Rivista Corporate Governance ISSN 2724-1068 / EISSN 2784-8647
G. Giappichelli Editore

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Sostenibilità delle imprese e dichiarazioni non finanziarie (di Diletta Lenzi, Assegnista di ricerca in Diritto commerciale presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche del­l’Università degli Studi di Firenze)


È ormai acclarato che per assicurare gli obiettivi di transizione ecologica cui l’Unione Europea si è impegnata sia necessario mobilitare ingenti capitali privati. A tal fine è indispensabile predisporre un sistema informativo che permetta agli investitori di orientare consapevolmente le proprie decisioni di stanziamento del capitale e che valorizzi imprese che producono e offrono beni e servizi a positivo im­patto sociale o ambientale, reprimendo fenomeni di social- e greenwashing. Al contempo, la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario può contribuire a migliorare il sistema di identificazione dei rischi (finanziari) “di sostenibilità” e permettere alle imprese di raggiungere investitori, con­sumatori e lavoratori sempre più attenti alla sostenibilità dei propri interlocutori.

In questo contesto, l’articolo esamina i doveri informativi regolati dal d.lgs. n. 254/2016, che recepisce la direttiva 2014/95/UE sulle dichiarazioni non finanziarie degli enti di interesse pubblico, verificando anche la capacità degli obblighi di disclosure di incidere sui doveri degli amministratori delle società destinatarie degli obblighi informativi.

L’indagine dei doveri informativi sarà effettuata considerando il più ampio contesto dei doveri di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario di derivazione europea, che include l’ap­parato di direttive in tema di contabilità (in particolare la direttiva 2003/51/CE), il reg. 2019/2088/UE per il settore dei servizi finanziari, nonché la proposta di direttiva sul “corporate sustainability reporting” e la più recente proposta di direttiva sulla “corporate sustainability due diligence” del 23 febbraio 2022.

 

Business sustainability and non-financial reporting

It is understood that private capital is vital to ensure the achievement of the ecological transition goals to which the European Union is committed. To this end, it is necessary to set up an information system that enables investors to make informed investment decisions and that values companies that produce or offer goods and services with a positive social or environmental impact, thereby curbing social and greenwashing. At the same time, the disclosure of non-financial information may help identify financial “sustainability risks” and may enable companies to reach investors, consumers, and employees inte­rested to businesses’sustainable impact.

Within this context, the article analyses the disclosure duties regulated by Legislative Decree No. 254/2016, which transposes Directive 2014/95/EU on non-financial reporting, and examines whether these disclosure obligations affect the duties of corporate directors.

The analysis will be carried out considering the broader context of European-derived duties on non-financial disclosure, which includes the body of directives on accounting (in particular Directive 2003/51/EC), Regulation 2019/2088/EU for the financial services sector, as well as the proposal for a Directive on ‘corporate sustainability reporting’ and the more recent proposal for a Directive on ‘corporate sustainability due diligence’ of 23 February 2022.

Keywords: non-financial disclosure – sustainable corporate governance – ESG index – corporate social responsibility – sustainability reporting – non-financial reporting.

SOMMARIO:

1. Considerazioni introduttive: dalla responsabilità sociale delle imprese ai fattori ESG - 2. La disclosure non finanziaria e il contesto normativo nazionale - 3. Il d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254 e il regime delle dichiarazioni di carattere non finanziario per gli enti di interesse pubblico rilevanti - 3.1. L’ambito di applicazione - 3.2. Il contenuto delle dichiarazioni di carattere non finanziario - 3.3.: il criterio della “rilevanza” (o “materiality”) e le principali caratteristiche delle informazioni oggetto di disclosure - 3.4. Lo standard di rendicontazione - 3.5. La collocazione della dichiarazione e il regime pubblicitario - 3.6. La verifica della dichiarazione - 3.7. Conseguenze in caso di mancato adempimento del dovere di disclosure - 4. Il regolamento (UE) 2019/2088 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 novembre 2019 relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari - 5. La proposta di direttiva sul corporate sustainability reporting - 6. Riflessioni conclusive sullo stato dell’arte: i doveri di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario in capo alle società italiane - 7. La portata operativa degli obblighi di disclosure non finanziaria - 8. (Segue): la portata endosocietaria della direttiva sulle dichiarazioni di carattere non finanziario - 9. La proposta di direttiva sulla due diligence e gestione sostenibile delle imprese - NOTE


