar modo «secondo il criterio della proporzione con la partecipazione posseduta» [79], ciò comportando l’esecuzione di tutte le fasi del consolidamento integrale e la successiva iscrizione di tutte le singole attività, passività, costi, ricavi, utili e perdite anziché integralmente in misura proporzionale alla partecipazione detenuta [80]. Tenuto però conto che [continua ..]


6. La nozione di controllo secondo i principi contabili internazionali

Come già ricordato [82], per le società identificate dal combinato disposto degli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 38/2005 gli obblighi di consolidamento dei conti sono regolati da norme speciali e, specificamente, dall’International Financial Reporting Standard 10 (IFRS 10 – Consolidated Financial Statement). Emanato nel maggio 2011 dall’IASB [83], il principio IFRS 10 è stato successivamente adottato dall’Unione Europea con il regolamento (UE) n. 1254/2012 nell’am­bito di un più ampio contesto di nuovi principi contabili, fra cui “IFRS 11 – Accordi a controllo congiunto” e “IFRS 12 – Informativa sulle partecipazioni in altre entità”. L’obbligatorietà dell’adozione di questi principi è stata introdotta [84] in sostituzione delle precedenti previsioni rinvenibili nello IAS 27, per la parte riferita al bilancio consolidato, e nel “SIC 12 – Consolidamento, società a destinazione specifica”. La principale novità introdotta da questi nuovi principi è rinvenibile nella più accurata delimitazione dell’area di consolidamento. Invero, in precedenza il § 4 dello IAS 27 definiva il controllo come il potere di governare un’entità al fine di ottenere benefici, dando a tal fine rilievo a due fondamentali aspetti: la capacità di influenzare e dirigere i processi decisionali e la capacità di ottenere rendimenti economici. Inoltre, pur non fornendo alcuna definizione di controllo, il principio SIC 12, applicabile alle società a destinazione specifica (SDS), precisava – al § 8 – che una SDS dovesse essere consolidata qualora la sostanza della relazione tra un’altra entità e la stessa SDS desse indicazione dell’esistenza di una situazione di controllo da valutarsi caso per caso nel contesto di tutti i fattori rilevanti [85]. Senza stravolgere la logica di fondo dei precedenti principi, l’IFRS 10 introduce una più puntuale definizione che, muovendosi nel rispetto del noto Conceptual Framework di prevalenza della sostanza economica rispetto alla forma giuridica [86], pone la nozione di controllo in rapporto a tre condizioni la cui sussistenza, da valutarsi in continuo [87], comporta l’obbligo del consolidamento [88]. Invero, ai sensi del­l’IFRS 10 una [continua ..]


6.1. Il potere sull’entità oggetto di investimento

Iniziando dalla prima condizione [89], riguardante la possibilità dell’investitore di esercitare un potere qualificato, il principio IFRS 10 fa in particolar modo riferimento al potere derivante dal possesso di «validi diritti che gli conferiscono la capacità attuale di dirigere le attività rilevanti, ossia le attività che incidono in maniera significativa sui rendimenti dell’entità oggetto di investimento». Il principio, in questo modo, dà rilievo a due aspetti tra loro strettamente connessi: quello dei validi diritti e quello delle attività rilevanti. Per quanto concerne il primo aspetto, tra i validi diritti l’IFRS 10, oltre ai diritti di voto, menziona anche, esemplificativamente, i diritti di nomina o destituzione di dirigenti con responsabilità strategiche e che abbiano la capacità di condurre le attività rilevanti; i diritti di nomina o destituzione di un’altra entità che conduce le attività rilevanti; i diritti di istruire l’entità oggetto di investimento ad avviare operazioni che vadano a vantaggio dell’investitore, o di vietarne qualsiasi modifica; altri diritti (come i diritti di assumere decisioni specificati in un contratto di gestione) che diano al titolare degli stessi la capacità di condurre le attività rilevanti (§§ B14-B21) [90]. La più classica forma di valido diritto rimane tuttavia il diritto di voto, la cui titolarità assume rilievo, oltre che nel caso in cui l’investitore detiene la maggioranza, (a) in presenza di un accordo contrattuale con altri titolari di diritti di voto, (b) in caso di possesso di diritti di voto comunque sufficienti a conferire il potere sull’entità oggetto di investimento, (c) in presenza di diritti di voto potenziali, nonché (d) nell’ipotesi di una combinazione dei predetti diritti. Chiariti quali diritti possono essere ritenuti astrattamente idonei a conferire all’investitore il potere sull’en­tità oggetto di investimento, l’IFRS 10 chiarisce poi anche che, per poter rilevare ai fini della detenzione del potere, questi diritti devono presentare connotazioni tali da poter essere considerati sostanziali (substantive rights), nel senso cioè che il titolare deve disporre della «capacità pratica di esercitare tali diritti» (§ B22). In [continua ..]


