Rivista Corporate Governance ISSN 2724-1068 / EISSN 2784-8647
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Le 'società tra avvocati': statuto, soci e governance (di Gianluca Bertolotti )


L’art. 1, comma 141, della legge n. 124/2017 ha profondamente modificato la disciplina delle società tra avvocati determinando così l’emersione di plurimi e complessi problemi in merito alla redazione degli statuti e all’esercizio della professione forense, agli assetti proprietari, alla individuazione di coloro che sono legittimati ad essere soci e dei diritti che possono attribuirsi ai soci di capitali e all’intero sistema della governance.

Anche sul piano fiscale e previdenziale emergono rilevanti profili di criticità tuttora irrisolti.

Il saggio propone di risolvere le complesse questioni in tema di società tra avvocati attraverso la ricerca di un equilibrio tra i valori fondanti la professione forense e la disciplina delle società e l’applicazione di regole diverse a seconda che l’organizzazione prevalga o meno sul lavoro del professionista intellettuale.

The 'società tra avvocati': by-laws, members and gover­nance

Art. 1, para. 141 of law n. 124/2017 has deeply changed the discipline of companies among lawyers (as U.K. alternative business structures) and determined the emergence of multiple and complex problems concerning the drafting of the by laws and the exercise of the legal profession, the ownership structure, the identification of those who are entitled to be members and the rights that can be attributed to investors and the governance of law firms.

As to tax, there is also important area of concern which is still unresolved.

This essay aims to resolve the complex issues of societies among lawyers through the search for a balance between the founding values of the legal profession and the discipline of societies and the application of rules which vary depending on whether or not the organization prevails over the work of the intellectual professional.

Keywords: professional partnership of lawyers – lawyers – governance – intellectual professions – right of defence – income determination

SOMMARIO:

1. La legge 4 agosto 2017, n. 124 e le modifiche alla disciplina delle società tra avvocati: una disciplina lacunosa e atecnica. La visione 'mercatista' della professione forense versus la tutela del diritto di difesa - 2. 'Voragini' e nuove criticità nella disciplina delle società tra avvocati dopo le modifiche introdotte dalla legge 4 agosto 2017, n. 124 - 3. I professionisti soci e i loro poteri nelle società tra avvocati - 4. L'interesse pubblico alla presenza effettiva e maggioritaria degli avvocati rispetto ad altri eventuali professionisti - 5. La disciplina della società tra avvocati e il rilievo della legge professionale forense quale sedes materiae - 6. L'esclusione del socio avvocato - 7. La governance delle società tra avvocati - 8. Professioni intellettuali e impresa nella nuova società tra avvocati - 9. L'espunzione del d.lgs. n. 96-2001 nel sistema delle società tra avvocati - 10. Denominazione e ragione sociale - 11. Considerazioni sui profili fiscali del reddito prodotto dalle società tra avvocati - NOTE


1. La legge 4 agosto 2017, n. 124 e le modifiche alla disciplina delle società tra avvocati: una disciplina lacunosa e atecnica. La visione 'mercatista' della professione forense versus la tutela del diritto di difesa

