Rivista Corporate Governance ISSN 2724-1068 / EISSN 2784-8647
G. Giappichelli Editore

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Sicurezza dei lavoratori inviati all'estero, compliance 231 e responsabilità penale dei consiglieri di amministrazione (di Matteo Caputo, Professore associato di Diritto penale nell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Vincenzo Mongillo, Professore ordinario di Diritto penale nell’Università degli Studi di Roma, Unitelma Sapienza.)


La globalizzazione ha reso sempre più diffuso l’invio di lavoratori all’estero. Lo svolgimento di un’attività lavorativa in un Paese diverso da quello di origine impone alla Società titolare del rapporto di lavoro di affrontare i rischi connessi alla movimentazione del personale. Questi rischi aumentano quando il posto di lavoro si trova all’interno di contesti di crisi. Una mancata o insufficiente valutazione e gestione del rischio può comportare l’insorgenza di ipotesi di responsabilità penale in capo ai membri del consiglio di amministrazione e a contestazioni 231 a carico della Società per violazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza.

The safety of workers sent abroad, the compliance with 231/2001 legislative decree and the criminal liability of board members

The globalization means also sending workers abroad. Working abroad requires company to deal with the risks arising from the staff transfer. These risks increase when workplace is situated in critical or dangerous area. If risk assessment and risk management are missing or inadequate, boards members may be sentenced for breaching regulations about safety at workplace. At the same way, also the company can be involved in a criminal case in accordance with 231/2001 legislative decree, which regulates the corporate liability.

Keywords: workers' health and safety – Model 231 – board of directors – directors' liability – workers abroad

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La valutazione del rischio da Travel Health, Safety & Security - 3. Una intricata matassa: la vicenda libica della Bonatti S.p.A. - 4. L’applicazione extraterritoriale della legge italiana - 5. Il documento di valutazione dei rischi ex Testo Unico n. 81/2008 e il modello organizzativo ex d.lgs. n. 231/2001: affinità e differenze - 6. Il datore di lavoro quale garante originario e il valore della delega di funzioni - 7. Il ruolo della c.d. prassi, l’importanza dei flussi informativi e il criterio dell’interesse/vantaggio - 8. Tra safety e security: il rischio geopolitico nel Modello 231 della Bonatti S.p.A. e la colpa di organizzazione - 9. Lezioni per il futuro - NOTE


1. Premessa

Il fenomeno è noto: la globalizzazione dell’economia e dei rapporti di lavoro ha sospinto numerose imprese italiane a cogliere le opportunità offerte dai mercati internazionali e così anche a inviare i propri lavoratori in Paesi stranieri. Il trasferimento all’estero ha comportato un’estensione – non solo geografica – dell’obbligo, gravante sul datore di lavoro, di farsi carico dell’incolumità dei dipendenti, sia sotto il profilo della ‘Health & Safety’, vale a dire la tutela ‘classica’ della salute e della sicurezza dei lavoratori, sia sotto il profilo della ‘Security’, cioè la protezione della loro incolumità contro aggressioni, calamità naturali, atti terroristici, ecc. Meno noto è che la c.d. Travel Health, Safety & Security (d’ora in poi anche solo ‘THS&S’) concerne oggi un fascio di attività e di problematiche che interpella in misura crescente le persone giuridiche che hanno sedi secondarie, branch o anche solo lavoratori dislocati al di fuori dei confini nazionali e che presenta una complessità di questioni e implicazioni che reclama una diretta attenzione da parte della governance. Lo scopo del presente contributo è triplice: a) mettere a fuoco quali sono i principali rischi che si trova ad affrontare un’azienda quando i suoi collaboratori operano oltre frontiera in contesti critici; b) illustrare il ruolo che i modelli organizzativi ex d.lgs. n. 231/2001, messi in rapporto con la normativa cardine in materia di salute e sicurezza (il d.lgs. – c.d. Testo Unico – n. 81/2008), possono svolgere per mitigare i rischi legati alla THS&S; c) segnalare, anche alla luce dei primi consuntivi giurisprudenziali, le scelte di governo societario da ritenere irrinunciabili per evitare che i componenti di un consiglio di amministrazione e gli altri garanti della sicurezza lavorativa siano attinti da contestazioni di marca penale.