1. Considerazioni introduttive: dalla responsabilità sociale delle imprese ai fattori ESG

La funzionalizzazione dell’impresa organizzata in forma societaria al perseguimento di interessi pubblici o comunque generali è questione antica, ma è a partire dagli anni ’70 del secolo scorso [1] che il dibattito instrada il percorso che, passando attraverso l’imposizione di limiti esterni all’attività imprenditoriale (principalmente di natura giuslavoristica e di diritto ambientale), conduce oggi a discutere dell’attualità dello scopo lucrativo delle imprese organizzate in forma societaria [2] e dell’opportunità di un ripensamento dei doveri fiduciari degli amministratori di società, soprattutto se di grandi dimensioni [3]. Il dibattito attorno ai limiti sociali e ambientali dell’operato imprenditoriale, per quanto risalente, ha assunto oggi una nuova conformazione rispetto al passato con riferimento alle aspettative di intervento sui temi della sostenibilità; aspettative che non sono più rivolte unicamente alle autorità pubbliche, ma direttamente alle imprese: ancor prima del legislatore, sono i consumatori, gli investitori e i lavoratori, sog­getti sempre più attenti all’impatto socio-ambientale dei loro interlocutori, ad imporre alle imprese, secondo dinamiche di mercato, una maggiore consapevolezza circa la propria impronta ambientale e il rispetto dei diritti umani [4]. All’interno del dibattito si assiste nel tempo ad una evoluzione lessicale che non si pone in modo neutro sul piano concettuale. Negli anni in cui fu pubblicato il noto articolo di Milton Friedman [5] l’espressione più utilizzata era quella di “responsabilità sociale d’impresa” con la quale tradizionalmente si indica l’integrazione su base volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate [6], preoccupazioni che restano, tuttavia, di principale responsabilità dello Stato e delle pubbliche amministrazioni. Con la responsabilità sociale d’impresa si indebolisce la connotazione etica, spesso legata ai movimenti religiosi cattolici e calvinisti, tipica di inizio Novecento [7], a favore di una espressione più laica: all’idea secondo la quale le imprese dovrebbero preoccuparsi di non violare i diritti umani o di non inquinare perché [continua ..]


2. La disclosure non finanziaria e il contesto normativo nazionale

Nel 2014 la Commissione europea è intervenuta per regolare in modo organico i doveri di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario di enti di interesse pubblico di grandi dimensioni. L’intervento assume particolare rilevanza in quanto sintomatico di un mutamento nelle modalità di lavoro della Commissione in materia di sostenibilità delle imprese, segnando il passaggio da regole di autodisciplina, o comunque di “soft law”, a regole di “hard law” [17], mediante l’emanazione della direttiva 2014/95/UE sulle dichiarazioni non finanziarie [18]. La direttiva si inserisce all’interno di un più ampio intervento coordinato a livello europeo in materia di informazioni di carattere non finanziario, finalizzato a introdurre maggiore uniformità tra Stati sia circa l’esistenza di obblighi di disclosure, sia circa il loro contenuto, così da rendere le dichiarazioni tra loro maggiormente uniformi e meglio comparabili [19]. Tale programma coinvolge: 1. l’apparato di direttive in tema di contabilità, e in particolare la direttiva 2003/51/CE[20] che prevede obblighi di comunicazione da inserire nella relazione sulla gestione e nella relazione consolidata sulla gestione e relativi a informazioni su profili ambientali e sociali, della società o del gruppo, quando necessarie a comprendere l’andamento della società [21]. La direttiva è stata recepita, in Italia, con il d.lgs. n. 32/2007 che ha introdotto sia l’attuale secondo comma dell’art. 2428 c.c., secondo cui la relazione sulla gestione deve contenere, «nella misura necessaria alla comprensione della situazione della società e dell’andamento e del risultato della sua gestione» e «se del caso», gli indicatori di carattere non finanziario «pertinenti all’attività specifica della società, comprese le informazioni attinenti all’ambiente e al personale»; sia lo speculare comma 1-bis dell’art. 94 d.lgs. n. 209/2005 con riguardo al bilancio d’esercizio delle società assicurative [22]; 2. la direttiva 2014/95/UE sulle dichiarazioni non finanziarie per gli enti di interesse pubblico che introduce nella direttiva 2013/34/UE[23] gli artt. 19-bis e 29-bis (disciplinanti, rispettivamente, la dichiarazione individuale e consolidata di carattere non finanziario) [continua ..]