Per effetto della legge n. 124/2017 (segnatamente dell’art. 1, comma 141 …! [1]), entrata in vigore il 29 agosto 2017 e che ha abrogato sia l’art. 5 della legge n. 247/2012, recante la “Nuova disciplina dell’ordinamento professionale forense”, sia il d.lgs. n. 96/2001 (come correttamente affermato anche dalla recente sentenza pronunciata a Sezioni Unite dalla Suprema Corte, 19 luglio 2018, n. 19822 e su cui si dirà meglio nel prosieguo), che disciplinava compiutamente il “primo” tipo (“spe­ciale”, secondo alcuni, ma in ogni caso riconducibile allo schema organizzativo della società in nome collettivo) di società tra avvocati [2] e per effetto di disposizioni palesemente e gravemente lacunose e per lo più atecniche – dunque, in larga misura, incomprensibili, non solo per la generalità degli operatori del diritto, ma anche per gli specialisti della materia – si è attualmente al cospetto di una disciplina delle società tra avvocati caratterizzata da incertezze e conseguente enormi difficoltà, quando non anche “impossibilità”, di operare e di funzionare nell’interesse (di quello che, ad avviso chi scrive, è e deve essere l’interesse preminente vale a dire l’in­teresse) dei clienti, in particolare, l’interesse al pieno esercizio del diritto di difesa dei cittadini, il cui presidio costituzionale (24 Cost.) è superfluo ricordare [3]. La considerazione che si propone dell’interesse dei consociati in termini di interesse “preminente” o, se si preferisce, di interesse “fondante”, non vuole essere retorica e non si esaurisce in una scelta di carattere politico, ma assume un ruolo di primo piano nella interpretazione delle norme che regolano le società tra avvocati e nella costruzione sistematica: si tratta, in altri e più espliciti termini, di considerare l’interesse dei cittadini alla tutela dei loro diritti il faro necessario e idoneo ad orientare le scelte dell’interprete e alla luce del quale, dunque, qui s’inten­de navigare [4]. In via preliminare, occorre osservare che l’intervento normativo in rassegna origina da un progetto e da idee marcatamente “mercatiste” della professione forense, progetto e idee sui quali ci si è diffusamente e [continua ..]


2. 'Voragini' e nuove criticità nella disciplina delle società tra avvocati dopo le modifiche introdotte dalla legge 4 agosto 2017, n. 124

Rispetto alla disciplina originaria delle società tra avvocati, recata dalla legge n. 247/2012, disciplina compiuta e coerente con la Costituzione e con la diversità ontologica dei fenomeni impresa e professione intellettuale [8], la disciplina attualmente vigente si caratterizza, in primo luogo, per l’assenza di indicazioni rilevanti e necessarie per la concreta operatività di tali società, al punto che sorgono dubbi financo circa la possibilità che, per effetto di tale modificata disciplina, sia legittimo l’esercizio della professione forense da parte delle società tra avvocati gli statuti delle quali siano conformi alle modifiche in rassegna (piuttosto che alla disciplina previgente, recata dalla legge n. 247/2012), né il problema può ritenersi ozioso assumendo che sia stato superato dalla prassi, ossia dal fatto che, successivamente alle modifiche introdotte dalla legge n. 124/2017, sono state costituite società tra avvocati che allo stato attuale operano, appunto, in conformità alle anzidette modifiche. Dall’attuale disciplina in tema di società tra avvocati sono state infatti espunte le disposizioni – tutte contenute nell’impianto originario della legge n. 247/2012 – secondo le quali: «in ogni caso l’esercizio in forma societaria della professione forense non costituisce attività d’impresa»; «la società tra avvocati non è soggetta al fallimento»; «qualificare i redditi prodotti dalla società tra avvocati quali redditi di lavoro autonomo, anche ai fini previdenziali»; «prevedere che la denominazione o ragione sociale contenga l’indicazione “società tra avvocati”» (tale ultima disposizione è stata peraltro parzialmente reinserita per effetto dell’art. 1, comma 443, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, tuttavia, la attuale disposizione non fa più alcun riferimento alla ragione sociale); l’applicazione alla società tra avvocati delle «disposizioni sull’esercizio della professione di avvocato in forma societaria di cui al decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96». Si vedranno più avanti, nel prosieguo del presente lavoro, le criticità determinate dall’espunzione di ciascuna delle ricordate disposizioni e, però, è già di immediata [continua ..]


