Recesso, morte ed esclusione del socio di società di persone sono vicende che, conducendo al c.d. “scioglimento parziale” del rapporto sociale, pongono una serie di questioni legate all’individuazione del momento esatto in cui possono dirsi realizzate le condizioni per la loro pubblicazione nel registro delle imprese. Molti interrogativi formano da tempo oggetto di attenzione in dottrina e in giurisprudenza, altri sono sorti di recente. Tra questi: la tipicità astratta e l’accertamento in concreto della vicenda; la legittimazione alla domanda di iscrizione; l’oggetto stesso della pubblicazione e la possibilità di ammettere o meno anche la pubblicazione di vicende prodromiche, quali le relative azioni giudiziarie. Si pongono, infine, anche questioni relative ai rapporti tra iscrizione in senso proprio e annotazioni, tra iscrizioni legate tra loro da un rapporto di continenza e tra iscrizione e apparenza giuridica.
Withdrawal, death and exclusion of a partner in a partnership are events that, leading to the so-called “partial dissolution” of the social relationship, raise a series of questions related to the identification of the exact moment in which the conditions for their publication in the company register can be said to have been met. Many questions have long been the subject of attention in doctrine and jurisprudence. Others have arisen recently. They range from the abstract typicality to the concrete ascertainment of the event; from the legitimacy of the application for registration to the very object of the publication and the possibility of extending it also to prodromal events, such as the related legal actions. Finally, questions also arise regarding the relationships between registration and annotations, between registrations in a relationship of continence and between registration and legal appearance.
1. La rilevanza pubblicitaria dello scioglimento parziale del rapporto sociale nelle società di persone nei suoi principali profili problematici - 2. Il primo profilo: la tipicità astratta e il suo fondamento sistematico - 3. (Segue) Le originarie oscillazioni della prassi camerale e il loro superamento con una direttiva ministeriale del 2015 - 4. Il secondo profilo: l’accertamento in concreto del fatto denunciato - 5. Il terzo profilo: se possa riconoscersi la legittimazione del socio receduto a domandare l’iscrizione del proprio recesso - 6. (Segue) Contro l’argomentazione basata su un asserito principio generale di legittimazione surrogatoria dei membri delle compagini associative più elementari - 7. (Segue) Contro l’argomentazione basata sulla necessità di evitare un pregiudizio irreparabile all’interesse del socio receduto - 8. (Segue) Contro l’argomentazione basata sulla identificazione del socio receduto come soggetto “interessato” ai sensi dell’art. 2189, comma 1, c.c., e come tale dotato di legittimazione a titolo autonomo e personale - 9. Il quarto profilo: la tipicità allargata alla domanda giudiziale - 10. (Segue) Inutilità, oltre che asistematicità, di una sua “annotazione” - 11. Il quinto profilo: rapporti tra iscrizione e fenomeni di confine (iscrizione e annotazione; iscrizione autonoma e continenza in una diversa iscrizione; iscrizione e apparenza confliggente) - NOTE
Morte, recesso ed esclusione del socio sono vicende giuridiche la cui “rilevanza pubblicitaria” presenta diversi profili problematici. Alcuni di essi hanno formato oggetto di specifica attenzione in dottrina e in giurisprudenza. Di altri si ha minore generalizzata contezza, in quanto si sono manifestati – o tuttora si manifestano – sul piano della prassi camerale, con orientamenti non sempre allineati e con un rischio piuttosto elevato di acquisirne una consapevolezza affievolita dalla scarsa dimestichezza con i “tecnicismi” operativi del sistema pubblicitario. Trattandosi di temi diversi, ancorché tra loro fortemente intrecciati, conviene innanzitutto identificarli ed