3. Il d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254 e il regime delle dichiarazioni di carattere non finanziario per gli enti di interesse pubblico rilevanti

La direttiva 2014/95/UE [28], nell’introdurre l’obbligo per le imprese di grandi di­mensioni che costituiscono enti di interesse pubblico di redigere e comunicare una dichiarazione di carattere non finanziario [29] (nonché per i medesimi enti che siano anche imprese madri di un gruppo di grandi dimensioni, il dovere di redigere la dichiarazione consolidata di carattere non finanziario [30]), lascia ampia discrezionalità agli Stati membri circa la definizione dell’ambito soggettivo di applicazione, del contenuto dell’informativa e della collocazione della dichiarazione, nonché sulle modalità di verifica del contenuto della stessa [31]. In Italia [32], la direttiva è stata recepita con il d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254, come modificato dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145 [33], il quale, rispetto alla disciplina esistente, si limita a modificare l’art. 123-bis TUF circa la relazione sul governo societario. Le nuove norme, entrate in vigore il 25 gennaio 2017, si applicano agli esercizi finanziari aventi inizio a partire dal 1° gennaio 2017 [34].


3.1. L’ambito di applicazione

La direttiva identifica un ambito di applicazione minimo che trova più precisa definizione all’art. 2 del d.lgs. n. 254/2016, secondo il quale sono tenuti a redigere la dichiarazione individuale o consolidata di carattere non finanziario gli “enti di interesse pubblico” (requisito “soggettivo”) che abbiano superato determinate soglie dimensionali relative al numero di dipendenti, al valore dello stato patrimoniale o a quello dei ricavi netti (requisito “oggettivo”). Nel dettaglio, quanto al requisito soggettivo, sono considerati enti di interesse pubblico: (i) le società con valori mobiliari negoziati in mercati regolamentati italiani; (ii) le banche; (iii) le imprese di assicurazione [35]; (iv) le imprese di riassicurazione con sede legale in Italia [36]; (v) le sedi secondarie in Italia di imprese di riassicurazione extracomunitarie [37]-[38]. Quanto al requisito oggettivo, tali enti saranno tenuti a redigere la dichiarazione di carattere non finanziario se (i) abbiano avuto, in media durante l’esercizio, più di cinquecento dipendenti e (ii) alla data di chiusura del bilancio, abbiano superato, alternativamente, il valore di 20.000.000 di euro dello stato patrimoniale o il valore di 40.000.000 di euro del totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni [39]. I medesimi enti, se sono società madri [40] di gruppi “di grandi dimensioni” [41], sono tenuti a redigere una corrispondente dichiarazione consolidata. In tal caso, sia la società madre che le società figlie sono esentate dal dovere di redigere la dichiarazione individuale [42]. Al contempo, è ammesso che soggetti diversi da quelli ricompresi nell’ambito di applicazione possano redigere dichiarazioni non finanziarie su base volontaria apponendo sulle stesse la dicitura di conformità al d.lgs. n. 254/2016, purché si attengano alle disposizioni ivi regolate sul piano sia del contenuto delle dichiarazioni che delle regole di loro verifica [43]. Si adotta così una modalità di “soft-law” per le imprese non ricomprese nell’ambito di applicazione del dovere; ambito che in ultima istanza risulta alquanto contenuto sia con riguardo al requisito soggettivo sia quanto alle soglie dimensionali di cui al requisito oggettivo [44]. Proprio in tale portata applicativa ridotta trova la sua [continua ..]