6.2. L’esposizione, o il diritto, ai rendimenti variabili di una partecipata

Altro requisito rilevante ai fini della sussistenza del controllo è l’esposizione dell’investitore, ovvero il diritto, ai rendimenti variabili derivanti dal coinvolgimento nella partecipata. Il soggetto che detiene il controllo di un altro deve essere infatti esposto, o avere diritto, ai rendimenti (positivi, negativi o sia positivi che negativi) generati da quest’ultimo (§§ 15-16). Il termine “rendimenti” ha una portata molta ampia ricomprendendo una variegata tipologia di ritorni, inclusiva sia di benefici diretti (come la distribuzione dei dividendi o l’apprezzamento del valore della partecipazione) che di benefici indiretti derivanti dalle sinergie instaurate con la partecipata (come ad esempio benefici fiscali attesi o economie di scala) [93]. Allo stesso modo, assai ampia è la portata del requisito della “variabilità”, che spiegando anzitutto la natura non fissa (e potenzialmente anche negativa) dei rendimenti, rimanda in generale all’an­damento economico dell’entità oggetto di investimento. Dovendosi tener conto della sostanza, indipendentemente dalla forma giuridica, la variabilità dei rendimenti non riguarda infatti, anche in questo caso, le sole variazioni connesse alla titolarità di una partecipazione ma ricomprende, all’opposto, qualsivoglia ipotesi in cui, in virtù di particolari rapporti con l’entità oggetto di investimento, l’inve­stitore è in qualche modo esposto ai rischi della stessa. Potendosi perciò considerare esposto ai rendimenti variabili dell’entità, ad esempio, l’investitore che detenga obbligazioni anche qualora con interessi prestabiliti, trattandosi di pagamenti comunque soggetti al rischio di default o comunque di credito dell’emit­tente, come pure l’investitore che abbia accesso alle attività dell’entità, ricavandone economie di scala, risparmi di costo ovvero vantaggi in termini di forniture di prodotti ed impiego del know-how [94]. In altre parole, per l’IFRS 10 qualsiasi rapporto tra investitore ed entità oggetto di investimento che esponga il primo all’andamento economico o comunque al rischio di insolvenza del secondo è idoneo a configurare un’esposizione a rendimenti variabili. Potendosi pertanto aggiungere, a fronte di una così vistosa ampiezza, che [continua ..]