enunciarli, per poi provare ad affrontarli singolarmente con il dovuto dettaglio. Avrei, a tal fine, individuato cinque diversi profili problematici. (A) Profilo relativo alla “tipicità”. Innanzitutto, nella prassi camerale aveva formato in passato oggetto di dibattito e di contrastanti orientamenti applicativi la questione se morte, recesso ed esclusione siano vicende giuridiche passibili di formare oggetto di iscrizione nel registro delle imprese in quanto tali (e, dunque, in modo autonomo e al loro semplice verificarsi) o se, invece, la loro pubblicazione non dovesse essere effettuata solo in uno con (e, dunque, subordinatamente a) quella relativa alle ulteriori “vicende modificative” ad esse in qualche modo collegate, con in testa le modificazioni anche formali di adeguamento/allineamento dei patti sociali alla mutata composizione della compagine sociale (onde evitare che dal registro continuassero a risultare dati non più corrispondenti alla mutata realtà sottostante, come quello relativo alle persone degli amministratori e, tanto più, di quelli dotati di poteri di rappresentanza e/o a quello relativo ai conferimenti, tanto più rilevante ove il socio cessato risultasse autore di un conferimento d’opera, o ancora quelli relativi al capitale, tanto più se all’uscita avesse già fatto seguito anche la liquidazione della quota, ecc.). (B) Profilo relativo all’accertamento in concreto del fatto denunciato. Pur assodato che lo scioglimento parziale del rapporto sociale costituisce fattispecie pubblicitariamente tipica, questione diversa è se, in concreto, se ne siano verificati i presupposti. Il tema si pone tradizionalmente con riguardo al recesso: [continua ..]
Prendendo le mosse dal primo profilo, la questione della astratta tipicità pubblicitaria dello scioglimento parziale del rapporto sociale è ormai definitivamente superata anche negli orientamenti ufficiali e condivisi del sistema camerale. Cionondimeno, vale comunque la pena di ribadire le ragioni per le quali la tipicità è soddisfatta, poiché il corretto inquadramento della fattispecie fornisce spunti argomentativi rilevanti per la soluzione, in chiave sistematica, delle altre questioni invece ad oggi aperte e dibattute, a partire da quella [sub (C)] relativa alla legittimazione alla presentazione delle domande di iscrizione. La questione era stata originariamente sollevata muovendo dall’assenza di una previsione normativa che sancisca in modo esplicito e diretto che la morte, il recesso e l’esclusione debbano formare oggetto di iscrizione nel registro delle imprese: da ciò un ipotetico difetto di “tipicità”, a fronte del principio del numerus clausus di cui all’art. 2188, comma 1, c.c., il quale perentoriamente prescrive che «È istituito il registro delle imprese per le iscrizioni previste dalla legge». Tuttavia è del tutto pacifico che la tipicità possa essere anche solo “implicita”: «previste dalla legge», difatti, è una formulazione pacificamente interpretata nel senso che alle previsioni esplicite siano equiparabili quelle che sia possibile ricavare attraverso una interpretazione di tipo sistematico. E nella specie, appunto, l’iscrivibilità di tali vicende può univocamente (ancorché implicitamente) ricavarsi dai seguenti dati di sistema. (i) Un primo dato sistematico è che, nelle società di persone, la persona dei soci, in ragione del rilievo centrale che assume nel relativo sistema normativo, è a tutti gli effetti parte integrante dell’atto costitutivo [art. 2295, n. 1), c.c.], talché la modificazione della compagine sociale assume essa stessa il valore di una modificazione dell’atto costitutivo. Anche nelle società di capitali la persona dei soci è una delle indicazioni che devono essere contenute nell’atto costitutivo [artt. 2328, comma 2, n. 1), e 2463, comma 2, n. 1), c.c.], ma è pacifico che, in questo caso, si tratti di indicazione riconducibile alla parte c.d. “effimera” del contratto e, [continua ..]