3.2. Il contenuto delle dichiarazioni di carattere non finanziario

Nel definire il contenuto delle dichiarazioni di carattere non finanziario, il legislatore italiano si limita a richiamare il contenuto minimo individuato dalla direttiva che, tuttavia, a detta della Commissione europea, dovrebbe essere interpretato in modo sostanziale, ricomprendendovi anche qualsiasi altra informazione “rilevante” – nei termini che si preciseranno a breve – e funzionale alle parti interessate per comprendere l’impatto dell’attività d’impresa sul piano ambientale, di tutela dei diritti umani e di lotta alla corruzione, indipendentemente da quanto espressamente individuato come contenuto necessario ai fini di conformità della dichiarazione [45]. La società potrebbe, ad esempio, valutare come sensibili, in ragione dell’attività esercitata, informazioni in materia di privacy o di sicurezza informatica [46], nonostante tali ambiti non trovino espressa menzione né nella direttiva né nel decreto di recepimento. Il d.lgs. n. 254/2016, rispetto alla direttiva, specifica nel dettaglio la tipologia di informazioni che la dichiarazione di carattere non finanziario, sia essa individuale (art. 3) o consolidata (art. 4), deve contenere, richiedendo altresì di operare un raffronto tra l’esercizio corrente e gli esercizi precedenti [47]. Il contenuto minimo della dichiarazione concerne informazioni quantomeno sulle seguenti tematiche: profili di carattere ambientale, come l’uso di risorse energetiche e l’impiego di risorse idriche, le emissioni di gas serra e inquinanti, nonché più in generale l’im­patto anche a medio termine sull’ambiente naturale e sulla salute umana, e la sicurezza associata a rilevanti fattori di rischio ambientale e sanitario (art. 3, comma 2, lett. a), b), c)); profili di carattere sociale attinenti al personale, incluse le azioni poste in essere per garantire la parità di genere e le modalità con cui è stato eventualmente realizzato il dialogo con le parti sociali (art. 3, comma 2, lett. d)); misure adottate per prevenire la violazione dei diritti umani (art. 3, comma 2, lett. e)); profili attinenti alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, specificando gli strumenti a tal fine adottati (art. 3, comma 2, lett. f)). Tali aree di interesse devono essere esaminate da più prospettive, dovendo la dichiarazione comprendere: (i) una [continua ..]


3.3.: il criterio della “rilevanza” (o “materiality”) e le principali caratteristiche delle informazioni oggetto di disclosure

Le informazioni di carattere non finanziario, come sopra individuate, devono essere fornite e descritte nella dichiarazione nella misura in cui esse siano necessarie «ad assicurare la comprensione dell’attività d’impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto della stessa prodotta», nonché nei limiti in cui esse siano valutate come “rilevanti” «tenuto conto delle attività e delle caratteristiche dell’impresa» (così art. 3, comma 1) [55]. Un’informazione è considerata “rilevante” ogni qual volta la sua omissione o errata indicazione «potrebbe ragionevolmente influenzare le decisioni prese dagli utilizzatori sulla base del bilancio dell’impresa» [56] sia in positivo che in negativo. La rilevanza delle singole voci al fine della comprensione dell’impatto dell’attività deve, inoltre, essere verificata nel contesto di altre voci analoghe [57]. Secondo le linee guida emanate dalla Commissione europea ai sensi dell’art. 2, direttiva 2014/95/UE [58] al fine di orientare e coadiuvare gli enti di interesse pubblico destinatari dell’obbligo di redazione della dichiarazione, per determinare la rilevanza di una informazione non finanziaria rispetto a uno specifico ente dovranno essere presi in considerazione sia fattori interni all’organizzazione dell’ente, come il modello aziendale, sia caratteristiche esterne alla stessa come il settore imprenditoriale, gli interessi e le aspettative delle parti interessate, l’impatto delle attività con riferimento ai prodotti e ai servizi, le relazioni commerciali, o le politiche pubbliche e la normativa applicabile all’ente. Ad esempio, una banca può considerare che il consumo di acqua presso i propri uffici non costituisca una informazione rilevante, mentre all’opposto può ritenere tale l’impatto ambientale dei progetti che essa finanzia e il suo ruolo nel sostenere l’economia reale di una determinata comunità territoriale [59]. Allo stesso modo, per un’impresa tecnologica che nella propria attività di produzione utilizzi minerali provenienti da zone di conflitto risultano rilevanti le informazioni in merito alle strategie adottate per garantire il rispetto dei diritti umani [60]. Gli orientamenti della Commissione europea intervengono [continua ..]


3.4. Lo standard di rendicontazione

Gli enti soggetti al dovere di redigere la dichiarazione di carattere non finanziario possono scegliere liberamente lo standard di rendicontazione, o persino utilizzare una metodologia autonomamente elaborata [62]. Il decreto di recepimento non specifica alcuno standard di rendicontazione dei fattori ESG, a differenza della direttiva 2014/95/UE che fa espresso riferimento a standard nazionali, standard unionali, come il sistema di ecogestione e audit (EMAS), o standard internazionali, come il Global Compact delle Nazioni Unite, la norma ISO 26000, o la Global Reporting Initiative [63]. La scelta dello standard deve essere indicata nella relazione e, laddove essa differisca da quella adottata per l’esercizio precedente, devono esserne illustrati i motivi [64].


