Il contributo si sofferma sulla funzione degli assetti organizzativi ora asservita alla tempestiva rilevazione della crisi. L’emersione della crisi obbliga ad una diversa modalità della gestione. La comprensione della sua nozione è dunque centrale nella ricostruzione dei doveri degli organi di amministrazione e controllo. Si individua il formante della nozione di crisi nella probabilità di insolvenza, intesa come prevalenza probabilistica degli scenari che conducono all’insolvenza, pur in presenza di alternativi e non irragionevoli scenari. Sono quindi esplorate le conseguenze applicative di tale affermazione, da cui anche discende la necessità di riconoscere come esistente uno spazio di apprezzamento discrezionale ineliminabile e, quindi, insindacabile, nella valutazione dell’andamento dell’impresa e della sua evoluzione. La riflessione conduce inoltre a non premiare la tesi che voglia identificare l’oggetto della disciplina dell’allerta in una “pre-crisi”, intesa quale ulteriore situazione distinta dalla crisi. Le esigenze dell’allerta possono essere appagate dalla presenza di adeguati stimoli alla tempestiva individuazione della situazione di crisi.
Parole chiave: Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza – Assetti adeguati – Rilevazione tempestiva della crisi – Nozione di crisi – Allerta.
The article focuses on the function of organizational structures now enslaved to prompt crisis detection. The advent of crisis compels a different mode of management. Understanding its meaning is crucial to the reconstruction of the directors and auditors’ duties. The likelihood of insolvency, considered as the probabilistic preponderance of situations leading to insolvency (despite the presence of alternative and plausible scenarios), is the formant of the notion of crisis. The applicative implications of this claim are then explored, including the necessity to acknowledge an ineradicable and, consequently, indisputable room for discretion in the evaluation of the company’s performance and its development. Reflection also leads one to disregard the approach that strives to identify the subject of the early warning discipline in a “pre-crisis”, viewed as an additional scenario distinct from the crisis. The provision of appropriate cues for early detection of a crisis scenario satisfies the early warning needs.
Keywords: Code of Crisis and Insolvency – Appropriate Structures – Early detection of a Crisis – Concept of crisis – Early Warning.
1. La capacità di tempestiva rilevazione della “crisi” a misura dell’adeguatezza degli assetti - 2. Crisi e continuità aziendale nel disegno dell’art. 2086 c.c. - 3. Insolvenza e crisi nella legge fallimentare e nel codice della crisi - 4. La probabilità di insolvenza come formante del vigente concetto di crisi - 5. Il problema della situazione di “squilibrio” oggetto della segnalazione dell’anticipata emersione della crisi - 6. Critica all’idea dell’allerta come obbligo di segnalare una “pre-crisi” - 7. Allerta come disciplina di obbligata verifica della emersione della crisi - NOTE
Il senso complessivo degli assetti organizzativi, ancor prima che un profluvio di disposizioni li ponesse al centro dei doveri dei gestori dell’impresa, è quello di definire e ordinare i ruoli e le responsabilità delle strutture aziendali [1]. Come altrove osservato, la qualità dell’organizzazione si misura in ragione della capacità dell’impresa di prevenire e, se del caso, di affrontare e gestire i rischi dell’attività economica [2]. Non perché si dia impresa senza rischio, bensì per consentire la diligente ricerca di un equilibrio tra l’urgenza di perseguire il business e la necessità di preservare le condizioni per continuare a farlo. Tale generale finalità degli assetti organizzativi, immanente alla natura dell’impresa, il loro porsi in termini strumentali alla definizione delle strategie dell’impresa e alla conservazione della redditività dell’attività economica, esprime ogni particolare occorrenza che orienta la gestione: la scelta del posizionamento sul mercato, l’individuazione delle opportunità, la corretta impostazione degli affari, l’analisi e la gestione dei rischi connessi, la corretta gestione delle informazioni, la costante rilevazione dello stato di salute dell’impresa, tenuto anche conto della prevedibile evoluzione del suo andamento, e così via. La gerarchia tra generale e particolare si inverte all’art. 2086 c.c., ove la specifica funzione di rilevare tempestivamente la crisi e la perdita della continuità aziendale [3] merita l’esplicita attenzione della disposizione, nel mentre le ulteriori particolari funzioni, tutte conseguenti alla sopra richiamata generale finalità, sono solo implicitamente fatte salve dall’uso della congiunzione «anche» [4]. Nella prospettiva poi del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (cui in appresso si farà riferimento semplicemente come “codice della crisi” [5]), la rilevazione dello stato di crisi (così, all’art. 3) assume ancora più importanza quale speciale finalità dell’istituzione di assetti adeguati [6]. La nozione di crisi riempie, dunque, di contenuto precettivo il complesso dei nuovi doveri dei gestori dell’impresa. Si tratta di nozione attraverso la quale, fra l’altro, si definisce quanto inclinato e [continua ..]