3. I professionisti soci e i loro poteri nelle società tra avvocati

Un primo e assai rilevante cambiamento ha interessato il profilo soggettivo, ossia l’individuazione di coloro che possono essere soci di una società tra avvocati. L’impianto originario della legge n. 247/2012 prevedeva, infatti, che soltanto avvocati potessero essere soci di una società tra avvocati. Si ché, a differenza delle altre società tra professionisti (quelle di cui all’art. 10 della legge n. 183/2011, la legge generale sulle società tra professionisti) nelle società tra avvocati non potevano ammettersi altri professionisti intellettuali, neppure quelli appartenenti a professioni regolamentate, e non potevano ammettersi soci non professionisti. Tale disciplina – che traeva fondamento dal rilievo costituzionale della professione forense, per essere tale professione affidataria esclusiva e competente della difesa dei diritti dei cittadini, diritto proclamato «inviolabile in ogni stato e grado del procedimento» (24 Cost.) – era coerente con l’impianto complessivo della legge professionale degli avvocati che (stabiliva e tuttora) stabilisce: i) rigorose incompatibilità per coloro i quali esercitano la professione forense, alcune delle quali non sono replicate in altri ordinamenti professionali; ii) che l’esercizio della professione forense in forma societaria è consentito esclusivamente alle società tra avvocati costituite e regolate dalla stessa legge professionale. In definitiva, nella legge n. 247/2012, la società tra avvocati ivi regolata è l’u­nico strumento attraverso cui è consentito esercitare in forma societaria la professione forense, che altrimenti può svolgersi soltanto in forma associata ovvero individualmente [9]. Nell’impianto originario della legge n. 247/2012, dunque, la società tra avvocati è una società tra professionisti “pura”, può essere costituita soltanto da avvocati e soltanto avvocati possono essere soci di una società tra avvocati. Per effetto della legge n. 124/2017 ora si consente la partecipazione ad una società tra avvocati anche a professionisti appartenenti ad altre professioni regolamentate e a soci non professionisti. Si osservi, in via incidentale, che all’indomani dell’approvazione della legge n. 247/2012, il coro di veementi critiche che aveva [continua ..]


4. L'interesse pubblico alla presenza effettiva e maggioritaria degli avvocati rispetto ad altri eventuali professionisti

Anche sul piano del poziore interesse pubblico, le modifiche alla società tra avvocati (contenute nella cosiddetta legge «per la concorrenza» [14]) presentano una clamorosa stortura, che chi scrive aveva subito sottolineato, in occasione di pubblici dibattiti, già all’indomani della pubblicazione in gazzetta della legge n. 124/2017 e che si può risolvere soltanto respingendo la “tesi delle due maggioranze”. Ci si riferisce alla circostanza che, per effetto dell’abrogazione delle regole originariamente contenute nella legge n. 247/2010, da un lato, e della introduzione della nuova disciplina in tema di esercizio della professione forense in forma societaria, dall’altro lato, la tesi delle due maggioranze determinerebbe un palese e allarmante contrasto della società tra avvocati, anzitutto con i principi di trasparenza, dal momento che una società così congegnata sarebbe suscettibile di ingannare coloro che si rivolgono alla stessa. È infatti evidente che, accogliendo la tesi delle due maggioranze, si finirebbe per consentire (continuando nell’esemplifica­zione) ad una società la cui compagine sociale fosse rappresentata, da un solo avvocato, titolare di una quota pari all’1 % dell’intero capitale sociale, 3 ingegneri, titolari complessivamente del 70 e da una banca che avesse il restante 29% del capitale sociale, di usare l’indicazione di “società tra avvocati” e di operare come tale e dunque di esercitare la professione forense [15]. Orbene, premesso che quanto si è esemplificato rende vieppiù evidente la necessità ineludibile di procedere quanto prima alla riscrittura delle regole sulle società tra avvocati [16], occorre naturalmente proporre interpretazioni che, in coerenza con l’ordinamento e con il presidio costituzionale del diritto alla difesa, contrastino siffatti fenomeni ed occorre dunque evitare che società, che sono “tra avvocati” solo nel nome, possano presentarsi ai cittadini clienti ed essere dagli stessi percepite alla stregua di enti nei quali gli avvocati sono soci ed operano come componente significativamente rilevante, per quote di capitali e per teste, quando in concreto la componente forense è ridotta ad un orpello, come nelle ipotesi che qui si sono [continua ..]