2. La valutazione del rischio da Travel Health, Safety & Security

La competizione economica su scala globale ha rapidamente fatto sorgere in numerose imprese italiane il bisogno di misurarsi con i mercati esteri. Lo ‘sbarco’ su un suolo diverso da quello d’origine non è mai indolore. Alle ordinarie difficoltà legate ai tempi di ambientamento, all’uso della lingua, e alle differenze dei registri culturali, negli ultimi anni si sono saldate le preoccupazioni nascenti da minacce connesse alla mutevolezza degli scenari geopolitici. Si tratta di preoccupazioni che impegnano le aziende a provvedere a un aggiornamento delle c.d. analisi di rischio Paese e delle procedure di messa in sicurezza, volte a proteggere i lavoratori e a garantire la compliance con le normative dei Paesi di destinazione [1]. Del resto, la Commissione Interpelli in materia di salute e sicurezza del Ministero del Lavoro, con risposta all’Interpello n. 11/2016, non pare lasciare spazio ai dubbi quando afferma che il: «datore di lavoro debba valutare tutti i rischi compresi i potenziali e peculiari rischi ambientali legati alle caratteristiche del Paese in cui la prestazione lavorativa dovrà essere svolta, quali a titolo esemplificativo, i cosiddetti “rischi generici aggravati”, legati alla situazione geopolitica del Paese (es. guerre civili, attentati, ecc.) e alle condizioni sanitarie del contesto geografico di riferimento non considerati astrattamente, ma che abbiano la ragionevole e concreta possibilità di manifestarsi in correlazione all’attività lavorativa svolta». La gestione del rischio da THS&S riguarda tutte le imprese che operano al­l’estero, a prescindere dalle dimensioni. In termini generali, possono essere identificate le seguenti classi di rischio: il rischio da trasferta (associato agli spostamenti in auto/aereo/treno/nave, ecc.); il rischio di condizioni meteo estreme (fenomeni naturali catastrofici); il rischio socio-politico (terrorismo, criminalità, ecc.); il rischio igienico-sanitario (malattie endemiche, ecc.); il rischio derivante da tensioni per fattori culturali/religiosi. L’ambito elettivo di tali rischi è la security. Tuttavia, come evidenzieremo, la giurisprudenza tende, almeno in situazioni di rischio peculiare, a far confluire tali problematiche nel multiforme prisma della safety, con ricadute sugli obblighi prevenzionistici del datore di lavoro. È appena il caso di rilevare, [continua ..]


3. Una intricata matassa: la vicenda libica della Bonatti S.p.A.

Per comprendere l’impatto che la sottovalutazione dei rischi appena delineati può riversare sulla governance, sulla reputazione aziendale e sul business, si rivelano assai istruttivi i tragici accadimenti che hanno visto coinvolti i vertici della Bonatti S.p.A. (d’ora in poi anche solo ‘Bonatti’ o la ‘Società’), primaria realtà industriale che offre servizi di ingegneria, costruzione, gestione e manutenzione di impianti nel settore dell’Oil & Gas and Power, Pipelines & Multiutility Networks, costruzioni civili (edili, industriali e infrastrutture), fungendo da general contractor internazionale: tanto per avere un’idea dei ‘volumi’, la Società, che ha sede a Parma, conta oltre seimila dipendenti sparsi in quattordici Paesi, dal Messico al Nord Africa, dall’Arabia al Kazakhistan. I fatti traggono origine dal rapimento, avvenuto cinque anni fa, di quattro tecnici specializzati italiani, sequestrati mentre percorrevano la principale arteria di comunicazione libica, la Sabratha Costal Road, diretti dall’isola tunisina di Djerba agli impianti della società Mellitah Oil and Gas, siti a Mellitah. I quattro viaggiavano su un’auto condotta da un autista libico, contrariamente a quanto loro inizialmente comunicato dalla Bonatti, la quale li aveva informati che il trasferimento sarebbe avvenuto via mare, per il tramite di una nave messa a disposizione dalla società Mellitah Oil and Gas, che partiva ogni mercoledì sera da Djerba. Durante il viaggio, il pick up era stato affiancato e fermato da due vetture, e i quattro tecnici fatti prigionieri, bendati e condotti presso un rifugio con limitazione assoluta della libertà personale. Nei giorni successivi il luogo di detenzione era mutato, e si erano susseguiti due tentativi di ulteriore trasferimento. Nel corso del secondo, due dei tecnici erano morti a seguito di un conflitto a fuoco tra i sequestratori e terzi, mentre si trovavano a bordo di un convoglio. Qualche giorno dopo, gli altri due tecnici superstiti erano riusciti a fuggire e a mettersi in contatto con le locali forze di polizia, per poi fare ritorno in Italia. Alla morte dei due tecnici era seguito l’avvio di un procedimento penale nei confronti dell’operation manager per la Libia, posto a capo di una branch locale (la Bonatti Libyan Branch), che aveva sottoscritto i contratti con i quattro dipendenti e [continua ..]