Vale, in primo luogo, prendere atto degli strumenti che il legislatore mette a disposizione per tracciare i confini (a monte e a valle) della condizione di crisi. A questo fine, gli interrogativi si devono concentrare sulla relativa nozione, rispetto alla quale pare utile brevemente richiamare la sua evoluzione, tenendo conto dei ripensamenti del legislatore e, quindi, anche delle disposizioni mai entrate in vigore. Ponendo mente all’art. 2086 c.c. emerge un primo interrogativo in ordine ai rapporti tra “crisi” e “perdita della continuità aziendale”. Gli assetti organizzativi devono poter tempestivamente rilevare la crisi e la perdita della continuità aziendale. Salvo pensare si tratti di una ripetizione, in questa sua prima parte la disposizione induce a ritenere che i due concetti siano diversi, per modo che almeno uno possa darsi, anche quando l’altro non ricorra. Assumendo, come pare ragionevole, che una tale distinzione deve darsi, deve comunque negarsi, per ovvie ragioni, che possa darsi perdita della continuità aziendale senza crisi; rilevante risulta invece la constatazione della plausibilità del suo contrario, potendo ben darsi, nella idea del legislatore, una crisi che ancora non abbia determinato la perdita della continuità aziendale. Nello stesso tempo, però, l’ultima parte del comma 2 dell’art. 2086 c.c. induce a pensare che il superamento della crisi non possa darsi se non anche con il recupero della continuità aziendale, con ciò confortando una diversa, non necessariamente contrapposta, opzione interpretativa, per la quale se, per un verso, la crisi può ricorrere anche quando la continuità aziendale non sia persa, per l’altro, il superamento della prima impone di scongiurare la possibile perdita della continuità ovvero, a seconda dei casi, di recuperare stabilmente la continuità se del caso (e, allora, non definitivamente [11]) perduta. Queste prime osservazioni consentono, quanto al confine a valle, di dedurre la reversibilità della situazione di crisi e di escludere l’inesorabilità dell’insolvenza come suo esito necessario; quanto al confine a monte, di intuire che nel territorio della crisi l’impresa possa aver fatto ingresso nonostante la continuità aziendale possa ancora non darsi per perduta. Si tratta, come si vedrà più avanti, di [continua ..]
Può qui darsi per ampiamente noto l’assetto della legge fallimentare, che da un lato, ci offriva la definizione di insolvenza come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni e, dall’altro, si limitava a menzionare la crisi solo per indicare trattarsi di condizione più ampia rispetto all’insolvenza, a significare che l’impresa proponente il concordato preventivo non avrebbe potuto considerarsi necessariamente insolvente [12]. Allo stesso modo, può assumersi come noto l’intento del legislatore del codice della crisi del 2019 di mutare la prospettiva, facendo del concetto di crisi uno strumento non più solo per legittimare, quanto piuttosto per imporre il ricorso tempestivo, anticipato rispetto all’insolvenza, a quelle misure e procedure funzionali al recupero della continuità aziendale [13]. Ad ogni modo, sin dall’iniziale impostazione del codice della crisi (di cui, v., in particolare, l’art. 2, lett. b)), l’insolvenza ha mantenuto la sua tradizionale definizione di stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore «non è più» in grado di soddisfare «regolarmente» le proprie obbligazioni [14]. Ancora richiamando argomenti noti, in quel «non è più» si esprime certamente il carattere strutturale della condizione di insolvenza, ma il riferimento alla capacità di soddisfare «regolarmente» le proprie obbligazioni conferisce rilevanza ad una qualche valutazione prospettica, poiché, del resto, non v’è modo di adempiere regolarmente ad obbligazioni già scadute [15]. La definizione di “crisi” è stata invece interessata dagli interventi più profondi, non solo a confronto con i pochi cenni presenti nella legge fallimentare, ma anche ponendo a confronto la legislazione in itinere (vigente, ma non in vigore) con quella infine varata a far data dal 15 luglio 2022. In coerenza con le finalità generali della riforma, nella versione del 2019 si intendeva dare rilevanza all’esigenza di anticipata emersione, definendosi la “crisi” come lo «stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa [continua ..]