5. La disciplina della società tra avvocati e il rilievo della legge professionale forense quale sedes materiae

Del resto, giova porre in evidenza un profilo (per vero trascurato, sia nei pubblici dibattiti che nella letteratura scientifica e che non è stato inciso neppure dalle mo­difiche normative in rassegna) che assume un ruolo di primo piano, a mio avviso, per la interpretazione della disciplina della società tra avvocati. Si allude al fatto che la disciplina delle società tra avvocati non è stata scritta co­me legge autonoma, come invece si è fatto con riferimento alla legge generale sulle società tra professionisti di cui all’art. 10 della legge n. 183/2011, bensì, pur dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 124/2017, la STA continua ad essere inserita nel più ampio contesto della legge professionale forense: si tratta, dunque, non già di norme pure di diritto societario, ma di norme per l’esercizio della professione di avvocato e che riguardano le società il cui oggetto sociale include, appunto, l’eser­cizio di tale professione. Rispetto alla legge generale sulle società tra professionisti, si conferma dunque, come già altrove e in tempi risalenti avevo avuto modo di dimostrare, che quella della società tra avvocati è legge speciale [18], oltretutto posteriore. Tale osservazione, in uno con le formulazioni adottate dalla vigente legge n. 247/2012, chiarisce in modo inequivocabile che l’esercizio in forma societaria della professione forense è consentito esclusivamente alle società tra avvocati regolate dalla legge professionale forense, come pure avevo già pubblicamente sostenuto all’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 124/2017. Si tratta di una soluzione che ora è stata accolta anche dalla nitida sentenza pronunciata a Sezioni Unite dalla Suprema Corte, 19 luglio 2018, n. 19822: «Oggi, invece, il carattere anch’esso speciale dell’art. 4bis della legge professionale degli avvocati fa sì che tale nuova disciplina prevalga sulla (anteriore e) generale disposizione della l. n. 183 del 2011, art. 10 e sulla parimenti speciale, ma anteriore, disciplina di cui al d.lgs. n. 96 del 2001» e ancora «l’eser­cizio in forma associata della professione forense è regolato dalla l. n. 247 del 2012, art. 4-bis che – sostituendo la previgente disciplina contenuta nel d.lgs. n. 96 del [continua ..]


6. L'esclusione del socio avvocato

Le nuove regole in tema di società tra avvocati, pur non modificando direttamente la disciplina dell’esclusione, incidono indirettamente e in modo significativo sulla stessa. Si prevede, infatti, che nel caso di sospensione, cancellazione o radiazione dal­l’albo del socio avvocato egli venga escluso di diritto dalla società tra avvocati. La finalità principale è di palmare evidenza, si tratta di evitare che l’avvocato al quale è stato inibito l’esercizio della professione forense non possa a ciò ovviare attraverso lo strumento della società tra avvocati e, grazie alla permanenza nella compagine sociale, influire sulle deliberazioni della società, esercitando “di fatto” una attività che gli è preclusa “in diritto”. Il principale interesse tutelato è chiaramente quello dei clienti a non essere rappresentati, né direttamente né indirettamente, da chi si sia reso colpevole di illeciti deontologici. Orbene, nel sistema originario della legge n. 247/2012, che disegnava una società tra avvocati “pura”, nella quale cioè l’accesso in qualità di soci era consentito soltanto agli avvocati, l’esclusione di diritto di un socio indubitabilmente ne sanciva il definitivo allontanamento dalla compagine sociale. La disciplina oggi vigente e in particolare la circostanza che dopo la legge n. 124/2017 sono ammessi nella società tra avvocati anche soci privi del titolo professionale, impone di valutare nuovamente la questione dell’esclusione di diritto del socio avvocato. Ci si potrebbe infatti domandare se il socio avvocato raggiunto da un provvedimento di sospensione, cancellazione o radiazione, anziché essere “fisicamente” escluso dalla compagine sociale, possa essere escluso semplicemente dalla categoria dei soci professionisti e transitare nella categoria dei soci non professionisti per i quali, appunto, non è richiesta alcuna qualifica professionale e ai quali naturalmente non si applicano codici deontologici. A sostegno di una siffatta ipotesi interpretativa potrebbe addursi il principio costituzionale di libertà di iniziativa economica e il rilievo che le limitazioni allo stesso devono essere di stretta interpretazione e dunque, una volta che l’avvocato sanzionato fosse messo nella condizione di “non [continua ..]