4. L’applicazione extraterritoriale della legge italiana

Occorre, però, anteporre una questione preliminare, dirimente ai fini della perseguibilità di qualsiasi reato a proiezione transfrontaliera: la verifica dei presupposti della giurisdizione italiana; detto altrimenti, dell’efficacia della legge penale italiana nello spazio. Il caso Bonatti palesa come la legge penale interna possa dilatare il suo raggio applicativo sino ad attingere reati commessi in toto o prevalentemente all’estero. La dinamica dei fatti materiali contestati – il trasferimento via terra dei lavoratori per decisione del manager locale, il loro sequestro e la successiva uccisione – si dipana interamente in territorio libico. Ciò nonostante, il giudicante ha potuto riscontrare i requisiti della giurisdizione nazionale, sia nei confronti delle persone fisiche coinvolte, sia della Bonatti S.p.A. V’è da dire, al riguardo, che correttamente il G.U.P. di Roma ha invocato i criteri che governano la giurisdizione extraterritoriale solo rispetto all’illecito penale contestato all’operation manager: tanto la condotta commissiva, quanto l’evento, nel caso di specie si erano inverati interamente all’estero, sicché l’applicabilità della legge interna è stata affermata al metro dell’art. 9 c.p. (“Delitto comune del cittadino all’estero”). Diversamente, il reato di omicidio colposo contestato ai membri del c.d.a. è stato ritenuto commesso, in parte, in Italia, in quanto il nostro territorio era il locus del­l’omissione colposa censurata. Difatti, ai sensi dell’art. 6 c.p. (principio di territorialità), il reato si considera compiuto in Italia, con conseguente applicazione della legge penale interna, ogni qual volta «l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione». L’eventuale realizzazione – anche solo per un frammento – del reato in Italia ha conseguenze notevoli, giacché comporta l’applicabilità della legge penale domestica a condizioni assai meno stringenti. Con riferimento alla liability della Bonatti S.p.A., il giudice ha invocato l’art. 4 del d.lgs. n. 231/2001. Tale disposizione, da un lato, sancisce che in presenza delle condizioni per procedere contro gli autori o [continua ..]


5. Il documento di valutazione dei rischi ex Testo Unico n. 81/2008 e il modello organizzativo ex d.lgs. n. 231/2001: affinità e differenze

L’art. 17 del Testo Unico n. 81/2008 impone al datore di lavoro di redigere un documento di valutazione dei rischi che – per la metodologia risk-based, tipica di ogni sistema gestionale – presenta forti assonanze con il modello di organizzazione, gestione e controllo di cui parla l’art. 6 del d.lgs. n. 231/2001, chiamato a «individuare le attività nei cui ambiti possono essere commessi reati». È pacifico, però, che i due documenti svolgano funzioni differenti: mentre il DVR contiene misure pensate per garantire il maggior livello di sicurezza possibile sul luogo di lavoro, il Modello 231 (d’ora in poi anche solo ‘MOG’) mira a impedire la commissione di reati che, per quanto qui d’interesse, discendono dalla violazione della normativa antinfortunistica. In particolare, il MOG ex art. 30, d.lgs. n. 81/2008 specifica i requisiti generali del corrispondente strumento delineato dagli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 231/2001 e serve a presidiare il corretto adempimento dei doveri prevenzionistici che, in virtù della legge, fanno capo ai garanti individuali della sicurezza (datore di lavoro, dirigenti, preposti, RSPP, medico competente, ecc.). Il MOG di cui è direttamente onerato l’ente assicura, pertanto, le condizioni organizzative dell’osservanza individuale conforme a diligenza, disegnando un sistema di organizzazione, gestione e controllo di secondo livello che si aggiunge – senza assorbirlo – al sistema di prevenzione dei rischi infortunistici e tecno-patici fondato sull’analisi documentata degli stessi (DVR). Il traguardo che ci si prefigge con l’impianto e l’implementazione del modello organizzativo nell’ente è proprio l’ef­fettiva predisposizione, ad opera dei vari garanti individuali, di un adeguato ed efficace sistema di organizzazione, gestione e controllo di primo livello, vale a dire il sistema integrato delle azioni e misure preventive direttamente tarate, alla luce del d.lgs. n. 81/2008, sul rischio di infortuni e malattie professionali. Tra MOG e sistema prevenzionistico sottostante sussiste, in definitiva, un rapporto di mezzo a fine [12]. Il principale punto di tangenza tra il d.lgs. n. 231/2001 e il Testo Unico n. 81/2008 è, evidentemente, rappresentato dall’art. 30 di quest’ultimo, che al comma 1 accorda efficacia esimente della responsabilità amministrativa [continua ..]


