Lo scritto illustra, come le criptoattività, possano interfacciarsi con gli istituti tradizionali del diritto e come possano essere utilizzati nel diritto dell’impresa. In primo luogo si ricostruisce lo stato del dibattito in merito alle criptoattività ed il superamento del concetto di criptovaluta, sia sotto il profilo macroeconomico che principalmente giuridico. L’analisi propriamente giuridica si incentra sulla definizione di alcuni istituti, ormai codificati dal legislatore, evidenziando gli aspetti civilisticamente rilevanti e la collocazione degli stessi all’interno dei principi di diritto positivo, al fine di misurare la compatibilità delle criptoattività con i principi regolatori del diritto societario e degli scambi d’impresa in generale. L’analisi evidenzia come il vero punto di frattura è rappresentato principalmente dalla difficile compliance di questi istituti con la disciplina antiriciclaggio.
The paper explains how crypto-assets can interface with traditional legal institutions and how they can be used in corporate law. First, it reconstructs the state of the debate on crypto-assets and the overcoming of the concept of cryptocurrency, both from a macroeconomic and mainly legal point of view. The legal analysis focuses on the definition of some institutions, now codified by the legislator, highlighting the aspects relevant to civil law and their placement within the principles of positive law, in order to measure the compatibility of crypto-assets with the regulatory principles of company law and business exchanges in general. The analysis highlights what about real breaking-point: represented mainly by the difficulty of compliance of crypto-assets with the anti-money laundering law.
1. Premessa - 2. Criptovalute o criptoattività? - 3. Lo stato della regolazione in Italia e in UE - 4. Le altre criptoattività (diverse dai Bitcoin) - 5. Gli smart contract. Aspetti civilistici - 6. Le criptoattività come mezzo di pagamento - 7. Le criptoattività sono res? - 8. Conferibilità delle criptoattività in capitale e possibilità di assunzione di mandati fiduciari in tali ambiti da parte delle società fiduciarie - 9. Criptoattività e governance sociale - 10. Profili di antiriciclaggio - NOTE
Assume un ruolo sempre più preponderante, negli ultimissimi anni, il dibattito che si è generato intorno alla figura delle criptoattività, ancorché, tale dibattito, appassioni principalmente il mondo accademico dell’economia [1], specialmente quella monetaria, e ovviamente dell’informatica [2]. Un minore interesse sembrerebbe essere stato riservato dall’analisi giuridica, sebbene negli ultimi tempi, soprattutto in ambito pubblicistico, gli interventi normativi comunitari e domestici, hanno condotto ad interessanti valutazioni, sia sotto l’aspetto più propriamente legato alla esegesi normativa, sia sotto il profilo degli impatti della nuova disciplina sul sistema, ricollegandosi poi alle analisi, ormai mature, cui la scienza economica è approdata. Appare invece carente l’interesse dei giuristi d’area civilistica, sebbene alcuni interventi giurisprudenziali, soprattutto in ambito societario, abbiano attratto l’attenzione. Manca però una organica ricostruzione di un fenomeno, nato in assenza di regole, inizialmente ricollegabile alla disciplina degli investimenti e, per taluni aspetti della moneta, che ha pervaso il mondo degli affari, a partire da quei mercati a minor impatto regolatorio (penso per tutti agli USA), per poi approdare tramite il ponte dei paesi di common law, anche nel continente europeo. Quando il fenomeno si è trasformato da una mera applicazione di un algoritmo complesso, in una effettiva fattispecie giuridicamente rilevante, ci si è dovuti domandare se la criptoattività possa essere sussunta al concetto di res, con tutte le conseguenze che ad essa definizione corrispondono, prima fra tutte le regole di circolazione, l’applicazione dei principi della titolarità e del possesso e in via più evoluta la conferibilità in capitale sociale e le modalità di valutazione. Per poter tentare di rispondere a queste domande è necessario inquadrare la fattispecie, partendo dagli aspetti fenomenologici, rilevati dalla scienza economica (e ovviamente da quella informatica, che è al contempo la fonte e il dominus del sistema), ricostruendo la fattispecie giuridica sulla base della (scarsa) normativa di settore e tentando di inquadrarla negli istituti di diritto positivo, con la finalità di definire i confini, anche a fini di verificare la coerenza con la disciplina del diritto [continua ..]
