Rivista Corporate Governance ISSN 2724-1068 / EISSN 2784-8647
G. Giappichelli Editore

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Il nuovo Codice di Corporate Governance (di Paolo Montalenti, Professore ordinario di Diritto commerciale nell’Università degli Studi di Torino)


L’articolo analizza il nuovo Codice di Corporate Governance di Borsa Italiana, esaminando i princìpi generali di semplificazione, flessibilità e proporzionalità e le disposizioni specifiche in tema di organo di amministrazione. In particolare l’a. esamina i problemi e le soluzioni accolte in tema di composizione, funzioni e, soprattutto, in tema di «successo sostenibile».

Conclude con l’analisi delle disposizioni in tema di sistema di controllo interno e di gestione dei rischi.

Lo scritto è destinato agli Studi in onore di Sabino Fortunato.

The new Italian Corporate Governance Code

The article analyzes the new Corporate Governance Code of Borsa Italiana, examining the general principles of simplification, flexibility and proportionality and the specific provisions on the Board of Directors. More specifically the author examines problems and solutions accepted in terms of composition and, above all, in terms of «sustainable success».

He concludes with an analysis of the provisions on the internal control and risk management system.

Keywords: corporate governance code – system of internal control – risk management – corporate governance – Italian Stock Exchange Regulation

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. I Codici di Autodisciplina - 3. Le caratteristiche generali del Codice di Corporate Governance: la semplificazione - 4. Flessibilità e proporzionalità - 5. Il successo sostenibile: un tema apicale - 6. Il successo sostenibile: i problemi aperti - 7. Il ruolo dell’organo di amministrazione - 8. Il board: composizione, funzionamento e remunerazione - 9. Sistema di controllo interno e di gestione dei rischi - 10. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

Il Comitato per la Corporate Governance ha approvato, nel gennaio 2020, il nuovo Codice di Autodisciplina delle società quotate sul Mercato Telematico Azionario (“MTA”) gestito da Borsa Italiana, denominato “Codice di Corporate Governance”. Le società che adottano il Codice lo applicano a partire dal primo esercizio che inizia successivamente al 31 dicembre 2020, informandone il mercato nella relazione sul governo societario da pubblicarsi nel corso del 2022. Da quanto sopra discende che le società che adottano il Codice devono sin d’ora confrontarsi con il testo rinnovato anche per valutare se e quali modificazioni di governance, di assetti organizzativi, di sistemi informativi debbano essere posti in essere [1].


2. I Codici di Autodisciplina

Sul ruolo, la funzione il significato dei Codici di Autodisciplina il dibattito, in passato, ha registrato anche autorevoli posizioni critiche – penso ai giudizi pessimistici di Guido Rossi [2] – ma oggi, sia pure con sfumature diverse, l’opinione prevalente in dottrina è orientata nel senso di ritenere il sistema di self-regulation uno strumento apprezzabile di stimolo per il rafforzamento della corporate governance attraverso la valutazione del mercato [3]. Il pivot della regolamentazione autodisciplinare può essere individuato nel principio c.d. comply or explain, espresso nel codice ma oggi, nel nostro ordinamento, re­cepito all’art. 123-bis, comma 2, TUF [4], oltre, anzi prima, del rinvio alla potestà regolamentare della Consob, di cui all’art. 124-ter TUF. Il risultato concretamente raggiunto pare positivo quanto meno sotto un triplice profilo. In primo luogo, a differenza della normativa primaria e secondaria, il Codice di Autodisciplina affida all’autonomia privata la valutazione in merito al grado di compliance delle disposizioni autoregolamentari. In secondo luogo, conseguentemente, affida al mercato una funzione disciplinare di “induzione all’adempimento”, nel senso che è presumibile una valutazione positiva, intermedia o negativa degli investitori istituzionali – soprattutto nel quadro del crescente attivismo che ne contraddistingue gli orientamenti di policy – in ragione del rilevante, medio o insufficiente tasso di adesione alle indicazioni autodisciplinari. In terzo luogo questo strumento di soft law ha incentivato e rafforzato il processo di armonizzazione fra i diversi ordinamenti: se la dialettica tra harmonization and regulatory competition è più intensa in materia legislativa [5], tra i Codici di Autodisciplina dei principali sistemi angloamericani ed europei è nettamente prevalente un fenomeno di convergence: in tema di indipendenza degli amministratori, di sistemi di controllo, di tutela degli interessi degli stakeholders [6]. E l’adesione delle società ai Codici di Autodisciplina pare soddisfacente.