7. La governance delle società tra avvocati

Al fine di preservare l’interesse dei cittadini ad esercitare la difesa dei loro diritti senza conflitti e riserve che più facilmente possono determinarsi quando sono presenti interessi puramente imprenditoriali, l’impianto originario della legge n. 247/2012 aveva scelto di affidare la gestione della società tra avvocati esclusivamente ad avvocati, nella condivisibile convinzione che l’autonomia e l’indipendenza di tali professionisti, che la stessa legge impone quali presupposti necessari per l’esercizio della professione forense, rappresentassero la migliore garanzia per i cittadini clienti. A tale risultato l’art. 5 della più volte citata legge n. 247/2012 perveniva indirettamente ossia stabilendo che i) soci di una società tra avvocati potessero essere soltanto avvocati ii); dell’organo di gestione non potessero far parte soggetti «estranei» alla compagine sociale (art. 5, comma 2, lett. a e d). La legge n. 124/2017 modifica l’anzidetta regola, disponendo che: i) la maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere composta da soci avvocati; ii) «i componenti dell’organo di gestione non possono essere estranei alla compagine sociale»; ii) «i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori». Il cambiamento di rotta incide dunque sul profilo soggettivo, ossia sull’indivi­duazione dei soggetti che sono legittimati ad assumere la carica di amministratori (o comunque quella di componenti l’organo di gestione, dal momento che la formula adotta fa chiaramente comprendere che anche le società tra avvocati possono organizzarsi secondo i modelli di governance dualistico e monistico) rompendo la precedente regola che imponeva un organo di gestione di soli avvocati e consentendo ora anche ai non avvocati di gestire una società tra avvocati. Altro (ed ultimo) punto fermo è che la gestione della società tra avvocati è riservata soltanto ai soci. Si tratta di un profilo che molto probabilmente è sfuggito al legislatore maldestro, il quale all’evidenza non ha compreso la funzione di quella disposizione e non l’ha espunta, dal momento che, come si è visto poc’anzi, la dispo­sizione secondo cui «dell’organo di gestione non possono far parte soggetti estranei alla compagine sociale» [continua ..]