Ben lungi dall’intender affrontare problematiche di economia monetaria, estranee a questa riflessione, appare necessario evidenziare una questione che ha fortemente influenzato la valutazione in ambito giuridico della fattispecie e, sulla quale, sono state formulate le rarissime decisioni giurisprudenziali, che ad oggi costituiscono l’unico appiglio civilistico cui poter far riferimento. La nascita del fenomeno che oggi stiamo analizzando è riferibile, secondo l’analisi compiuta in ambito economico alla fine del primo decennio del millennio, all’applicazione di un algoritmo complesso, ideato dall’immaginario Satoshi Nakamoto, finalizzato alla creazione e circolazione, in un ambiente protetto, di un prodotto avente finalità speculative, secondo regole (informatiche) descritte nell’algoritmo stesso. La definizione di questo prodotto quale Bitcoin ha spinto gli studiosi (prima in ambito informatico e poi economico) a definirlo in termini monetari, da cui deriva la sintesi di criptovaluta. Se tale ricostruzione può essere in prima battuta riferibile ad una semplificazione della fattispecie, deve tuttavia rilevarsi che con il passare del tempo, su tale vulgata si è costruita l’intera scienza economica del fenomeno, tanto che l’ambito scientifico che vi ha posto maggior attenzione è proprio quello dell’economia monetaria [3]. Seguendo tale teoria, che è stata di fatto accettata supinamente dal sistema, si dovrebbe ritenere che la criptovaluta contempli in sé gli elementi che contraddistinguono la moneta e cioè la funzione di mezzo di pagamento e scambio, la funzione di unità di conto per definire i prezzi e la ricchezza, la funzione di riserva di valore [4]. Partendo da tale presupposto si è ritenuto che il modello Bitcoin rappresentasse un sistema di pagamento alternativo alla moneta di banca centrale [5], peraltro dotato del requisito non certo secondario della transnazionalità e quindi della non riferibilità diretta ad uno Stato sovrano. Si è al contrario opportunamente osservato che l’alta volatilità cui detti Bitcoin sono assoggettati, spinge a definirli piuttosto in una logica di asset finanziario utilizzato in senso speculativo da parte di investitori privati e (sempre più) istituzionali [6]. Senza affrontare ambiti informatici, appare però [continua ..]
Sotto il profilo del diritto pubblico, negli ultimissimi anni sia l’UE, sia l’Italia (come la maggior parte dei Paesi del mondo), hanno ritenuto necessario fissare alcuni criteri chiave in materia. Il nostro Paese, ha anticipato l’UE, disciplinando già nel 2019 [12] la materia della blockchain e degli smart contract, offrendone una chiara nozione e rinviando per l’aspetto essenziale nella fattispecie, sotto il profilo giuridico, della certezza del momento della memorizzazione del documento sulla blockchain alla marcatura temporale così come descritta dal regolamento e-idas (910/2014) [13]. Secondo questa norma la blockchain è “un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili”. Nella definizione sono presenti tutti gli elementi che contraddistinguono questo registro [14], che deve essere assunto, oltre che sotto un profilo meramente informatico, anche in un’ottica giuridica, quale fondamento dell’intera filiera delle criptoattività, in maniera però inscindibile dalle stesse, ancorché in un rapporto non biunivoco. Se infatti non è ammissibile un Bitcoin, o Ethereum o un qualsiasi prodotto tokenizzato o una stablecoin, senza una DLT, non altrettanto può dirsi per una DLT, che può ospitare Bitcoin, ma anche Ethereum, stablecoin… Gli elementi principali che emergono sono quelli della condivisione, distribuzione, decentralizzazione, crittografia, reciproco controllo e inalterabilità. Se alcuni di essi, quale la crittografia secondo la funzione di Hash, attengono alla scienza informatica, ancorché a fondamento di istituti ormai ampiamente analizzati sotto il profilo giuridico, come la firma elettronica, o la decentralizzazione, alla scienza economica e alla finanza, rispettivamente come superamento del ruolo centrale delle banche emettitrici di moneta e come fondamento della DE.FI. (finanza decentralizzata), ed esulano dalla presente riflessione, gli altri elementi essenziali hanno una chiara matrice giuridica direttamente riferibile ad istituti di diritto positivo. La norma [continua ..]