6. Il datore di lavoro quale garante originario e il valore della delega di funzioni

Chi riveste la qualifica il datore di lavoro in un contesto organizzativo particolarmente complesso come quello della Società Bonatti? A questo quesito la sentenza in commento risponde senza esitazioni: il consiglio di amministrazione nel suo insieme. La pronuncia sembra così aderire al più rigoroso indirizzo giurisprudenziale secondo cui, nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia [15]. Il dato è meno scontato, però, di quanto possa apparire a prima vista. Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 81/2008, per “datore di lavoro” si intende «il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa». Pertanto, nelle società di capitali può persino profilarsi una pluralità di figure datoriali: un datore di lavoro “primario”, vale a dire il soggetto che ha la responsabilità della (intera) organizzazione, e un datore o più datori di lavoro “decentrati”, vale a dire i soggetti al vertice di una singola unità produttiva (come potrebbe essere anche una branch estera) in quanto esercitano i relativi poteri decisionali e di spesa. All’interno del consiglio di amministrazione di una società per azioni, l’art. 2381, comma 2, c.c. ammette la ripartizione di funzioni mediante un atto denominato “delega”, la quale può essere conferita – purché lo statuto o l’assemblea lo consentano – a uno o più componenti dell’organo amministrativo o a un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi membri [16]. In realtà, l’atto organizzativo in discorso non realizza un reale trasferimento di competenze datoriali (come accade con la delega ex art. 16, d.lgs. n. 81/2008, di cui parleremo a breve), ma una redistribuzione di funzioni all’interno dell’organo [continua ..]


7. Il ruolo della c.d. prassi, l’importanza dei flussi informativi e il criterio dell’interesse/vantaggio

Un elemento di sicuro interesse che affiora dalle evidenze probatorie del procedimento Bonatti attiene al rilievo da annettere alla c.d. prassi. Un alto dirigente della Società, alcuni mesi prima del rapimento, aveva inviato all’operation manager una mail dalla quale era possibile evincere l’esistenza di una procedura per la movimentazione del personale in Libia, la quale prescriveva l’uti­lizzo della nave o del mezzo aereo per gli spostamenti ed escludeva l’accesso ai percorsi via terra [22]. Con successiva mail, lo stesso dirigente comunicava la dislocazione di una nave nel porto di Mellitah per dare corso agli spostamenti in sicurezza. Il giudice prende atto di tali scambi informativi, ma non li ritiene sufficienti a sottrarre la Società e i vertici aziendali alla responsabilità per gli addebiti mossi: non essendo state ufficializzate in nessuna procedura formale, e benché costituissero un invalso modus procedendi, alle comunicazioni viene riconosciuto il rango di prassi inidonee a documentare il livello di procedimentalizzazione richiesto dal Testo Unico n. 81/2008 e dal d.lgs. n. 231/2001. Le mail sembrano più che altro «espressione di una esigenza occasionale e contingente, evidenziatasi solo in concomitanza di alcuni avvenimenti», anziché rappresentare il frutto di una valutazione complessa, condivisa a più livelli e cristallizzata in una procedura conosciuta e condivisa anche dai destinatari [23]. E, in effetti, le comunicazioni mail avvenute tra il dirigente e l’operation manager non risultano pervenute ai vertici della Società e all’Organismo di Vigilanza, né tanto meno al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e agli stessi lavoratori (cfr. artt. 18, lett. i), n) e o); 28; 29, comma 1, Testo Unico n. 81/2008) [24]. Lo sviluppo è immediato: se i lavoratori fossero stati messi a conoscenza della direttiva, avrebbero potuto opporre un rifiuto allo spostamento via terra che avrebbe loro salvato la vita. Parallelamente, una adeguata procedimentalizzazione della direttiva impartita via mail avrebbe richiamato il manager locale a una scrupolosa osservanza e avrebbe consentito agli organi preposti alla vigilanza di venirne a conoscenza e di monitorarne il rispetto, contribuendo, per tale via, a dare corpo all’atteg­giamento “virtuoso” dell’ente. Si segnala, in questo modo, la [continua ..]