8. Professioni intellettuali e impresa nella nuova società tra avvocati

La società tra avvocati delineata dalla originaria legge n. 247/2012 era fenomeno da ascrivere all’ambito delle professioni intellettuali e non anche a quello dell’im­presa, benché anche vigente quella legge, secondo chi scrive, la ricorrenza in concreto di una organizzazione prevalente rispetto al lavoro intellettuale degli avvocati avrebbe dovuto suggerire una applicazione di frammenti dello statuto dell’impren­ditore. Si sarebbe trattato di una applicazione comunque frammentaria e non integrale delle regole dell’impresa, perché la legge n. 247/2012 prendeva esplicitamente posizione, ad esempio, sulla questione del fallimento che dichiarava inapplicabile alle società tra avvocati. Profilo, questo ultimo, di grande rilievo, anche per il dibattito circa la sottoposizione delle altre società tra professionisti al fallimento e che originava dalla mancanza di indicazioni normative nella laconica e lacunosa legge n. 183/2011 [31]. Pertanto, la presenza di una norma che sottraeva la società tra avvocati al fallimento ne avrebbe consentito una applicazione analogica anche a tutte le altre società professionali, argomentandosi dalla analogia fra le prime e le seconde, ovvero la disapplicazione, per chi poneva l’enfasi sulla diversità della STP rispetto alla STA. In ogni caso, tuttavia, quella esplicita presa di posizione dell’ordinamento rappresentava una bussola per gli operatori. Inoltre e soprattutto, la legge n. 247/2012 prendeva esplicita posizione sulla questione di vertice relativa al rapporto fra impresa e professione forense, chiarendo che «l’esercizio della professione forense in forma societaria non costituisce attività d’impresa» e, anche di siffatta disposizione poteva certamente apprezzarsi la funzione di “bussola” per comprendere l’inquadramento della fattispecie generale società tra professionisti. La legge n. 124/2017 ha eliminato la bussola, espungendo sia la disposizione che affermava l’esclusione di tali società dal fenomeno impresa, sia quella che (con­seguentemente) la escludeva del fallimento. E, anche in considerazione della circostanza che la stessa legge n. 124/2017 ha trasformato la società tra avvocati da pura a mista, cosi come sono sempre state anche tutte le altre società tra professionisti, pare [continua ..]


9. L'espunzione del d.lgs. n. 96-2001 nel sistema delle società tra avvocati

Collegata alla questione di vertice dell’inquadramento della società tra avvocati tra avvocati è anche l’espunzione di una ulteriore disposizione ad opera del 124/2017 e segnatamente di quella secondo cui alle società tra avvocati si sarebbero applicate, in quanto compatibili, le disposizioni sull’esercizio della professione in forma di avvocato di cui al d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96 (legge n. 247/2012, art. 5, lett. n). Tale disposizione nasceva da due considerazioni. La prima considerazione, per certi versi banale, ma di grande utilità operativa, era che occorresse una legge di riferimento per risolvere quelle questioni interpretative che la prassi avrebbe via via posto in evidenza dal momento che, in definitiva, dopo quasi un secolo di divieto, per la prima volta l’ordinamento ammetteva la possibilità di costituire società aventi ad oggetto l’esercizio della professione forense e senza alcuna limitazione quanto alla tipologia: tutti i tipi sociali disciplinati nell’or­dinamento e dunque anche le società per le quali l’impiego per professioni intellettuali si presentava e si presenta certamente più problematico, ossia le società di capitali, erano diventate fruibili per l’esercizio in forma societaria della professione di avvocato. In mancanza di una legge organica sulle società tra professionisti e proprio muo­vendo dall’insoddisfacente e incompleta disciplina approntata dalla legge n. 183/2011, il legislatore scelse di rinviare al d.lgs. n. 96/2001. La seconda considerazione alla base di tale scelta era che il citato d.lgs. n. 96/2001 era stato coniato ponendo attenzione alle specificità della professione forense che venivano adattate ad un tipo sociale vicino, o addirittura sovrapponibile, alla società in nome collettivo per evitare che questa prima società tra avvocati potesse essere attratta nell’ambito dell’impresa. Si ché, nella prospettiva del legislatore della legge n. 247/2012 il rinvio al d.lgs. n. 96/2001 si spiegava anche con l’intenzione di rafforzare saldamente il legame delle società tra avvocati al fenomeno delle professioni intellettuali e di allontanarle dalla disciplina dell’impresa. L’espunzione del rinvio in rassegna ad opera della legge n. 124/2017 ha dunque privato le società tra avvocati di [continua ..]