Il quadro sopra delineato fa emergere chiaramente che i Bitcoin rappresentano la parte preponderante (come controvalore), ma non esclusiva dell’ambito delle criptoattività. In primo luogo rileva il caso di Ethereum [20], piattaforma DLT che opera in maniera similare a Bitcoin, nel senso che emette e regola le transazioni di token “monetari”, chiamati Ether, ma con due grandi differenze. La prima sotto il profilo della creazione della fiducia, atta a garantire l’integrità della catena, che nella piattaforma Bitcoin è assicurata dalla proof of work operata dai miners, mentre in Ethereum si realizza tramite la proof of stake [21]. Questa differente prova risolve, a parità di condizioni di garanzia dell’integrità della catena, l’esternalità negativa principale del Bitcoin e cioè l’eccessivo consumo energetico. In secondo luogo e soprattutto ai nostri fini, si fonda sul sistema degli smart contracts. Altro token “monetario”, con funzioni più adatte alle esigenze civilistiche (forma di adempimento delle obbligazioni, forma di conferimento in capitale…) è rappresentato dagli stablecoins [22], in cui il principale problema dei precedenti token è risolto fissando un valore “stabile” di cambio 1:1 con monete aventi corso legale (principalmente dollari e euro), peraltro attraverso sistemi abbastanza tradizionali, come quello bilancistico di appostamento di beni (oro, denaro..) o titoli come controvalore dei token emessi. Esiste poi una pletora di criptoattività tokenizzate, che la circolare dell’Agenzia delle entrate ha tentato di ricondurre se non ad unità almeno ad una razionalizzazione. La scienza economica ha sostanzialmente individuato due macrocategorie, che trovano diretta corrispondenza anche in ambito giuridico. In primo luogo i cd asset tokenizzati tradizionali, quali azioni, obbligazioni, future, derivati, real estate, warrant, la cui particolarità è la non quotazione in borsa o nei mercati regolamentati, ma su piattaforme DLT [23]. Un esempio molto rilevante di utilizzo di detti token è rappresentato dall’emissione di obbligazioni della BEI [24]. Ne deriva un quadro complesso ed eterogeneo in cui si giustappongono elementi chiaramente a valenza monetaria, elementi maggiormente finanziari e speculativi, elementi di partecipazione societaria, [continua ..]
Si è in precedenza osservato che l’art. 8-ter della legge di semplificazione 2019, ha definito giuridicamente lo smart contract. Sotto un profilo meramente informatico, si è in presenza di un file batch, programmato anticipatamente, che al verificarsi di un determinato evento, si riproduce generando un determinato risultato. Ovviamente il file è inserito all’interno della DLT e dalla sua riproduzione informatica, dipende la transazione connessa. Il file batch è un file di testo che contiene una sequenza di comandi, rivolti all’interprete di comandi del sistema, che genera una risposta dal sistema (nel nostro caso la DLT) stesso. Tale sistema informatico è reso giuridicamente dalla norma (art. 8-ter) con il termine “automaticamente”, dove l’automatismo è l’effetto giuridico (transazione secondo il linguaggio finanziario) programmato, ma eseguito direttamente dal file batch, senza altro intervento umano, al verificarsi di un determinato accadimento, tecnicamente definito “oracle”. Se volessimo ricondurre tale modalità ai principi generali del diritto, ci troveremmo di fronte ad un contratto [26] condizionato, in cui l’evento condizionante è certus an, incertus quando, frutto di concertazione preventiva tra le parti, in forma più o meno massiva e standardizzata, dove viene fissato un riferimento (l’oracle appunto) dal quale dipende l’avvio automatico della transazione a valle. In fondo gli elementi essenziali del consenso [27], della forma [28] (lo smart contract), della causa e dell’oggetto sono presenti, accompagnati dall’elemento accidentale, collegato all’oracle. Si potrà ad esempio, in una logica finanziaria, ordinare tramite lo smart contract, la vendita su DLT dei propri asset al verificarsi di un calo delle quotazioni del gas naturale sul mercato di Amsterdam, come registrate dall’oracle prescelto [29]. È evidente che il valore aggiunto, rispetto ad un normale contratto condizionato “si navis ex Asia venerit”, è dato dall’immediatezza della reazione, rispetto al verificarsi dell’evento condizionante, che in un mercato finanziario può significare godere di un vantaggio competitivo inestimabile. Ovviamente l’individuazione dell’oracle rappresenta il momento di massima espressione dell’autonomia [continua ..]
