Rivista Corporate Governance ISSN 2724-1068 / EISSN 2784-8647
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Appunti e dati empirici sulle potenzialità applicative del modello dualistico (italiano) di corporate governance (polimorfismo strutturale, versatilità funzionale e … il rischio dell´“aspirante tiranno”) (di Vincenzo Donativi, Professore ordinario di Diritto commerciale nell’Università “LUM-Giuseppe Degennaro” di Casamassima)


Dopo aver indagato le caratteristiche del sistema dualistico per come concepito nell’ordinamento interno, lo scritto si interroga su quali possono essere gli impieghi di questo sistema stante il suo “polimorfismo strutturale” e la propria “versatilità funzionale”. In particolare, constatato lo scarso successo nella prassi, si prospettano due usi tra di loro contrapposti: uno “virtuoso” come strumento complesso e raffinato di “sintesi” tra interessi non omogenei ma convergenti e uno “meno virtuoso” che accentuerebbe un (possibile) utilizzo strumentale da parte dell’“aspirante tiranno”.

Notes and empirical data on the applicative potential of the dualistic (Italian) system of corporate governance (struc­tural polymorphism, functional versatility and … the risk of the “would-be tyrant”)

After investigating the characteristics of the dualistic system as regarded in the internal order, the paper investigates what uses of this system can be given its “structural polymorphism” and its “functional versatility”. Having noted the lack of success in practice, two opposing uses are imagined: a “virtuous” as complex and refined tool of “synthesis” between interests that are not homogeneous but converging and “less virtuous” that would accentuate a (possible) instrumental use by the “aspiring tyrant”.

Keywords: Dualistic system – purpose of the system – empirical data analysis – alternative uses.

Articoli Correlati: sistema dualistico - modello dualistico

SOMMARIO:

1. I sistemi di amministrazione e controllo: cenni descrittivi - 2. La raffigurazione “triangolare” del sistema ordinario e l’influenza (sostanziale) dei soci (di controllo) sull’amministrazione - 3. La raffigurazione in “sequenza lineare verticale” del sistema dualistico e l’influenza (sostanziale ed eventualmente anche formale) del consiglio di sorveglianza sull’amministrazione - 4. Finalità (dichiarate o attese) del modello: concorrenza tra ordinamenti; professionalizzazione delle funzioni di interlocuzione con l’amministra­zione e società a capitale diffuso - 5. Cenni a talune differenze con l’archetipo tedesco - 6. Inammissibilità di un utilizzo del sistema dualistico quale strumento di “codeterminazione”, ancorché su base volontaria - 7. Alcuni dati empirici: lo scarso successo del sistema dualistico, ma anche una smentita della collocazione funzionale del sistema quale modello di governo di società a capitale diffuso - 8. Polimorfismo strutturale e versatilità funzionale del sistema dualistico: (i) l’uso “virtuoso” del modello come strumento complesso e raffinato di “sintesi” tra interessi non omogenei ma convergenti - 9. (ii) Il rischio di impieghi “meno virtuosi”: il sistema dualistico nelle mani dell’“aspirante tiranno” - NOTE