3.5. La collocazione della dichiarazione e il regime pubblicitario

Il d.lgs. n. 254/2016 è flessibile per quanto concerne la collocazione della dichiarazione di carattere non finanziario, individuale o consolidata, che potrà, alternativamente, essere contenuta in una sezione dedicata della relazione sulla gestione o costituire relazione separata contraddistinta da dicitura analoga [65]. Nonostante la libertà rimessa all’ente circa la collocazione della dichiarazione, soltanto qualora questa sia contenuta nella relazione sulla gestione la sua pubblicazione permette di assolvere agli obblighi in materia di informazioni non finanziarie di cui all’art. 2428, commi 1 e 2, c.c., in tema di bilancio d’esercizio; a quelli derivanti dall’art. 41, comma 2, d.lgs. n. 136/2015 per i bilanci consolidati degli intermediari IFRS; e parimenti agli obblighi di cui all’art. 94, comma 1-bis, d.lgs. n. 209/2005 per il bilancio delle società assicurative. Quanto al regime pubblicitario della dichiarazione che costituisca relazione distinta, il legislatore nazionale – adottando una soluzione più rigorosa rispetto alla direttiva – prevede che la stessa debba essere redatta dall’organo di amministrazione, messa a disposizione dell’organo di controllo interno sulla gestione e del revisore legale negli stessi tempi previsti per il progetto di bilancio d’esercizio (o per il bilancio consolidato, in caso di dichiarazione consolidata), per poi essere pubbli­cata, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese e presso la sede sociale insieme alla relazione sulla gestione (così l’art. 5, comma 1, lett. b) e comma 3, lett. b)). Gli emittenti quotati, inoltre, devono pubblicare la dichiarazione congiuntamente alla relazione finanziaria annuale di cui all’art. 154-ter TUF, secondo le modalità di diffusione delle informazioni regolamentate previste dal regolamento emittenti (in particolare agli artt. 65-bis, comma 2, 65-quinquies, 65-sexies e 65-septies). Gli emittenti strumenti finanziari diffusi, contestualmente al deposito della relazione distinta presso il registro delle imprese, devono altresì pubblicarla sul proprio sito internet, conformemente a quanto disposto dall’art. 110 del regolamento emittenti. La pubblicazione sul sito internet è, tuttavia, imposta dal regolamento Consob anche agli enti non quotati né diffusi e deve restare disponibile per almeno cinque anni [66]. Per [continua ..]


3.6. La verifica della dichiarazione

La fase di verifica e asseverazione della dichiarazione è momento valorizzato sia dalla direttiva, che predispone un sistema minimo di controlli (art. 19-bis, comma 5, dir. 2013/34/UE, introdotto dalla direttiva 2014/95/UE), sia dal decreto di recepimento. Secondo l’art. 3, comma 10, d.lgs. n. 254/2016, il rispetto, da parte dell’organo amministrativo, del dovere di predisposizione della dichiarazione nei termini sopra descritti deve essere verificato, alternativamente, da (i) il soggetto incaricato della revisione legale dei conti dell’ente o da (ii) altro soggetto abilitato allo svolgimento della revisione legale che sia appositamente designato. Al termine della verifica, il revisore deve predisporre specifica relazione – autonoma rispetto al giudizio sul pro­getto di bilancio e indirizzata all’organo amministrativo [71] – attestando la conformità delle informazioni fornite rispetto a quanto richiesto dal d.lgs. n. 254/2016, anche «sulla base dell’adeguatezza dei sistemi, dei processi e delle procedure utilizzate [dall’ente] ai fini della preparazione della dichiarazione di carattere non finanziario» (così art. 3, comma 10) [72]. La Consob è intervenuta con apposito regolamento [73] specificando il contenuto della relazione del soggetto incaricato ai sensi dell’art. 3 che deve tra le altre cose attestare, in negativo, che sulla base del lavoro svolto non sono pervenuti «elementi che facciano ritenere che la dichiarazione non finanziaria non sia stata redatta, in tutti gli aspetti significativi, in conformità a quanto richiesto dagli articoli 3 e 4 del decreto e dallo standard di rendicontazione o dalla metodologia di rendicontazione autonoma utilizzata» (art. 5, comma 1, lett. g), reg. Consob) [74]. Su espressa richiesta dell’organo amministrativo, tuttavia, il revisore dovrà attestare, in positivo, che la dichiarazione è stata redatta in modo conforme (art. 5, comma 2, reg. Consob). L’esito della relazione del soggetto incaricato potrebbe consistere, similmente alla relazione sul progetto di bilancio d’esercizio, in un’attestazione positiva, in una attestazione negativa, ma anche in un’attestazione con rilievi o nella dichiarazione di impossibilità di esprimere l’attestazione. In ogni caso, la relazione deve essere analiticamente motivata, e allegata alla [continua ..]