A tali conclusioni è ormai pervenuto definitivamente anche il sistema camerale, dopo alcuni anni di incertezze e difformità applicative. Fino al 2015, difatti, era prassi piuttosto diffusa quella di non accettare domande di iscrizione di vicende (morte, recesso o esclusione) che comportino uno scioglimento parziale del rapporto sociale, ove non fossero accompagnate (e fino a che non fossero state seguite) da una formale modificazione di allineamento dei patti sociali. Alla base di tale orientamento vi era la considerazione che, in caso contrario, il registro avrebbe recato dati tra loro contrastanti e contraddittori, così fornendo ai terzi informazioni fuorvianti ed ingannevoli: così, in particolare, nonostante la pubblicazione della vicenda, l’atto costitutivo avrebbe continuato a menzionare quel soggetto come socio ed eventualmente anche come amministratore e/o altresì come amministratore investito di poteri di rappresentanza, come autore di un conferimento d’opera, come partecipe agli utili, ecc. Inoltre – si aggiungeva – negare l’iscrizione avrebbe funto da stimolo e incentivo per indurre i soci a provvedere senza indugio alla modifica dei patti sociali. Ma si trattava di ragioni e argomentazioni insufficienti ad impedire l’iscrizione della vicenda in quanto tale: da un lato, difatti, si finiva per obliterare la rilevanza pubblicitaria dello scioglimento parziale come fattispecie pubblicitariamente tipica per il fatto in sé di condurre essa stessa a una modificazione sostanziale del contratto sociale nella sua composizione soggettiva; dall’altro, perché l’allineamento anche formale dei patti sociali è qualcosa che rimane estranea alla sfera di disponibilità del soggetto cui lo scioglimento del rapporto sociale è riferibile, atteso che proprio la sua uscita dalla società gli preclude la possibilità di prendere finanche parte alla fase (decisionale e/o esecutiva) della conseguente modificazione formale dei patti sociali, la quale sarebbe di esclusivo appannaggio dei soci superstiti. In altri termini, il socio cessato ha interesse alla tempestiva pubblicazione dell’evento, ma la modificazione dei patti sociali è in una sfera di disponibilità alla quale egli non è nemmeno (come)partecipe: talché la soddisfazione del suo interesse alla tempestiva pubblicazione veniva fatta dipendere da [continua ..]
Si passa, così, al secondo profilo, che merita di essere trattato unitamente al terzo profilo, in quanto la risposta a quest’ultimo potrebbe fornire un contributo (parzialmente) risolutore anche del secondo quesito. Assodato, invero, che morte, recesso ed esclusione siano vicende da pubblicare come tali, la questione si dal piano della tipicità astratta a quello della tipicità in concreto (rectius, a quello dell’accertamento della effettiva ricorrenza, in concreto, di una vicenda). L’endemica incertezza ed opinabilità delle cause giustificative del recesso, difatti, si traduce spesso in una contrapposizione interna che vede opposti il socio receduto agli altri soci, che contestano la fondatezza delle ragioni giustificative addotte, con conseguente instaurazione di un contenzioso. L’ufficio del registro delle imprese, dal suo canto, si trova dinanzi a un possibile duplice scenario. (i) Primo scenario: in assenza di contestazioni interne alla società, il recesso viene riconosciuto e, per così dire, accettato (sia detto, naturalmente, in senso improprio), talché al suo “riconoscimento/accettazione”, nei fatti, segue la presentazione della domanda di iscrizione da parte degli amministratori. In un tale scenario, nessuna questione si pone sul piano istruttorio e dei poteri/doveri dell’ufficio: è difatti pacifico che, col consenso unanime dei soci, si potrebbe finanche addivenire a uno scioglimento consensuale del vincolo pur in assenza dei presupposti di legge per il recesso, sicché l’ufficio, nel ricevere la domanda di iscrizione, non avrebbe ragione di dubitare della corrispondenza al vero di quanto denunciato (recte, della efficacia dello scioglimento parziale del vincolo sociale); né i terzi subirebbero alcun pregiudizio, atteso che lo scioglimento opererebbe ex nunc e non rimuoverebbe la responsabilità del socio uscente per le obbligazioni anteriori. (ii) Secondo scenario: la presenza di contestazioni interne, per contro, conduce, come è intuitivo, alla mancata presentazione della domanda di iscrizione da parte degli amministratori. Accade allora frequentemente che la domanda venga presentata dal socio receduto. In tal caso, però, pur in disparte dalla questione della sua legittimazione, l’ufficio si troverebbe quantomeno dinanzi al dubbio che, nonostante quanto denunciato dal richiedente, lo scioglimento [continua ..]