Il cuore della definizione di “crisi”, in effetti rimasto immutato sin dalla sua prima versione, ma che nella formulazione sfrondata emerge oggi con maggiore evidenza, è costituito dal concetto di probabilità di insolvenza. Attorno a questo giudizio probabilistico, costituente del resto l’unica indicazione che pare potersi desumere dalla direttiva Insolvency (di cui v., in particolare, l’art. 4, § 1), va ricostruito il significato normativo del precetto; sicché, tutti gli altri elementi della fattispecie dovrebbero porsi in coerenza con il suo formante. Del resto, tali elementi sembrano nella struttura della disposizione aver a che fare con l’epifania della crisi, ed allora costituirne il riflesso, i sintomi qualificati, non necessariamente gli elementi della fattispecie. Nella struttura sintattica della versione iniziale della disposizione, in effetti, l’autonomo e specifico rilievo del test dei flussi di cassa per le sole imprese appannava il carattere accessorio della verifica rispetto al concetto di probabilità. Ebbene, il giudizio probabilistico di sussistenza della crisi in tanto può emettersi in quanto vi siano, per quanto non prevalenti, alternative variabili plausibili (non mere vaghe speranze) nella vicenda imprenditoriale pronosticabile in grado di mutare l’esito ed evitare l’insolvenza. Quando l’insolvenza è solo probabile, ossia nella situazione di crisi, vi sono almeno due scenari davanti all’impresa: e, nello scenario che si basa sugli assunti meno probabili, per quanto plausibili, l’insolvenza non costituisce l’esito necessario. Nel caso dell’insolvenza, che si conferma così ravvisabile anche solo dinanzi ad obbligazioni non ancora scadute, non vi sono alternativi plausibili scenari. In questa ipotesi, il test dei flussi di cassa, se rigorosamente formulato, può dare un solo esito. Nel caso della crisi, devono potersi dare diversi plausibili assunti e, in dipendenza di alcuni di questi, pur non premiati dal giudizio di maggiore probabilità, il test dei flussi di cassa dovrebbe mostrarsi adeguato a far fronte alle obbligazioni dei successivi dodici mesi. Questo chiarimento consente di distinguere la nozione di crisi dalla nozione di insolvenza (anche prospettica) e di confermare il carattere meramente strumentale del test dei flussi di cassa prospettici [19]. Veniamo alle [continua ..]
La nuova definizione di “crisi” segna certamente una qualche maggiore anticipazione della rilevanza della fattispecie rispetto alla precedente ipotesi ancorata sulla nozione di “squilibrio”. La struttura della nuova definizione, pur con tutte le difficoltà del caso (del resto, si maneggiano fenomeni complessi), può fornire coordinate adeguate al fine di tracciare quel confine, che si è visto essere rilevantissimo, ai fini della gestione dell’impresa in salute, prima ancora che ai fini del governo della sua patologia. In particolare, in ragione del giudizio probabilistico, consente una distinzione più netta rispetto all’insolvenza (anche quando questa sia valutata avendo riguardo alle obbligazioni imminenti e non scadute), ma soprattutto riconosce uno spazio di apprezzamento discrezionale ineliminabile, e perciò, nei limiti della ragionevolezza, insindacabile, nella valutazione dell’andamento dell’impresa e della sua prevedibile evoluzione [24]. Ciò detto, non si può sottacere il fatto che il quadro, fin qui probabilmente lineare, torna a complicarsi quando si abbia riguardo a ciò che nel codice della crisi rimane dell’allerta. L’art. 25-octies, con il quale inizia il Capo III, del Titolo II, del codice della crisi (capo che detta norme, fra l’altro, in materia di «Segnalazione per la anticipata emersione della crisi») stabilisce al comma 1 che l’organo di controllo societario segnala, «per iscritto» precisa la disposizione, all’organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza di cui all’articolo 12, comma 1, ossia i presupposti per la composizione negoziata. Aggiunge inoltre al comma 2 che «La tempestiva segnalazione all’organo amministrativo ai sensi del comma 1» è valutata ai fini della responsabilità prevista dall’art. 2407 c.c. Sicché, la tempestività della segnalazione in questione è elemento che pesa nella valutazione della responsabilità dell’organo di controllo (e, quindi, implicitamente anche ai fini della valutazione della responsabilità dell’organo amministrativo). Diventa allora importante non tanto (o comunque, non solo) ai fini concorsuali, quanto ai fini dell’assetto delle responsabilità dei gestori e controllori dell’impresa, [continua ..]