1. I sistemi di amministrazione e controllo: cenni descrittivi

Il c.d. “dualistico” è uno dei tre “sistemi di amministrazione e controllo” tra i quali è consentito optare, secondo il codice civile, in una società per azioni: ovverosia uno dei tre possibili schemi o modelli organizzativi sulla base dei quali si attua la distribuzione delle competenze e si delinea l’assetto dei rapporti tra i diversi organi sociali, centri di produzione e imputazione delle funzioni essenziali per il funzionamento della società. I sistemi sono quello c.d. “ordinario” (o “tradizionale” o “latino”), che si applica di default anche se lo statuto dovesse tacere (art. 2380, comma 1, c.c.); quello c.d. “dualistico” (o “tedesco” o “renano”) e quello c.d. “monistico” (o “anglosassone”), che possono essere adottati solo a fronte di una espressa previsione statutaria (art. 2380, comma 2, c.c.). In tutti e tre i modelli è presente, in posizione di centralità sistematica e di governo pur con differenze significative nelle competenze, l’assemblea degli azionisti, ma trovano (differente) allocazione le funzioni di “amministrazione” e di “controllo sull’amministrazione”. Volendo tradurre in figure geometriche i rapporti tra l’assemblea e gli organi di amministrazione e di controllo, il sistema ordinario presenta una configurazione tri-angolare a piramide, al cui vertice si colloca l’assemblea e ai cui angoli inferiori si posizionano l’organo amministrativo (amministratore unico o consiglio di amministrazione) e l’organo di controllo (il collegio sindacale, cui vanno però aggiunti, quali soggetti investiti di funzioni di controllo contabile al di fuori di una relazione stricto sensu organica, i revisori). I sistemi dualistico e monistico, a loro volta, presentano una configurazione descrivibile come una sequenza verticale lineare: in entrambi si pone al vertice l’assemblea; e quindi nel dualistico si colloca in posizione intermedia l’organo di controllo (consiglio di sorveglianza) e alla base l’organo am­ministrativo (consiglio di gestione), mentre nel monistico la sequenza appare invertita, posizionandosi sotto l’assemblea l’organo amministrativo (consiglio di amministrazione), al cui interno opera un (sub)organo di controllo (il comitato per il controllo sulla gestione).


2. La raffigurazione “triangolare” del sistema ordinario e l’influenza (sostanziale) dei soci (di controllo) sull’amministrazione

La ragione della raffigurazione triangolare e della posizione di vertice dell’as­semblea nel sistema ordinario sta nel fatto che all’assemblea è attribuito il potere di nomina e di revoca di entrambi gli organi, oltre che di stabilirne la remunerazione e di deliberarne l’esercizio dell’azione di responsabilità. Dell’organo di controllo, per vero, sono protette la stabilità e l’indipendenza attraverso la regola della non revocabilità ad nutum, la revoca essendo difatti consentita solo per giusta causa e con decisione subordinata all’approvazione del tribunale, sentito l’interessato (art. 2400, comma 2, c.c.). E ciò si pone in correlazione sistematica e teleologica con la natura delle funzioni esercitate e degli interessi che vi sono sottesi. Il controllo è invero circoscritto alla legalità, al rispetto dei principi di corretta amministrazione e alla verifica circa l’adeguatezza (e il concreto funzionamento) degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili predisposti dagli amministratori (art. 2403, comma 1, c.c.): non si estende al “merito” della gestione e tanto meno include né presuppone o implica (neanche con riguardo alla pianificazione strategica e/o alla c.d. alta amministrazione) qualsivoglia forma di compartecipazione alla gestione o di condivisione delle scelte gestionali (rimesse in via “esclusiva” agli amministratori: art. 2380-bis c.c.). Gli interessi protetti, a loro volta, trascendono quelli dei soci e della società in quanto tale, in ragione (in primis ma non solo) del carattere complesso delle relazioni con i terzi che la società stessa è vocata ad instaurare, in uno con la “responsabilità limitata” dei soci che sta alla base del regime di “autonomia patrimoniale perfetta” che connota il rapporto con i creditori sociali. La revoca degli amministratori è invece consentita ad nutum, l’assenza di giusta causa rilevando solo ai fini del risarcimento del danno per interruzione anticipata del mandato (art. 2383, comma 3, c.c.). I soci (e segnatamente il socio o i soci di controllo) sono quindi in condizione di esercitare un’influenza di fatto sull’ammini­strazione, principalmente attraverso la “leva” rappresentata dalla combinazione tra nomina e revoca. Non è un caso, infatti, che diverse definizioni di [continua ..]