Circa la legittimazione del socio receduto alla domanda di iscrizione del recesso, la prassi camerale si è ormai definitivamente orientata in senso negativo per adesione alla direttiva impartita dal MISE nel 2015 e di cui si è detto in precedenza. La questione è, invece, dibattuta in dottrina [5]. Le argomentazioni spendibili in favore della soluzione affermativa sarebbero tre. (i) In primo luogo, non sarebbe azzardato trarre, dal sistema, un principio generale, nell’ambito dei rapporti associativi o quanto meno in quelli organizzativamente più elementari, in virtù del quale ciascun membro dell’ente potrebbe attivare il procedimento pubblicitario in sostituzione dei soggetti che vi sarebbero tenuti per legge, per lo meno là dove questi rimangano inerti e la loro inerzia possa essere per lui pregiudizievole. (ii) Inoltre, non riconoscere la legittimazione del receduto significherebbe lasciarlo del tutto inerme contro un possibile abuso: supponendo che abbia ragione nell’invocare la giusta causa di recesso e che questa sia riferibile agli abusi perpetrati in suo danno dagli altri soci (ad es., che venga sistematicamente ostacolato nell’esercizio dei suoi diritti di controllo), significherebbe che, oltre ad essere stato vittima di comportamenti scorretti, si troverebbe viepiù a non potersi difendere nemmeno da una omissione strumentale e dilatoria dell’iscrizione del suo recesso. (iii) Altra argomentazione sarebbe ricavabile dall’art. 2189, comma 1, c.c., secondo cui «Le iscrizioni nel registro sono eseguite su domanda sottoscritta dall’interessato». È vero che, a tal fine, non sarebbe sufficiente un interesse generico, bensì un interesse qualificato. Ma il socio recedente/receduto avrebbe certamente un interesse specifico e sostanziale (e, dunque, qualificato) all’iscrizione, proprio perché è suo l’interesse principale a rendere opponibile ai terzi la propria uscita dalla società (art. 2290, comma 2, c.c.), nonché a provocare l’attivazione del termine annuale entro il quale, in caso di successiva liquidazione giudiziale della società, potrebbe essere dichiarata la sua liquidazione giudiziale in estensione (art. 256, comma 2, CCII). Cionondimeno, ritengo di dover confermare l’opinione negativa che ho sempre precedentemente caldeggiato, aggiungendo, a suo suffragio, [continua ..]
Sono diversi i rilievi opponibili contro la prima argomentazione. (i-1) Innanzitutto, l’invocato principio che consentirebbe di identificare una legittimazione surrogatoria del singolo socio sarebbe ricavabile – si sostiene – dagli artt. 2296 e 2330 c.c. Si tratta, tuttavia, di norme entrambe dettate per la fase genetica del rapporto sociale (l’iscrizione dell’atto costitutivo), ovverosia per una fase in cui l’organizzazione associativa/corporativa (per quanto, nelle società di persone, nella sua configurazione più elementare) non è ancora nata (così, all’art. 2330, per le società di capitali) o è ancora in una fase embrionale (così, all’art. 2296 c.c., per le società di persone). Una volta superata quella fase, entrano in gioco in via definitive regole informate alla nuova e ormai consolidata realtà giuridica associativa e le situazioni giuridiche soggettive individuali cedono il passo a quelle collettive e trovano soddisfazione con la mediazione delle regole associative. Tra le regole “associative/corporative” si afferma e si impone quella per la quale l’ente opera, all’esterno, esclusivamente per il tramite dei soggetti investiti delle corrispondenti funzioni di rappresentanza: e ciò vale anche per la presentazione delle domande di iscrizione nel registro delle imprese delle vicende che concernono la società. E infatti per le modificazioni del contratto, quali che esse siano, anche nelle società di persone la legittimazione è espressamente riferita ai soli amministratori (art. 2300 c.c.). Di quell’invocato principio, allora, potrebbe senz’altro farsi applicazione anche, ad es., all’iscrizione dell’estratto di un contratto costitutivo di consorzio (manca una norma identica nell’art. 2612 c.c., ma ricorrerebbe una eadem ratio), non anche – invece – ad eventi successivi alla nascita della società, rispetto ai quali la mancata previsione di una legittimazione sostitutiva, lungi da costituire una lacuna normativa, sembra invece coerente con quel principio generale per cui con la venuta ad esistenza della società le situazioni giuridiche soggettive facenti capo a ciascun socio trovano una necessaria mediazione nelle regole dell’organizzazione corporativa o comunque, nelle società di persone, dell’apparato [continua ..]