6.3. Correlazione tra potere e rendimenti

Terza condizione rilevante è infine rappresentata dall’esistenza di un rapporto tra il potere dell’investor e la variabilità dei rendimenti. Ai fini del controllo, in particolare, non è sufficiente la detenzione del potere e l’esposizione o il diritto ai rendimenti variabili derivanti dal proprio rapporto con l’entità nella quale si è investito, essendo invece necessario che l’investor abbia «anche la capacità di esercitare il proprio potere per incidere sui rendimenti derivanti da tale rapporto» (§ 17). La questione cui al riguardo l’IFRS 10 dà specifico rilievo attiene all’eventuale esercizio del potere per conto di soggetti terzi. Invero, il potere spettante ad un investitore potrebbe essere esercitato per conto di altri, sicché «un investitore che abbia il diritto di assumere decisioni deve stabilire se opera in conto proprio (c.d. preponente o “principal”) ovvero come un agente per conto di terzi (c.d. “agent”)» (§ 18) [95]. Qualora abbia sì il diritto di assumere le decisioni, ma solo per conto ed a vantaggio di un preponente, il soggetto agente non potrebbe infatti indentificarsi con chi controlla la partecipata. E poiché tale verifica potrebbe risultare non semplice, l’IFRS 10 fornisce a tal fine una serie di indicatori, stabilendo in particolar modo che per valutare la natura effettiva di chi assume le decisioni deve considerarsi l’ampiezza ed il grado di discrezionalità della sua autorità decisionale (§§ B62-B63), l’eventuale diritto di altri soggetti di sostituirlo o di ridurre tale sua discrezionalità (§§ B64-B67), il livello, la variabilità ed i criteri di commisurazione della sua remunerazione (§§ B68-B70) [96] nonché la sua esposizione alla variabilità dei rendimenti derivanti da eventuali altri coinvolgimenti (quali ad esempio quelli dipendenti dal rilascio di garanzie) nella partecipata (§§ B71-B72). In tale valutazione, deve infine tenersi conto della natura delle relazioni di chi assume le decisioni con le altre parti, rilevando al riguardo la capacità di influenzare il comportamento di altri soggetti inducendoli ad agire come propri agenti e comunque nel proprio interesse (§ B73-B75).


7. Principali differenze ed esemplificativi raffronti tra principi contabili internazionali e regolamentazione domestica

L’impostazione sostanzialistica adottata dai principi contabili internazionali, che in generale fa dipendere la “recognition” e la “derecognition” di un asset in bilancio dalla possibilità di trarre utilità dal bene [97], comporta evidenti diversità rispetto alle corrispondenti regole nazionale, tra le cui più appariscenti manifestazioni è possibile menzionare, in via esemplificativa, il differente rilievo attribuito dai due sistemi al profilo partecipativo, al quale come visto solo le regole nazionali riconoscono una tipica rilevanza, nonché gli aspetti riguardanti i diritti di voto in assemblea e specificamente il rilievo (poco determinante) attribuito dal Principio IFRS 10 al potere di nomina dell’organo di amministrazione. Invero, nell’ambito delle regole internazionali la possibilità di procedere alla designazione dell’organo gestorio, se per un verso non integra una condizione necessaria per altro verso neppure è sufficiente ai fini dell’affermazione dell’obbligo di consolidamento. La qual cosa, vale la pena precisare, non vuol dire che la titolarità di sufficienti diritti di voto in assemblea non rappresenti un aspetto di specifica rilevanza, essendo stato anzi già detto [98] che anche nella prospettiva dello IFRS 10 i diritti di voto rimangono la più classica manifestazione del potere di controllo dell’investitore sulla partecipata [99], ma inserendosi questo aspetto nell’ambito di un più ampio contesto che, nel dare rilievo alla contestuale sussistenza di più condizioni da valutarsi con approccio sostanziale, non esclude l’eventualità di una «[m]aggioranza dei diritti di voto ma senza potere» [100] né tantomeno l’ipotesi di un «[p]otere senza la maggioranza dei diritti di voto» [101]. Dal possesso della maggioranza dei voti, in altri termini, il Principio IFRS 10 non sembra far discendere la medesima automatica presunzione di controllo prevista dalla disciplina nazionale e la conseguente necessità, in assenza di controllo, di fornire una specifica prova contraria, rientrando invece l’aspetto in questione nel novero dei vari elementi dei quali gli organi di amministrazione e di controllo dovranno necessariamente tener conto nel momento della valutazione dei presupposti del consolidamento. Questa [continua ..]