Per completare il quadro, pare utile cercare di comprendere se la situazione di squilibrio di cui all’art. 12 del codice della crisi, oggetto della segnalazione di emersione anticipata della crisi di cui al successivo art. 25-octies, appaghi le esigenze imposte dalla direttiva Insolvency con riguardo alla allerta precoce [31]. Le disposizioni unionali offrono però, a loro volta, un quadro tutt’altro che univoco. All’art. 3, § 1, la direttiva Insolvency impone agli Stati membri di dare ai debitori accesso a uno o più strumenti in grado di individuare situazioni che «potrebbero comportare la probabilità di insolvenza» e di segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio. Ora, la situazione che potrebbe comportare la (per definizione, diversa situazione di) probabilità di insolvenza non pare poter alludere ad una mera possibilità della probabilità di insolvenza, poiché altrimenti il quadro congetturale diventerebbe eccessivamente ampio e incontrollabile. Con il riferimento a ciò che potrebbe comportare la probabilità di insolvenza si fa, piuttosto, riferimento alla probabilità della probabilità di insolvenza [32]. Apparentemente si sarebbe chiamati allora a prendere atto di una sorta di probabilità di secondo grado che, rispetto alla crisi, dovrebbe individuare un momento della vicenda dell’impresa che, se confrontata alla crisi, dovrebbe registrare una distanza maggiore rispetto alla finale situazione d’insolvenza [33]. L’accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva è imposto, infatti, quando sussista ormai «una probabilità di insolvenza» (art. 4); in questo caso, quindi, il rapporto probabilistico rispetto all’insolvenza è diretto, e questo, ancora apparentemente, dovrebbe lasciar supporre una situazione maggiormente prossima all’insolvenza. Si dovrebbe conseguentemente desumere che, secondo la direttiva Insolvency, l’allerta può considerarsi precoce sino a quando non sussista ancora la probabilità dell’insolvenza, versandosi in una situazione nella quale è probabile la crisi, mentre non è probabile l’insolvenza. Tuttavia, posto che la crisi (almeno secondo il nostro diritto interno) corrisponde alla situazione che rende probabile l’insolvenza [34], la sensazione è di [continua ..]
La situazione di “pre-crisi”, inseguita dalla testuale disciplina unionale della disciplina dell’allerta, non pare, come visto, potersi tradurre in un concetto diverso dalla probabilità di insolvenza e quindi, trasposto nel diritto interno, dalla situazione di crisi. Tale conclusione, sebbene la direttiva Insolvency espressamente rinunci alla definizione di “insolvenza” e di “probabilità di insolvenza”, rimettendola alle discipline nazionali (art. 2, § 2, lett. a) e b)) [36], induce a ritenere che l’assenza di discrepanze tra disciplina unionale e disciplina interna richiede che quest’ultima si interpreti nel senso della sussistenza di un obbligo di segnalazione della emersione della crisi, senza attendere un (ove mai) più grave stato di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario. Sotto altro aspetto, quanto osservato al precedente paragrafo, dovrebbe costituire dimostrazione dei rischi di arbitrio che si corrono a considerare come rilevante ai fini dell’allerta una situazione che addirittura precede la crisi. Per evitare simili rischi, l’allerta precoce dovrebbe quindi essere intesa come disciplina volta a determinare le condizioni per avvedersi della crisi il prima possibile. Piuttosto che di un obbligo di segnalazione di una situazione intermedia tra crisi e non crisi [37], dovrebbe discutersi di uno di quei casi in cui la condotta (nel nostro caso avente ad oggetto la verifica della sussistenza di uno stato di crisi), da genericamente doverosa (ex art. 2392 c.c.), diviene puntualmente obbligata e (dato il rilievo di quella verifica per la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale) rilevante anche per gli effetti di cui all’art. 2394 c.c. Al di là del dato testuale dell’art. 3, § 1, della direttiva Insolvency, si tratterebbe di interpretazione del diritto interno conforme alle finalità del diritto unionale, come più agevolmente emergono in particolare dal Considerando 22. Su questo fronte, qualche correttivo al codice della crisi parrebbe comunque opportuno; un intervento teso almeno a distinguere i piani. Una cosa è, comprensibilmente, consentire l’accesso alla composizione negoziata anche quando la situazione di crisi non sia stata precocemente rilevata (purché il risanamento dell’impresa risulti ragionevolmente perseguibile). Ad altra logica [38] [continua ..]