Avendo riguardo all’argomentazione sub (ii), fondata sulla necessità di evitare letture che penalizzino irrimediabilmente il socio receduto, la replica è che, proprio stando a una corretta applicazione dell’approccio problematico e teleologico, sarebbe allora necessario tener conto di tutti gli interessi in gioco ed evitare, al contempo, di optare per una altrettanto irrimediabile penalizzazione della società. In buona sostanza, proprio in ragione dell’opinabilità delle cause giustificative del recesso, ammettere la legittimazione del socio receduto significherebbe favorire la sua posizione rispetto a quella degli altri soci e, con essi, della società, pur senza disporre di alcuna certezza circa la fondatezza o, a rovescio e per ipotesi, l’infondatezza del recesso stesso (nulla consentirebbe di escludere che possa essere il socio recedente a fare uso strumentale e infondato del recesso, ad es. con l’obiettivo di sottrarsi ai rischi di una situazione di incipiente difficoltà economica della società): il tutto non senza possibili pregiudizi per la società medesima, come quelli che potrebbero discendere dalla percezione di ridotta “affidabilità” che, agli occhi dei terzi, la società potrebbe avere in conseguenza dell’uscita dalla compagine sociale di un socio (il receduto) che, per ipotesi, poteva rappresentare, per profilo personale e patrimoniale, una garanzia significativa per i creditori sociali. Il socio receduto, inoltre, non sarebbe affatto inerme, ma potrebbe promuovere un giudizio ordinario di accertamento del suo buon diritto. Né sufficiente, in senso contrario, invocare la scarsa efficacia di un rimedio affidato ai lunghi tempi della giustizia ordinaria, trattandosi di rilievo evidentemente insufficiente a modificare il punto di equilibrio degli interessi in gioco, giacché analogo rilievo varrebbe, in termini rovesciati, ponendosi nella prospettiva della società che fosse costretta a subire l’iscrizione fino all’esito del giudizio. E ciò senza entrare nel merito di possibili rimedi cautelari. Mi sentirei di escludere senz’altro, invece, che la tutela del receduto possa realizzarsi attraverso un procedimento di iscrizione d’ufficio ex art. 2190 c.c., essendo pacifico i poteri del giudice del registro (e i confini delle valutazioni ad esso rimesse), nell’adozione di [continua ..]