3. La raffigurazione in “sequenza lineare verticale” del sistema dualistico e l’influenza (sostanziale ed eventualmente anche formale) del consiglio di sorveglianza sull’amministrazione

La ragione della raffigurazione del sistema dualistico come una sequenza verticale lineare sta a sua volta nel fatto che l’assemblea nomina (e revoca) l’organo di controllo (che prende il nome di “consiglio di sorveglianza”, con una sorta di traduzione letterale della terminologia propria del suo archetipo tedesco: l’Aufsichtsrat), il quale a sua volta nomina (e revoca) l’organo amministrativo (ribattezzato “consiglio di gestione” e corrispondente al Vorstand tedesco), la cui configurazione e la cui disciplina sono ampiamente ricalcate, sia pure con qualche differenza, sul consiglio di amministrazione quale organo gestorio collegiale del sistema ordinario (v. anche gli artt. 2380, comma 3, c.c., 2409-undecies c.c. e 223-septies disp. trans. att. c.c.), essendo invece esclusa l’alternativa dell’amministratore unico (art. 2409-novies, comma 2, c.c., per il quale il numero dei componenti non può essere inferiore a due). Più precisamente, l’elemento differenziale caratteristico e qualificante del sistema dualistico rispetto a quello ordinario sta nella posizione e nella amplificazione delle competenze del consiglio di sorveglianza, a fronte di un corrispondente ridimensionamento delle competenze dell’assemblea degli azionisti. E difatti, alle funzioni di controllo sull’amministrazione, non dissimili da quelle proprie del collegio sindacale in un sistema ordinario (controllo sulla legalità e la correttezza dell’amministrazione, nonché sulla adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili predisposti dagli amministratori, non anche sul “merito” della gestione, ma col controllo contabile qui sempre e inderogabilmente affidato a revisori esterni: art. 2409-quinquesdecies c.c.), si affiancano funzioni ulteriori, attraverso le quali il consiglio di sorveglianza viene investito di una posizione di influenza rilevante sull’amministrazione: (i) alcune di tali (ulteriori) funzioni sono essenziali (ovverosia di fonte legale e non derogabili, salvo alcune limature, dall’au­tonomia statutaria) e l’influenza sull’amministrazione che ne discende è solo indiretta e sostanziale; (ii) altre sono invece solo eventuali (ovverosia di fonte statutaria e su base quindi volontaria), ma afferiscono questa volta in via diretta e formale all’amministrazione (recte, come sovente si usa sottolineare, [continua ..]


4. Finalità (dichiarate o attese) del modello: concorrenza tra ordinamenti; professionalizzazione delle funzioni di interlocuzione con l’amministra­zione e società a capitale diffuso

Tra le ragioni (dichiarate) dell’introduzione del sistema dualistico con la riforma del 2003 vi era quella di rispondere alle necessità imposte dalla c.d. “concorrenza tra ordinamenti”, rendendo più appetibile il tipo della società per azioni e lasciando agli operatori la possibilità di scegliere tra tutti e tre i sistemi noti a livello internazionale (pionieristica era stata, in tal senso, l’esperienza legislativa francese, dove fin dal 1966 era stato introdotto il modello della “société à directoire” quale soluzione organizzativa alternativa a quella ordinaria tradizionale). Il che era avvenuto, stando a quanto si legge nella stessa Relazione ministeriale di accompagnamento alla riforma, con l’introduzione di un modello largamente ispirato agli ordinamenti tedesco e francese e, soprattutto, allo Statuto della Società Europea. Oltre a tale finalità di carattere generale, nella Relazione di accompagnamento alla riforma del 2003 si fa un cenno anche a un possibile utilizzo in concreto del sistema in una chiave di “professionalizzazione” delle funzioni oggetto di trasferimento dall’assemblea al consiglio di sorveglianza. L’utilità del modello, cioè, starebbe nella possibilità di demandare a un organo tecnico e professionale prerogative che in assemblea sarebbero altrimenti rimesse a soci non necessariamente dotati di analoghe competenze: si realizzerebbe quindi una dissociazione tra proprietà e potere, affidando gestione e supervisione a managers autonomi, posti al riparo dalle “interferenze dei soci”. Da ciò pure la diffusa affermazione, anche presso autorevole dottrina, secondo cui il sistema sarebbe adatto a soddisfare soprattutto le esigenze di società (quotate, “aperte” o comunque) a larga base azionaria.