8. Segue. Finali raffronti in tema di controllo congiunto

Un accenno va infine riservato alle previsioni del Principio IFRS 11 in tema di controllo congiunto, anche queste, come si sta per dire, significativamente difformi rispetto alle corrispondenti regole del nostro paese. Una prima esemplificazione di questa difformità è desumibile dall’aspetto partecipativo, le regole nazionali indicando quale necessaria condizione del consolidamento una partecipazione non inferiore alle percentuali indicate dall’art. 2359, comma 3, c.c., lì dove i principi internazionali, alla pari di quanto previsto in tema di controllo solitario, prescindono da tale aspetto, potendo anche il controllo congiunto prescindere in toto da passaggi a carattere societario. Un secondo aspetto, esemplificativo anch’esso della diversità dei sistemi, riguarda i profili di obbligatorietà. Al riguardo si è già avuto modo di ricordare che la disciplina italiana, non avvalendosi dell’opzione consentita dalla disciplina comunitaria e dando spazio, così facendo, al rischio di scelte opportunistiche, ha previsto la facoltà (e quindi non l’obbligo) di consolidare secondo il metodo della proporzione le imprese controllate congiuntamente ad altri soci. Analoga libertà non è stata invece consentita dai principi internazionali, i quali hanno reso le regole in tema di controllo congiunto indipendenti dalle scelte delle controllanti. Invero, la disciplina internazionale del controllo congiunto era in precedenza rinvenibile nel Principio IAS 31, il quale, pur stabilendo l’obbligatorietà del consolidamento delle imprese oggetto di controllo, riconosceva comunque una qualche libertà di scelta consentendo in particolar modo la facoltà di consolidare la partecipazione o secondo il metodo del consolidamento proporzionale oppure secondo il metodo del patrimonio netto [112]. Con il Principio IFRS 11 le regole sono divenute invece più stringenti, avendo quest’ultimo stabilito che il consolidamento di un’impresa soggetta a controllo congiunto [113] deve aversi, oltre che obbligatoriamente, nel rispetto della metodologia ritenuta più appropriata a seconda del tipo di accordo. In particolare, a seconda dei diritti e obblighi assunti dalle parti [114], l’IFRS 11 classifica l’accordo alla base del controllo congiunto come una joint operation ovvero come una joint venture [115], [continua ..]


9. Conclusioni

Emerge, dunque, che ai fini del bilancio consolidato rileva una nozione di gruppo potenziale piuttosto che attuale, in quanto il perimetro di consolidamento include non solo le società sulle quali il controllo è effettivamente esercitato, dando luogo ad un gruppo effettivo, ma anche quelle rispetto alle quali la comunanza di gestione [117] avrebbe potuto (anche solo) in teoria essere realizzata. Ad assumere rilievo ai fini del consolidamento è infatti l’astratta rinvenibilità di una gestione unitaria, non rilevando, ad esempio, la circostanza che il socio di controllo decida unilateralmente di non esercitare i propri poteri di soggetto dominante. Pertanto, pur valendo quale elemento indiziario [118], la circostanza che l’ente risulti tenuto al consolidamento dei bilanci non è di per sé riprova che le diverse società, formalmente autonome e indipendenti, siano sottoposte ad attività di direzione e coordinamento, nulla impedendo alla controllante/consolidante di «limita[rsi] a gestire il proprio pacchetto di partecipazione senza esercitare influenza sulla gestione e quindi avendo di mira solo scopi finanziari o di godimento» [119]. Tutto ciò valendo, se pur in diverso modo, tanto nel sistema di regole nazionali quanto in quello che comporta l’applicazione dei principi internazionali. A fronte di questa comunanza numerose sono invece le difformità, riguardanti tra l’altro il diverso rilievo del profilo partecipativo, il differente peso riservato agli aspetti formali e di sostanza ed il non equivalente grado di discrezionalità delle scelte consentite alle controllanti. Una diversità che tra l’altro non permette di replicare in ambito nazionale le soluzioni adottate nel contesto IAS/IFRS ed alla quale neanche i principi contabili italiani (OIC 17) possono in alcun modo ovviare, tenuto conto che la nozione di controllo è rinvenibile nella legge e potendo i principi contabili invece solo promuovere interventi interpretativi e di integrazione limitatamente al campo della tecnica contabile. Del resto, l’estensione delle soluzioni adottate dall’IFRS 10 dovrebbe affrontare impedimenti di carattere strutturale, riflesso della complessiva diversità del sistema contabile nazionale, modellato su specifiche previsioni attuative di regole comunitarie, rispetto ad un sistema, quello dei principi [continua ..]


NOTE