Contro l’argomentazione sub (iii), infine, si può replicare che, a ben vedere, il riferimento all’“interessato”, nell’art. 2189, comma 1, c.c., ha la funzione di sancire che l’iscrizione avviene su domanda, in applicazione di un principio generale valido per tutti i c.d. “procedimenti amministrativi ad istanza di parte” e testualmente trasposto nell’art. 6, comma 1, legge 7 agosto 1990, n. 241, a tenore del quale il responsabile del procedimento è tenuto a valutare, in sede istruttoria, «i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione del provvedimento». Per essere più chiari, occorre distinguere due piani e due diversi possibili significati delle locuzioni “interessato” e “legittimato”. La parola interessato, utilizzata nell’art. 2189, comma 1, c.c., non ha quindi la funzione di individuare in via immediata, diretta e generale, chi sia legittimato alla presentazione delle domande. E ciò per due ordini di ragioni, legate al duplice significato che le espressioni “interessato” e “legittimato” sono in grado di assumere nello specifico contesto della disciplina pubblicitaria. Interessato è il soggetto giuridico cui sia riferibile la fattispecie oggetto della domanda: in un certo senso, il centro di imputazione della situazione giuridica sostanziale sottostante. Legittimati sono coloro i quali, rispetto a quel centro di imputazione, siano abilitati a manifestarne la volontà con riguardo all’attivazione del relativo procedimento amministrativo. I due soggetti possono parzialmente coincidere, allorquando il centro di imputazione della situazione giuridica oggetto della previsione pubblicitaria sia una persona fisica, come nel caso dell’imprenditore individuale. In tale ipotesi, difatti, il soggetto interessato è anche legittimato a presentare la domanda che lo riguarda. Accanto ad esso, peraltro, possono aversi anche ulteriori soggetti del pari legittimati (ma non interessati) a presentare la domanda in suo nome e per suo conto: legittimati, dunque, a presentare una domanda che riguarda l’interessato. Così, nel caso dell’imprenditore individuale, gli institori preposti all’esercizio dell’intera impresa o a una sede secondaria, rispettivamente per le pubblicazioni relative all’impresa o a quella sede [continua ..]
Nel caso – come si è detto, piuttosto frequente – in cui sorga un contenzioso circa la validità del recesso, si pone nella prassi la questione [7] se sia iscrivibile la relativa domanda giudiziale. Per vero, le questioni sono più d’una e possono essere così sintetizzate: (i) se sia iscrivibile la domanda giudiziale con cui il socio recedente abbia promosso un giudizio volto all’accertamento del suo buon diritto; (ii) in caso affermativo, quali effetti produrrebbe l’iscrizione della domanda giudiziale; (iii) da quando decorrerebbero gli effetti della iscrizione della successiva sentenza; (iv) se debba essere effettuata una qualche distinzione a seconda che la sentenza sia o meno passata in giudicato, che a sua volta significa chiedersi (iv-1) se sia o meno iscrivibile la sentenza ancora non definitiva, (iv-d-2) quali sarebbero gli effetti dell’iscrizione della sentenza non definitiva, (iv-d-3) se possa iscriversi l’eventuale successivo gravame, (iv-d-4) quali sarebbero e da quando decorrerebbero gli effetti della pubblicazione delle sentenze di conferma o di ribaltamento delle pronunce di prima e/o di seconda istanza. Naturalmente, tutte le questioni qui elencate si porrebbero nella loro interezza solo ove dovesse rispondersi affermativamente alla prima. Una risposta negativa, difatti, le travolgerebbe in un sol colpo. E, come vedremo qui a seguire, la risposta preferibile è, in effetti, proprio quella negativa. Come è noto, la questione della pubblicabilità delle domande giudiziali è stata esaminata, in dottrina e in giurisprudenza, con particolare riferimento alle quote di s.r.l., ma non è mancato qualche contributo di riflessione anche relativamente al recesso del socio di società di persone. La soluzione affermativa è stata talora argomentata invocando il c.d. “principio di completezza” ed asserendone l’applicabilità, oltre che agli eventi modificativi o estintivi di fattispecie pubblicitariamente tipiche, anche ai c.d. “eventi prodromici”. Per vero, può considerarsi ormai pacifico e definitivamente acquisito alla dottrina in argomento che la tipicità si estenda, grazie al principio di completezza, a tutti quei fatti o atti che, “a valle” delle fattispecie oggetto di previsione normativa esplicita, ne comportino una variazione in senso modificativo o estintivo. [continua ..]