3. Le caratteristiche generali del Codice di Corporate Governance: la semplificazione

Un pregio del nuovo Codice è sicuramente la semplificazione. Il Codice si compone di sei sezioni (rispetto alle dieci sezioni del Codice previgente), precedute dalle Definizioni, e indicate come Articoli, ciascuno dedicato agli elementi centrali della Corporate Governance: ruolo dell’organo di amministrazione (art. 1), composizione degli organi sociali (art. 2), funzionamento dell’organo di amministrazione e ruolo del presidente (art. 3), nomina degli amministratori e autovalutazione dell’or­gano di amministrazione (art. 4), remunerazione (art. 5), sistema di controllo interno e di gestione dei rischi (art. 6). Ogni articolo è ripartito in Princìpi, che cristallizzano gli elementi fondamentali, gli obiettivi, le funzioni essenziali, le procedure caratterizzanti, le finalità generali di policy gestoria e in Raccomandazioni, che specificano le regole operative ricercando un equilibrato punto di mediazione tra puntualizzazione, da un lato, e sintesi espressiva, dall’altro lato, rispetto al codice precedente che, oltre al maggior numero di sezioni, si articolava in princìpi, criteri applicativi e commenti. Opportunamente le disposizioni sono formulate in modo tale da poter essere applicate in tutti i sistemi di governance. Vero è che l’applicazione dei modelli alternativi al modello tradizionale – di là da alcuni casi rilevanti (si pensi ad Intesa SanPaolo che ha sperimentato prima il sistema dualistico, ora il sistema monistico) – è stata limitata, pari, secondo gli ultimi dati elaborati dall’Osservatorio delle Imprese e della Società della Camera di Commercio di Milano, a circa l’1% delle società azio­narie. È anche vero, tuttavia, che in particolare il sistema monistico potrebbe – come qualcuno ha ipotizzato – trovare più ampia applicazione in ragione della maggiore snellezza operativa e della tendenziale dialettica cooperativa tra organo gestorio e organo di controllo, evoluzione che si riscontra anche nel sistema tradizionale e che quindi potrebbe attenuare il rischio di sovrapposizione di ruoli (quis custodiet custodes?) in capo agli amministratori che siano anche componenti del Comitato di controllo sulla gestione. La previsione di una possibilità di intervento del Comitato attraverso il sistema di Q&A (Questions and [continua ..]


4. Flessibilità e proporzionalità

Il Codice – come si legge nell’Introduzione – introduce misure di flessibilità e di proporzionalità. Si tratta di princìpi importanti che, a ben vedere, trovano o devono trovare applicazione in ampi settori della disciplina dell’impresa e delle società: si pensi al principio di adeguatezza degli assetti organizzativi introdotto dal Codice della crisi (art. 2086 c.c. nuovo testo) [7] o all’adeguatezza delle informazioni endocon­siliari in ragione della complessità dell’attività gestoria del consiglio di amministrazione (cfr. art. 2381, comma 1, c.c.). La partizione non è affidata alle dimensioni dell’impresa ma alla distinzione tra società a proprietà concentrata e società grande. La società a proprietà concentrata è la società in cui uno o più soci che partecipano a un patto parasociale di voto dispongono, direttamente o indirettamente (attraverso società controllate, fiduciari o interposta persona), della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria. Le società che perdono lo status di “società a proprietà concentrata” non possono più avvalersi delle misure di proporzionalità previste per tale categoria a partire dal secondo esercizio successivo al verificarsi della relativa condizione dimensionale (Definizioni, p. 4). La società grande è la società la cui capitalizzazione è stata superiore a 1 miliardo di euro l’ultimo giorno di mercato aperto di ciascuno dei tre anni solari precedenti. Le società che assumono lo status di “società grande” a partire dal 31 dicembre 2020 applicano i Princìpi e le Raccomandazioni rivolti a questa categoria di società a partire dal secondo esercizio successivo al verificarsi della relativa condizione dimensionale (ibidem). Il principio di proporzionalità trova ad esempio applicazione in tema di numero degli amministratori indipendenti (art. 2, Raccomandazioni n. 5), di numero di incarichi negli organi di amministrazione o controllo in altre società quotate o di rilevanti dimensioni (art. 3, Raccomandazioni n. 15), di attribuzione delle funzioni del comitato controllo rischi all’organo di amministrazione (art. 3, Raccomandazioni n. 16), [continua ..]