5. Cenni a talune differenze con l’archetipo tedesco

È convinzione del pari diffusa che il sistema dualistico tedesco possa e debba essere letto in stretta correlazione sistematica e funzionale con la c.d. “cogestione” (rectius, “codeterminazione”: “Mitbestimmung”), giacché sarebbero proprio le sue caratteristiche salienti a consentire di dar vita a modalità e forme di codeterminazione tra capitale e lavoro che siano efficaci ed effettive, ma senza minare l’effi­cienza e la funzionalità della gestione. La “sintesi” tra i diversi interessi si realizza, invero, mediante una disciplina per la quale nel consiglio di sorveglianza siedono membri nominati dall’assemblea assieme a membri nominati dai lavoratori, con una ripartizione dei seggi diversa a seconda del settore economico in cui la società opera e del numero di dipendenti occupati: sotto il primo profilo, alle Aktiengesellschaften che operano nei settori del carbone e dell’acciaio si applica la disciplina speciale dettata dal Montanmitbestimmungsgesetz (Montan-MitbestG 1951), diversamente dalle altre AG, sottoposte alla disciplina generale della Mitbestimmungsgesetz (MitbestG 1976); sotto il secondo profilo, la distinzione è tra AG con meno di 500 dipendenti (dove la Mitbestimmung è solo opzionale), AG con un numero di dipendenti tra 500 e 2000 (dove la quota di seggi riservata ai lavoratori è pari ad un terzo) e AG con più di 2000 dipendenti (dove la ripartizione dei seggi è 50 e 50, ma con un casting vote in favore del presidente, scelto dai componenti espressione degli azionisti). Il sistema dualistico, in ogni caso, è in Germania l’unico modello legale possibile, anche nelle società per le quali la Mitbestimmung è opzionale. E lo è fin dal 1884, con una scelta che è sopravvissuta a tutti gli interventi di riforma che hanno investito, nel tempo, il tipo della Aktiengesellschaft. Del pari, è stata ripetutamente confermata anche la scelta di conservare inalterato il modello della Mitbestimmung, nonostante non siano mancate sollecitazioni soprattutto da parte di investitori istituzionali internazionali a un ripensamento della disciplina, principalmente basate su talune asserite inefficienze che inficerebbero la funzione di controllo in ragione (tra l’altro) della non sempre adeguata competenza professionale dei membri espressione dei lavoratori e della [continua ..]


6. Inammissibilità di un utilizzo del sistema dualistico quale strumento di “codeterminazione”, ancorché su base volontaria

Altra differenza col sistema tedesco è che in Italia il sistema dualistico non è stato pensato e non è disciplinato in vista di un suo impiego nel contesto di un regime di “codeterminazione”. E ciò non solo perché la codeterminazione non è prevista e regolata dalla legge, ma anche perché una serie di ostacoli normativi ne impedirebbero l’adozione perfino in via volontaria ed opzionale. Fu invero accantonata la proposta Veltroni del 2000 con cui (anche in attuazione di quanto previsto dall’art. 46 Cost.: «Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende») si ipotizzava di rimettere all’autonomia statutaria la possibilità di prevedere che una quota non superiore alla metà dei consiglieri fosse eletta dai lavoratori. E difatti l’unica deroga consentita al principio della competenza assembleare alla nomina alle cariche sociali è quella stabilita negli artt. 2449 e 2351, ult. comma, c.c., con riferimento allo Stato o ad enti pubblici o, rispettivamente, ai portatori di strumenti finanziari partecipativi (art. 2409-duodecies, comma 2, c.c.). E se è vero che strumenti finanziari partecipativi potrebbero essere assegnati anche ai dipendenti della società o di società controllate ai sensi dell’art. 2349, comma 2, c.c., resterebbe in ogni caso il limite per cui il diritto di nomina ad essi riservato potrebbe essere per non più di un componente del consiglio di sorveglianza (art. 2351, ult. comma, c.c.). Inoltre, ad impedire la nomina dei dipendenti della società nel consiglio di sorveglianza si porrebbe anche l’ostacolo costituito dal fatto che tra le cause di ineleggibilità la legge contempla anche e proprio il fatto di essere legati da un rapporto di lavoro con la società o con società controllate o sottoposte a comune controllo [art. 2409-duodecies, comma 10, lett. c), c.c.].