Tanto meno avrebbe alcuna valenza la prassi, talora seguita dal sistema camerale, di dare notizia della domanda giudiziale mediante una c.d. “annotazione”, ovverosia mediante la sua menzione nel c.d. “quadro note”, senza valore di pubblicità legale, ma con la convinzione che possa trattarsi di iniziativa utile, e priva di controindicazioni, al fine di fornire comunque un’informazione più completa ed aggiornata a beneficio dei terzi. Si tratta, a ben vedere, di una soluzione di apparente compromesso, ma che in realtà non trova alcuna giustificazione non solo sistematica, ma finanche in chiave di equilibrio degli interessi in gioco. L’annotazione, difatti, nuovamente non soddisfa alcuno degli interessi coinvolti: (i) non quello del socio receduto, giacché l’annotazione, al pari di una ipotetica iscrizione, non produrrebbe alcun effetto legale: né quello della opponibilità ai terzi del recesso, né quello della attivazione del termine annuale per l’estensione della liquidazione giudiziale, né quello “prenotativo”; (ii) non quello degli altri soci e della società ad evitare che la notizia del recesso venga comunque resa di pubblico dominio, con le possibili ricadute negative nei rapporti con i terzi e col mercato; (iii) in definitiva, neanche l’interesse dei terzi, che, a ben vedere, ai quali l’annotazione, come detto poc’anzi con riguardo all’ipotetica iscrizione, finirebbe per fornire un’informazione confusa ed ambigua, quand’anche solo perché potrebbero non risultarne immediatamente chiari gli effetti e la portata.
Un quinto e ultimo profilo attiene ai rapporti tra l’iscrizione dello scioglimento parziale (questa volta, indifferentemente se recesso o, invece, morte o esclusione) e fenomeni di confine. Per vero, si tratta non già di un profilo unitario, ma di una raccolta di questioni, che a loro volta meriterebbe una autonoma e diffusa trattazione. In particolare, dottrina, giurisprudenza e prassi hanno dato evidenza di almeno tre diversi ordini di tematiche, corrispondenti a tre diversi possibili scenari che possono manifestarsi in concreto. (i) Un primo scenario è quello che abbiamo già affrontato in precedenza e concerne il rapporto tra le risultanze delle iscrizioni e quelle di eventuali annotazioni che l’ufficio del registro delle imprese potrebbe aver ritenuto di trascrivere con riguardo alle nostre vicende: così, ad es., ove fosse annotata la notizia dell’avvenuta presentazione di una domanda giudiziale di accertamento della giusta causa del recesso; ma lo stesso varrebbe ove, per fare uno tra tanti possibili esempi, l’ufficio dovesse annotare la notizia dell’avvenuta adozione di una decisione di esclusione tuttavia opposta dal socio escluso nei trenta giorni dalla sua comunicazione (e, dunque, ancora inefficace fino all’esito del relativo giudizio). Dell’annotazione abbiamo già detto, sicché è sufficiente qui ribadire che la stessa non sarebbe in grado di produrre effetti di pubblicità legale, né di tipo dichiarativo, né di tipo costitutivo. Si tratterebbe, allora, di una iniziativa asistematica, inutile e finanche fuorviante perché, in nome di una auspicata maggiore completezza informativa, non farebbe altro che introdurre elementi di confusione, senza dimenticare che la completezza del quadro informativo da rendere attraverso il registro è rimessa a una valutazione che compete in via esclusiva al legislatore e alla quale si può contribuire mediante il più compiuto sviluppo interpretativo del sistema, ma allora pervenendo a letture più o meno estensive di ciò che sarebbe iscrivibile, certamente non anche attraverso una forzatura dell’assetto normativo. (ii) Un secondo scenario è quello in cui sia mancata l’autonoma e specifica iscrizione dello scioglimento parziale del rapporto e tuttavia lo stesso possa evincersi dall’avvenuta iscrizione di altra vicenda ad esso in qualche [continua ..]