5. Il successo sostenibile: un tema apicale

Una delle innovazioni più significative del nuovo Codice è la statuizione del successo sostenibile come «obiettivo che guida l’azione dell’organo di amministrazione e che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società» (Definizioni, p. 4). Il tema si colloca in un quadro internazionale di evoluzione normativa, primaria e secondaria, dei Codici di Autodisciplina, delle best practice, degli orientamenti degli investitori istituzionali che, di là dalle valutazioni in parte pessimistiche ma anche, al contrario, di cauto ottimismo non può non essere preso in considerazione. Si tratta in effetti, di un tema di largo respiro, che mi limito, in questa sede [8], a richiamare per brevi cenni. Nell’ordinamento italiano abbiamo assistito ad un progressivo superamento, nella dottrina maggioritaria, di visioni strettamente contrattualistiche dell’interesse sociale a favore un orientamento definibile come “neoistituzionalismo”, per cui l’obiettivo del profitto deve contemperarsi con gli interessi degli stakeholders. Oltre a numerosi dati normativi – in tema di operazioni straordinarie, di operazioni su azioni proprie, di disciplina dei gruppi, di offerte pubbliche di acquisto – particolare rilevanza assume la disciplina del c.d. bilancio sociale cioè della comunicazione delle dichiarazioni di carattere non funzionario (c.d. DNF) (d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254), relativi ai fattori che oggi si definiscono ESG (Environamental, Social and Governance). La direttiva Shakeholders’Rights II, attuata in Italia con il d.lgs. 10 maggio 2019, n. 49 vede la prospettiva long-term, la considerazione dei risultati non finanziari e sull’impatto sociale e ambientale, la politica di remunerazione, come pilastri della disciplina. Numerosi gli spunti comparatistici: dai non-shareholders constituency Statutes negli USA, alla Sect. 172 del Companies Act del 2006 del Regno Unito che impone agli amministratori “to have regard” agli interessi dei dipendenti, dei fornitori, dei consumatori e degli altri stakeholders, nonché della comunità e dell’ambiente, sino alla Loi Pacte (Loi n. 2019-486 del 22 maggio 2019) in Francia che ha modificato la [continua ..]


6. Il successo sostenibile: i problemi aperti

Come si è cercato di mettere in rilievo, sia pure in rapidissima sintesi, le nuove disposizioni del Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana – il Codice di Corporate Governance – in tema di successo sostenibile si collocano in un contesto ampio e articolato di carattere normativo – interno, sovranazionale e comparatistico –, regolamentare, di autodisciplina, di best practice. La novità autoregolamentare non può quindi, a mio parere, essere sottovalutata come pura indicazione wishfull thinking ascritta a mere aspirazioni volontaristiche. Si pongono, tuttavia, diversi problemi, interpretativi e applicativi, che intendo qui sinteticamente richiamare. La rilevanza del tema si pone anche perché, se è vero che il Codice di Autodisciplina è retto dal principio comply or explain, è ragionevole prevedere che la mag­gioranza, se non la totalità, delle società quotate aderirà alle nuove disposizioni, fer­ma la variabilità del “tasso” di adesione alle singole Raccomandazioni. Si osservi altresì che il successo sostenibile è definito come «l’obiettivo che guida l’azione dell’organo di amministrazione» ed assume quindi lo status di “dovere generale” di orientamento della gestione sociale. L’obiettivo si ripartisce in due segmenti: (i) la creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti; (ii) il tenere conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società. Il primo obiettivo rappresenta un superamento del paradigma dello shareholder value: il profitto non può essere circoscritto a visioni speculative short term ma rimane comunque, in ultima istanza, lo scopo degli azionisti e quindi oggetto di dovere gestorio da parte degli amministratori. Ciò imporrà all’organo di gestione una valutazione di policy nella elaborazione dei piani strategici ed anche una ponderazione specifica nelle scelte di gestione, sicuramente nelle operazioni di maggior rilievo. Con doveri di disclosure endoconsiliari da parte dei delegati (cfr. art. 2381 c.c.) e nei confronti dei soci nella relazione sulla gestione. L’espressione «tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la [continua ..]