7. Alcuni dati empirici: lo scarso successo del sistema dualistico, ma anche una smentita della collocazione funzionale del sistema quale modello di governo di società a capitale diffuso

Ho potuto raccogliere, e per questo devo pubblicamente ringraziare Unioncamere e Infocamere, dati empirici aggiornati al 2 febbraio 2021, dai quali si ricavano una serie di interessanti indicazioni, utili non solo per testare l’indice di gradimento effettivo fin qui registrabile, ma anche per vagliare alcune tra le più diffuse affermazioni circa la vocazione finalistica del sistema dualistico e per proporre alcuni spunti di riflessione sulle potenzialità applicative ad esso sottese. Un primo dato che si ricava concerne lo scarso successo che i sistemi alternativi hanno riscontrato in pratica, atteso che, a fronte di 27.677 società azionarie che hanno adottato o conservato il sistema ordinario (pari al 98,94% del totale), quelle che hanno optato per i sistemi alternativi sono 89 per il monistico (0,32% del totale) e solo 64 per il dualistico (lo 0,23% del totale). In questa prospettiva è interessante anche il raffronto con i dati riportati in letteratura e riferiti a una rilevazione della Camera di commercio di Milano al 29 luglio 2005, allorquando le società che avevano adottato sistemi alternativi erano 95 con il dualistico e 96 con il monistico, su oltre 61.000 società per azioni complessive, di cui oltre 41.600 attive. Dal che si desume che le società che utilizzano oggi il sistema monistico non sono diminuite in modo sensibile e, anzi, sono aumentate in termini di incidenza percentuale sul totale complessivo, diversamente da quelle che impiegano oggi il sistema dualistico, che sono diminuite nel numero complessivo, ma tutto sommato in linea con la riduzione del numero delle società attive, potendosi semmai registrare un sensibile spostamento dell’indice di gradimento interno ai due sistemi alternativi in una direzione di maggior favore per il monistico rispetto al dualistico. È interessante, poi, anche lo spaccato dei dati riferiti a società pluripersonali e società unipersonali, dove le percentuali in favore del dualistico sono dello 0,67% per le pluripersonali (43 società, contro 68 col monistico e 24.209 col tradizionale) e dello 0,32% per le unipersonali (20 società, contro 20 col monistico e 3.105 col tradizionale). Da questo dato, in particolare, si deduce che circa un terzo delle società che hanno adottato il dualistico sono società unipersonali, così smentendo l’assolutezza dell’ipotesi della collocazione [continua ..]


8. Polimorfismo strutturale e versatilità funzionale del sistema dualistico: (i) l’uso “virtuoso” del modello come strumento complesso e raffinato di “sintesi” tra interessi non omogenei ma convergenti