8. Tra safety e security: il rischio geopolitico nel Modello 231 della Bonatti S.p.A. e la colpa di organizzazione

L’esame del Modello 231 della Società imputata restituisce agli occhi del giudice un’immagine sfocata. Il modello è monco: la questione dei trasferimenti del personale all’interno di territori pericolosi non risulta essere stata presa in considerazione, nemmeno nel corso dell’ultimo aggiornamento disponibile ai tempi dei fatti di causa (2015), e malgrado la Bonatti sia Società prevalentemente impegnata in scenari geopolitici che assorbono fibrillazioni di vario genere (Algeria, Egitto, Iraq, solo per citarne alcuni). Si tratta del punto-chiave dell’intera vicenda: contrariamente a quanto sostenuto dalle difese, il giudice ritiene che proprio la natura dell’attività della Bonatti, svolta prevalentemente all’estero e in Paesi che vivono situazioni di profonda instabilità politica, impedisca di considerare il rischio da TSH&S come un rischio c.d. ‘esogeno’, cioè indipendente dalla tipologia di attività esercitata, profilandosi invece come un rischio intimamente connaturato alla peculiare attività lavorativa svolta dai dipendenti di un general contractor internazionale [26]. L’intuizione sottesa a questo snodo della motivazione è che possono esservi rischi di per sé non immanenti allo svolgimento di una certa attività [27], quindi ex se esogeni o generici, e tuttavia amplificati dallo svolgimento di una certa attività lavorativa: rischi dunque assimilabili a quelli ‘endogeni’. Deve dunque concludersi per l’istituzione di un dovere, incombente sul datore di lavoro, di provvedere agli adempimenti relativi alla movimentazione in sicurezza del personale all’estero, e tra essi alla gestione dei rischi geopolitici o ambientali associati all’arrivo e all’allontanamento dalle sedi di lavoro. Ed è in tale prospettiva che va letta la scelta della Società di farsi carico delle spese della trasferta e di informare il personale su tempi e modalità del viaggio, ingenerando nei tecnici un affidamento circa la più adeguata individuazione dei mezzi di trasporto, del percorso da seguire, degli orari e dei tempi di percorrenza. Queste notazioni sono decisive, secondo il giudice, per qualificare il rischio in itinere, concretizzatosi nell’evento lesivo, come rischio che non attiene all’area della security, nella quale vengono collocati i rischi [continua ..]


9. Lezioni per il futuro

All’esito del giudizio, il giudice perviene al convincimento circa la responsabilità penale degli imputati, sul presupposto che la condotta imprudente dell’operation manager si inserisca nel quadro di una grave carenza organizzativa imputabile, ai rispettivi livelli di diligenza dovuta, al datore di lavoro e alla Società: la mancata considerazione dell’area a rischio e l’omessa predisposizione di misure precauzionali nel Modello 231 ha indotto, a cascata, la mancata valutazione del rischio nel DVR da parte dell’organo datoriale, che a sua volta ha influito negativamente sulla percezione del rischio da parte dell’operation manager e dei lavoratori. Anche se distinte sotto il profilo cronologico, le condotte del manager e dei vertici si saldano, concorrendo insieme alla produzione dell’evento morte: per precisione, la condotta attiva del manager s’innesta sulla precedente condotta omissiva dei vertici della Bonatti, la cui passività organizzativa finisce col dare fiato alla sventurata scelta del percorso via terra. Si è già detto del patteggiamento al quale ha avuto accesso l’operation manager. Nel condannare i soggetti apicali della Società, il giudice ha riconosciuto come il deficit organizzativo non sia dipeso «da una consapevole e cinica scelta di riduzione o contenimento dei costi in materia di sicurezza», bensì da «una “indifferenza” nei confronti dei fattori di rischio in questione e quindi degli stessi interessi pregiudicabili» [33]; e ha espresso apprezzamento per l’impegno versato nel rimuovere le condizioni di rischio che avevano concorso a cagionare il decesso dei dipendenti e nel­l’adozione di misure precauzionali dirette a evitare il ripetersi di simili accadimenti, considerando la condotta come occasionale e non ostativa all’applicazione della sospensione condizionale della pena. In considerazione dei risarcimenti intervenuti a favore delle famiglie dei dipendenti uccisi e dell’Inail, dell’aggiornamento del modello organizzativo e degli investimenti compiuti sul versante della sicurezza, la Società si è vista condannata a una sanzione pecuniaria ridotta di due terzi, ai sensi dell’art. 12, comma 3, d.lgs. n. 231/2001, ed è stata preservata dall’applicazione di alcuna sanzione interdittiva, pure richiesta dall’accusa, avendo [continua ..]


NOTE