Esposto l’intero tool kit delle criptoattività [43] e delimitato l’ambito giuridico, occorre ora analizzare come questi strumenti possano essere utilizzati nell’ambito delle tradizionali attività economiche. Si ritiene che il punto di partenza ideale sia rappresentato dalla verifica se le criptoattività possono essere utilizzate come mezzo di pagamento e pertanto come forma ordinaria e fisiologica di adempimento delle obbligazioni pecuniarie. Quanto precede costituisce anche lo spunto per verificare se le criptoattività (ad esempio) possono essere oggetto di conferimento. Nella primigenia lettura che fu data dalla scienza economica di questi strumenti, come osservato, si ritenne talmente prevalente l’aspetto monetario, da definirli criptovalute. Nella revisione interpretativa che è avvenuta negli scorsi anni e recepita dal legislatore solo a partire dalla seconda metà del 2022, si è sempre più revocato in dubbio il fenomeno monetario a favore, come osservato di elementi speculativi, finanziari o addirittura partecipativi. Resta comunque sia nella visione economica, che in quella giuridica, la convinzione che pur se difettano alcuni elementi tipici della moneta, sicuramente non può escludersi che le criptoattività, specialmente quelle più tipicamente monetarie (Bitcoin, Ether, stablecoins…) contemplino la funzione di mezzo di pagamento. Anzi se vogliamo, proprio la DLT Bitcoin, ristora i miners, nel dispendioso sistema del proof of work attraverso una fee corrisposta in forma di frazione di Bitcoin. Chiaramente lo schema negoziale è quello del corrispettivo per un servizio reso, liquidato in forma di Bitcoin [44]. Si dovrebbe quindi concludere che almeno il Bitcoin, cui si può senza dubbio associare Ether e gli stablecoin, rappresenta un mezzo ordinario di estinzione delle obbligazioni a norma dell’art. 1277, ancorché si sia in presenza di moneta non avente corso legale in Italia/Eurozona, almeno come interpretato da certa giurisprudenza [45]. Si presentano però due elementi di criticità: la volatilità tipica degli strumenti considerati (solo temperata per gli stablecoins) e l’ambito operativo delle criptoattività. Sotto il primo profilo appare evidente che fissare il controvalore di una prestazione in Bitcoin alla data t1, potrebbe al momento dell’adempimento [continua ..]