7. Il ruolo dell’organo di amministrazione

Oltre a perseguire il successo sostenibile l’organo di amministrazione «esamina e approva il piano industriale della società e del gruppo ad essa facente capo, anche in base all’analisi dei temi rilevanti per la generazione di valore nel lungo termine effettuate con l’eventuale supporto di un comitato del quale l’organo di amministrazione determina la composizione e le funzioni» [art. 1, Raccomandazioni 1.a)]. Si conferma il rafforzamento del ruolo del consiglio come plenum (“approvare” versus “esamina”: art. 23813 c.c.), si esplicita la prospettiva long term, si indica espressamente la dimensione strategica di gruppo anche con preciso riferimento alla deliberazione «in merito alle operazioni della società e delle sue controllate che hanno un significativo rilievo strategico, economico, patrimoniale e finanziario per la società stessa» [art. 1, Raccomandazioni 1.e)]. Si prevede che l’organo di amministrazione deve promuovere forme di dialogo non solo con la «generalità degli azionisti», «tenendo conto delle politiche di engagement adottate dagli investitori istituzionali e dei gestori di attori» [art. 1, Raccomandazioni n. 3] ma anche con «gli altri stakeholder rilevanti per la società» [art. 1, Princìpi IV]. Il «piano industriale» è specificato nelle Definizioni, coerentemente con best practice e tecnica aziendalistica, perché menziona specificamente il risk appetite fra­mework: è «il documento programmatico nel quale sono definiti gli obiettivi strategici dell’impresa e le azioni da compiere al fine di raggiungere tali obiettivi in coerenza con il livello di esposizione al rischio prescelto, nell’ottica di promuovere il successo sostenibile della società» (Definizioni, p. 4).


8. Il board: composizione, funzionamento e remunerazione

In punto di composizione del board il Codice fonda le disposizioni su tre linee di indirizzo qualificanti: l’indipendenza, la professionalità, la parità di genere (art. 2). In materia di indipendenza sono disciplinate analiticamente le «circostanze che compromettono, o appaiono compromettere» l’indipendenza assegnando quindi rilevanza sia alla sostanza ma anche all’apparenza verso i soci, i terzi, il mercato, individuando otto fattispecie poi articolate in specifiche “sub-ipotesi” (art. 2, Raccomandazioni n. 7). Si affida tuttavia – opportunamente – all’autonomia dell’organo amministrativo la valutazione, con criteri quantitativi e qualitativi, della «significatività delle relazioni professionali» nel caso di amministratore partner di uno studio professionale; criteri da predefinire almeno all’inizio del mandato (art. 2, Raccomandazioni n. 7, comma 2). Nelle società grandi a proprietà concentrata gli amministratori indipendenti costituiscono almeno un terzo dell’organo di amministrazione; nelle società grandi al­meno la metà (art. 2, Raccomandazioni n. 5). «Almeno un terzo dell’organo di amministrazione e dell’organo di controllo, ove autonomo, è costituito dal genere meno rappresentato»: prosegue la tutela del genere meno rappresentato; la Raccomandazione deve essere coordinata con la previsio­ne di cui all’art. 148, comma 1-bis, TUF come sostituito da ultimo dall’art. 1.303, legge 27 dicembre 2019, n. 160 che prevede la percentuale di «almeno due quinti dei membri effettivi del collegio sindacale» [10]. E la parità di trattamento e di opportunità tra i generi deve essere promossa con misure idonee nell’intera organizzazione aziendale (art. 2, Raccomandazioni n. 8, comma 3). Le disposizioni in merito al funzionamento dell’organo di amministrazione (art. 3) sono dense di Princìpi e di Raccomandazioni a mio parere essenziali per una governance efficace. Oltre alla già precedentemente prevista istituzione di comitati «con funzioni istruttorie, propositive e consultive» (Principio XI) e il ruolo di «raccordo» del presidente (Principio X), si raccomanda [continua ..]