È stato osservato, da una attenta dottrina, che, in una lettura critica e in un certo senso destruens, la versione italiana del sistema dualistico (e segnatamente l’assen­za del regime di codeterminazione e la minore incisività dei poteri del consiglio di sorveglianza rispetto all’archetipo tedesco) sarebbe tale per cui il grosso del modello si esaurirebbe nel trasferimento all’organo di controllo di alcune funzioni proprie dell’assemblea, con un risultato che si sarebbe potuto ottenere anche senza introdurre un nuovo “sistema di amministrazione e controllo”, ma semplicemente prevedendo la possibilità di attribuire al collegio sindacale tali ulteriori funzioni. La stessa caratteristica principale del modello, individuabile nell’allontanamento formale dell’assemblea dall’amministrazione, sarebbe più formale che sostanziale e il “diaframma” che si viene ad interporre tra proprietà e gestione sarebbe quindi, per così dire, “insincero”, atteso che, per come il sistema è in concreto disciplinato, non muterebbe affatto l’influenza sostanziale che i soci (di controllo) sarebbero comunque in grado di esercitare sull’amministrazione. In una lettura construens, poi, non si po­trebbe fare a meno di registrare il carattere “camaleontico” dell’istituto, che si manifesterebbe sotto diversi profili, inclusa la possibilità di un suo impiego a fini diversi e disparati. La rilevata polifunzionalità (ovverosia la ricchezza delle potenzialità applicative) dell’istituto costituisce in effetti uno spunto che non solo merita di essere condiviso, ma che appare suscettibile di una ulteriore e più estrema enfatizzazione. L’im­pressione che si ricava dal regime normativo, come si dirà qui in appresso, è difatti nel senso che il sistema dualistico possa essere utilizzato in due direzioni frontalmente divergenti e contrapposte: due direzioni nelle quali lo stesso diaframma che verrebbe ad interporsi tra proprietà e gestione, piuttosto che risultare “insincero”, potrebbe invece atteggiarsi in un modo pieno e sostanziale (e dunque, in tal senso, anche del tutto “sincero”), in una serie di ipotesi di possibile impiego, per così dire, “virtuoso” del sistema; o presentarsi in un modo (assai peggio che semplicemente [continua ..]


9. (ii) Il rischio di impieghi “meno virtuosi”: il sistema dualistico nelle mani dell’“aspirante tiranno”

Una seconda direzione, nella quale troverebbe ulteriore (e in un certo senso inopinata) accentuazione il polimorfismo funzionale corrisponderebbe a una versione assai meno “virtuosa” del modello, la cui utilizzazione potrebbe essere piegata a finalità meno nobili e che, anzi, tradirebbero gli obiettivi (politici e sociali, prima ancora che “tecnici”) con cui il sistema era stato storicamente concepito nel suo paese d’origine nonché con le finalità dichiarate di politica legislativa con cui fu introdotta, con la riforma del 2003, la possibilità di adottarlo anche in Italia. Il “paradosso” è che risulterebbe addirittura capovolta quella che viene usualmente descritta come una delle caratteristiche salienti del sistema, pur a fronte della sua polifunzionalità. Tale caratteristica consisterebbe invero nella attenuazione del principio plutocratico sotteso al governo societario nella sua configurazione “ordinaria” e al conseguente ridimensionamento dell’influenza sostanziale dei soci sull’amministrazione. E ciò, per l’appunto, quale conseguenza di un modello di corporate governance con­notato dalla compressione del ruolo dell’assemblea (privata proprio di quelle competenze che la pongono in relazione diretta con l’organo amministrativo) e dalla interposizione di un “filtro” (il consiglio di sorveglianza) tra l’assemblea medesima e gli amministratori. I frammenti di “sovranità” che passano dall’assemblea al consiglio di sorveglianza, in altri termini, si tramuterebbero in altrettante porzioni di sovranità cui il socio di controllo abdicherebbe, con conseguente spostamento dell’as­se da un contesto dove prevarrebbe la pura discrezionalità dei soci in favore di un organo “tecnico” e “professionale”, chiamato ad esercitare quelle attribuzioni in una cornice sistematica ben diversa da quella che circonda le omologhe competenze assembleari nel sistema tradizionale: una cornice nella quale i consiglieri di sorveglianza adottano le relative decisioni nell’esercizio di poteri-doveri e, dunque, di situazioni giuridiche soggettive a connotazione “funzionale”, con ogni conseguenza in termini di possibili responsabilità, diversamente dai soci, che le medesime decisioni prendono nell’esercizio di diritti soggettivi, [continua ..]


NOTE