La domanda successiva, che trova già alcuni spunti di risposta nel paragrafo precedente è relativa alla qualificazione delle criptoattività, quali beni e, nella eventualità, materiali o immateriali, anche al fine di verificare la conferibilità in capitale. Nella sua evoluzione interpretativa, la fattispecie che qui interessa ha subito diverse visioni. La dottrina circa la qualificazione delle criptoattività come beni è divisa a seconda che aderisca alla teoria della definizione in termini di moneta complementare [51], o all’opposta tesi dell’esclusione della definizione della fattispecie in termini di moneta, attesa d’un lato l’assenza di un apparato normativo che possa regolarne la funzione di mezzo di adempimento di obbligazione pecuniarie, dall’altro l’assenza di una base consensuale sufficientemente ampia da favorirne una diffusione capillare tale che, pur in assenza di una normazione specifica, possa parificare i Bitcoin ad una moneta de facto [52], o appunto ad un bene [53]. Le criptoattività chiaramente non sono oggetti fisici: non c’è nulla che possa essere posseduto fisicamente. Ma non sono nemmeno diritti azionabili: la mera titolarità di una criptoattività non comporta automaticamente un diritto processuale azionabile. L’ordinamento britannico, ad esempio, non vede alcuna difficoltà nell’estendere la protezione della proprietà (nella logica di proprietà secondo i canoni della common law) alle criptovalute e la giurisprudenza inglese ha formalmente ritenuto che i Bitcoin possano essere oggetto di diritti di proprietà [54]. La Francia considera proprietario del bene, il detentore della criptoattività. Il Code monétaire et financier, all’art. L 221-3, è molto chiaro al riguardo: afferma esplicitamente che la registrazione nella DLT è effettuata a nome di uno o più detentori, proprietari degli strumenti finanziari registrati. La qualificazione come proprietà fa scattare l’applicazione di tutele di ogni tipo, come quelle previste dal codice civile o dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Un’altra giurisdizione che ha affrontato il problema è quella del Liechtenstein che però ha preferito una più sfumata definizione in termini di Vermögen, un contratto [continua ..]
Le riflessioni operate nei precedenti paragrafi sono strumentali a verificare la possibilità di conferire in capitale (o in aumento) criptoattività. Aver definito le criptoattività, quali potenziali mezzi di pagamento, all’interno dell’ecosistema della DLT, e al contempo bene immateriale, ci fornisce i criteri indicatori per rispondere alla domanda. La giurisprudenza di merito che si è occupata della questione, relativamente ad un aumento di capitale di SRL che un socio voleva corrispondere, parzialmente (700 mila euro) in una criptovaluta (non il Bitcoin, ma una criptovaluta “locale” denominata Onecoin), ha condiviso la posizione negativa del notaio verbalizzante che si era rifiutato di iscrivere l’atto nel registro delle imprese perché ha ritenuto che dette criptovalute (scambiate in un unico exchange, in quantità assai ridotte) non costituissero un bene “economicamente valutabile”. La corte ha ritenuto di concordare con il notaio in quanto si trattava di criptovalute che non avevano un reale “mercato” e per le quali non era pertanto possibile comprendere chiaramente il meccanismo di determinazione del prezzo [61]. La posizione della Corte d’Appello di Brescia si fonda su una definizione monetaria della criptoattività, che sin dal primo paragrafo di questo scritto, si è voluto demitizzare. Mai come nella fattispecie che stiamo ora considerando, tale misunderstanding può avere impatti giuridici diretti. Va evidenziato che in precedenza il registro delle imprese di Verona ha iscritto una società unipersonale (che opera nel settore della blockchain e si propone di creare e gestire smart contract) in cui l’intero conferimento è rappresentato da Bitcoin, considerati nell’atto costitutivo e nell’allegata perizia di stima, quali “new properties”, facendosi cioè propria la ricostruzione operata dalla giurisprudenza anglosassone (sopra richiamata) e dall’Agenzia fiscale americana. Giustamente il perito ha proceduto considerando le criptoattività, come asset (diversi dal denaro) suscettibili di valutazione economica. A differenza del caso bresciano, dove si era in sede di costituzione e non di modifica, non v’è stato rifiuto da parte del Conservatore e si è proceduto ad iscrizione della società. Nella vicenda bresciana, il Tribunale (di [continua ..]