9. Sistema di controllo interno e di gestione dei rischi

Da tempo sostengo che il sistema di controllo interno e di gestione dei rischi, alla luce della best practice, dell’evoluzione normativa (cfr. art. 149 TUF), della disci­plina regolamentare bancaria e assicurativa, costituisce l’architrave della corporate governance in particolare nelle società quotate, in ragione della pluralità delle funzioni societarie e aziendali investite di specifici compiti e della centralità – e complessità – di un adeguato coordinamento [12]. Il Codice di Corporate Governance apporta un prezioso contributo (art. 6). In punto di Princìpi il Codice descrive appropriatamente la struttura (Principio XVIII), investe l’organo di amministrazione della definizione delle linee di indirizzo e della valutazione di adeguatezza ed efficacia [Principio XIX e cfr. art. 2381, comma 3, c.c. e art. 149, comma 1, lett. c) e lett. c-bis)] e, soprattutto, impone la definizione dei «principi che riguardano il coordinamento e i flussi informativi» che, alla luce dell’esperienza, rappresentano spesso un profilo di criticità. Nelle Raccomandazioni (Raccomandazioni n. 32) si individuano analiticamente gli organi societari (organo di amministrazione, chief executive officer, organo di controllo), l’organizzazione autodisciplinare (il comitato controllo rischi), le funzioni aziendali (internal audit, risk management e compliance) precisandone i compiti. Si definiscono altresì (Raccomandazioni n. 33) le funzioni dell’organo di amministrazione «con il supporto del comitato controllo rischi» articolate in approvazione dei piani di lavoro, di coordinamento con l’ODV ex d.lgs. n. 231/2001, di valutazione dei risultati esposti dal revisore legale, di doveri di trasparenza nella relazione sul governo societario. Con particolare analiticità e precisione si definiscono funzioni e doveri del chief executive officer (Raccomandazioni n. 34), del comitato di controllo e rischi (Raccomandazioni n. 35), del responsabile della funzione di internal audit (Raccomandazioni n. 36). Competenza, indipendenza, relazioni periodiche, flussi informativi, verifiche spe­cifiche e generali, coordinamento dialettico con l’organo di amministrazione e con l’organo di controllo, sono i punti qualificanti: in [continua ..]


10. Conclusioni

In conclusione ritengo che il nuovo Codice di Corporate Governance debba essere valutato positivamente. I miglioramenti rispetto alla precedente versione sono numerosi: semplificazione, maggiore chiarezza espositiva, equilibrio, in ragione delle fattispecie regolate, tra formulazioni sintetiche, da un lato, precisazioni analitiche dall’altro lato, sono apprezzabili. In particolare i problemi principali di una nuova corporate governance sono pre­si in considerazione: ruolo, composizione, funzionamento del consiglio di amministrazione; indipendenza, parità di genere, informazioni endoconsiliari, autovalutazione e così via sono tutti temi che, a mio parere, erano meritevoli di una più analitica regolazione sia pure in forma di soft-law. Di particolare interesse è la materia dei sistemi di controllo interno: a mio parere si tratta di un terreno elettivo in cui la combinazione tra norme, regolamenti e autodisciplina può essere in effetti positiva: e l’esperienza comparatistica ne è una conferma [13]. Se è vero che su questioni “apicali” come il successo sostenibile, il terreno è ancora da esplorare e ricco di interrogativi, in materia di controlli interni, l’autodisci­plina non solo ha creato practice apprezzabili ma ha progressivamente indotto il legislatore ad intervenire in termini di norme primarie, di norme secondarie (si pensi ai regolamenti Consob, IVASS, Banca d’Italia) con una sorta di adattamento progressivo. E in punto di coordinamento tra istanze di controllo – problema che come da tempo rilevo è di primaria rilevanza – le disposizioni più puntuali si trovano, appunto, nel Codice di Corporate Governance. In conclusione i Codici di Autodisciplina non sono la panacea salvifica in una materia così complessa come la corporate governance ma rappresentano un elemento positivo: degradarli a mere aspirazioni volontaristiche prive di incidenza reale non mi pare un orientamento condivisibile. Un cauto ottimismo appare più appropriato.


NOTE