10. Denominazione e ragione sociale

E quanto alle lacune, oltre ai profili già sottolineati in precedenza, vale la pena di spendere brevi riflessioni anche all’attuale dimezzamento (rispetto alla disciplina previgente) della regola sulla formazione del nome delle società tra avvocati. Le modifiche in esame hanno infatti sollevato talune criticità financo in merito al nome della società tra avvocati, criticità non presenti nella legge n. 247/2012 che correttamente imponeva alla denominazione e ragione sociale di contenere l’indica­zione «società tra avvocati». Occorre subito osservare, infatti, che la legge n. 124/2017 non conteneva alcuna regola circa il nome delle società tra avvocati e che allora, prima delle modifiche del dicembre 2017, si sarebbe potuta costituire una società tra avvocati che si sarebbe potuta presentare al pubblico e che avrebbe potuto usare negli atti e nella corrispondenza un qualsivoglia nome di fantasia e senza alcun riferimento alla professione forense: “Boutique da Francesco”, ad esempio, con buona pace delle regole sul decoro della professione, delle regole di pubblicità della professione forense, ma anche con buona pace della trasparenza necessaria alla tutela dell’ interesse dei clienti. Tale grossolana svista è stata parzialmente corretta nel dicembre del 2017 e si è stabilita l’obbligatorietà della indicazione “società tra avvocati”. Tuttavia, allo stato attuale la legge esplicitamente si riferisce alla sola denominazione sociale e ciò potrebbe indurre a ritenere che nelle società di persone l’obbligo della indicazione “società tra avvocati” non sussista. È dunque opportuno che nella formulazione degli statuti di società che hanno ad oggetto l’esercizio della professione, a prescindere dal tipo sociale in concreto adottato (e dunque, sia che si tratti di una società per azioni, ovvero di una società in nome collettivo e via dicendo), si indichi sempre nel nome, negli atti e nella corrispondenza la locuzione “società tra avvocati”.


11. Considerazioni sui profili fiscali del reddito prodotto dalle società tra avvocati

Catastrofica è stata infine l’espunzione dell’unica regola presente nell’ordina­mento circa la qualificazione del reddito prodotto dalla società tra avvocati, una regola il cui rilievo trascendeva le stesse società tra avvocati e finiva per colmare una vistosa lacuna presente anche nella disciplina delle altre società tra professionisti. Invero, successivamente all’eliminazione della disposizione secondo cui il reddito prodotto dalle società tra avvocati doveva qualificarsi come reddito da lavoro autonomo, una recente risoluzione della Agenzia delle Entrate (7 maggio 2018, n. 35/E) ha ritenuto che il reddito prodotto dalle società tra avvocati è da considerare ai fini fiscali reddito d’impresa. Si tratta di una decisione fondata su profili tanto formali quanto, per vero, poco convincenti e cioè sulla circostanza che le società, in quanto tali, vanno assoggettate al reddito d’impresa. Al riguardo si deve osservare che la ragione per la quale l’ordinamento ha in via di principio considerato reddito d’impresa quello prodotto dalle società è una ragione storica che trova riscontro nel dato esperienziale: nell’idea del legislatore del 1942, e nella prassi degli affari, la società è pensata (e normalmente è perciò costituita) per l’esercizio della impresa [33], ovvio, dunque, che il reddito dalla stessa prodotta sia da qualificare, nell’idea del legislatore reddito d’impresa. Ciò non toglie, tuttavia, che per effetto della evoluzione legislativa, e della elaborazione di discipline speciali rispetto al sistema per così dire naturale e secondo il quale la società è solo una delle tante possibili forme dell’impresa, la società può essere impiegata in ambiti del tutto estranei, quando non addirittura antitetici, a quello della impresa [34]. Ed è allora evidente che in tali ultimi casi e, in particolare, quando la società è invece una forma con la quale si organizza il lavoro autonomo intellettuale e quando l’agire del professionista intellettuale sovrasta l’organizzazione della quale pure egli si serve, siamo in presenza di un reddito di lavoro autonomo. Ed è appunto per tali ragioni che il legislatore della legge n. 247/2012, nella sua originaria formulazione e con [continua ..]


NOTE