Come più sopra richiamato le criptoattività, possono esplicitarsi anche in forme più tradizionali, quali azioni, obbligazioni, strumenti finanziari partecipativi ed altre forme di partecipazione sociale. Accanto ai c.d. payment token, anche detti token di classe uno, che sono mezzi di pagamento che consentono l’acquisto di beni e servizi su di una pluralità di piattaforme online, anche diverse da quella dalla quale il token trae origine e gli utility token le valute digitali a “circúito chiuso”, ovvero a spendibilità limitata, che consentono l’acquisto di beni e servizi solo all’interno del sistema da cui traggono origine, il sistema prevede anche i c.d. security token (anche detti token di classe tre) gettoni digitali rappresentativi di diritti economici (quale il diritto di partecipare alla distribuzione dei futuri dividendi) e/o di diritti amministrativi (quale il diritto di voto su alcune materie). In primo luogo si deve rilevare che il Regolamento MICA, che tenta, già all’art. 3, di realizzare una tassonomia delle criptoattività, esclude espressamente i security token (o investment token) che corrispondono in quanto considerati a tutti gli effetti strumenti finanziari e perciò tanto assoggettati alla Direttiva MIFID. Occorre però operare una disambiguazione: il security può essere una mera rappresentazione informatica, destinata a circolare su una DLT, secondo le regole preimpostate, anche utilizzando smart contract, ed allora saremo in presenza di un derivato, che ha la particolarità di essere incorporato in un token. Ben diverso è il caso dell’emissione di cd token nativi (c.d. ICO o ITO), incorporanti diritti ulteriori. Come è stato ben osservato “tutte le volte in cui ai modelli operativi e agli schemi negoziali di base (acquisto/vendita) che possono riscontrarsi sulle piattaforme di criptovalute, … vengano associati più complessi o articolati schemi negoziali, quali tipicamente promesse di rendimento, obblighi di riacquisto, promesse di realizzazione di profitti ovvero vincoli al godimento del bene, potrà allora aversi un prodotto finanziario [72]”. La Consob in un corposo e autorevole studio, ha evidenziato che la DLT dà modo di digitalizzare e gestire on-line e peer-to-peer una serie praticamente indefinita di beni digitali “al portatore”, [continua ..]
Il convitato di pietra di tutto il ragionamento sin qui svolto resta l’aspetto più preoccupante e difficilmente gestibile dell’intera fattispecie delle criptoattività, in tutte le modalità d’espressione in precedenza tratteggiate. Il d.lgs. n. 231/2007 ha individuato, tra i soggetti e le attività che ricadono sotto la disciplina antiriciclaggio, all’art. 1, sia i fornitori di servizi di criptoattività, nel senso più ampio del termine, facendovi ricadere non solo le criptovalute, ma anche ad es gli NFT [93], i security…; descrive poi i prestatori di servizi di tenuta dei wallet; ed infine la valuta virtuale. La raccomandazione GAFI/FATF sui virtual asset appare particolarmente severa affermando che le criptoattività sono catalogate al massimo livello di pericolosità ed attenzione [94]. La causa principale è data secondo il GAFI/FATF dall’anonimato che contraddistingue le transazioni operate sulla blockchain. Individua altresì una lista di elementi sintomatici facilmente immaginabili: utilizzo del peer to peer anonimo, utilizzo dei servizi di mixing (detti anche di tumbling, strutturalmente dedicati a rompere le stringhe identificative dei passaggi precedenti con riferimento al sender e al receiver), collocazione geografica della blockchain… [95]. L’aspetto più interessante è che anche il GAFI/FATF fa rientrare nella casistica tutte le criptoattività, siano esse di carattere monetario, finanziario o non finanziario. La problematica principale che si è posta in dottrina risiede nella natura stessa della transazione che si perfeziona secondo la regola per cui “all transactions are conducted between unique wallet addresses … the possibilities to trace back the identity of a wallet address, are negligible [96]”. L’utilizzo del muling (vale a dire il prestanome che interviene come cliente – celando il titolare effettivo [97]), ancor più del mixing, che evita anche il passaggio “fiduciario” attraverso una terza entità, spezzano quella catena di trasparenza che nella logica iniziale della DLT doveva rappresentare uno dei punti di forza, esponendo al contempo il sistema a possibili usi criminali, prim’ancora che elusivi, attualmente non coperti dalla normativa [98]. Sicuramente ove si transiti attraverso quelle che [continua ..]