3.7. Conseguenze in caso di mancato adempimento del dovere di disclosure

A fronte del rinvio del legislatore europeo, che si è limitato a richiede agli Stati membri di istituire un sistema di sanzioni efficace a fronte della violazione dei doveri introdotti dalla direttiva 2014/95/UE, il d.lgs. n. 254/2016 dispone un sistema sanzionatorio per il mancato adempimento del dovere di predisporre una dichiarazione conforme alle previsioni ivi contenute che prevede sanzioni amministrative pecuniarie a carico dell’organo amministrativo [77] e dell’organo di controllo interno sulla gestione, il cui accertamento e irrogazione sono rimessi alla Consob. La responsabilità degli amministratori è configurabile in quattro ipotesi (art. 8 d.lgs. n. 254/2016): (i) mancato deposito della relazione nei termini prescritti (com­ma 1); (ii) mancata allegazione dell’attestazione di conformità (comma 2); (iii) dichiarazione che sia ritenuta non conforme alla disciplina (comma 3); (iv) dichiarazione contenente fatti “materiali” (cioè rilevanti) non veritieri o che ometta fatti rilevanti. In quest’ultimo caso, è prevista una clausola di salvaguardia penale per le ipotesi in cui l’omissione o la falsa informazione costituiscano reato (così art. 8, comma 4, d.lgs. n. 254/2016). Nelle ipotesi sub (iii) e (iv) è, inoltre, riconosciuta la responsabilità concorrente dell’organo di controllo interno sulla gestione che, in violazione dei propri doveri, ometta di riferire all’assemblea «che la dichiarazione individuale consolidata di carattere non finanziario non è redatta in conformità a quanto prescritto dagli articoli 3 e 4» (così art. 8, comma 3, d.lgs. n. 254/2016). È altresì responsabile il soggetto incaricato della verifica della dichiarazione che abbia omesso di realizzare l’attestazione (così art. 8, comma 5, d.lgs. n. 254/2016). È curioso che la disciplina si limiti a regolare la responsabilità degli organi gestori e di controllo della società, ma non preveda alcuna responsabilità dell’ente (si veda infra, par. 7). Altra particolarità della normativa che si espone a critiche concerne l’individuazione della Consob come unica autorità responsabile per l’irroga­zione delle sanzioni e per l’attività di vigilanza sugli enti di interesse pubblico interessati dal dovere [78], estendendo [continua ..]


4. Il regolamento (UE) 2019/2088 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 novembre 2019 relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari

In questo quadro in evoluzione si inserisce la disciplina relativa all’informativa di sostenibilità nel settore dei servizi finanziari. È ormai opinione diffusa, infatti, che per assicurare gli obiettivi di transizione eco­logica cui l’Unione Europea si è impegnata già con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile del 2015, con l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici del medesimo anno e con il più recente Green Deal europeo [79] sia necessario mobilitare ingenti capitali non solo mediante politiche pubbliche, ma anche attraverso i mercati finanziari privati e il settore dei servizi finanziari. La strategia adottata dalla Commissione Europea con l’Action Plan Financing Sustainable Growth [80] si inserisce in questa direzione, fissando il duplice obiettivo, da un lato, di contribuire a finanziare una crescita dell’economia reale che sia inclusiva e sostenibile e, dall’altro, di orien­tare il mercato dei capitali verso investimenti di lungo periodo, mediante l’incorpo­razione dei fattori ESG nelle procedure decisionali degli enti investitori. In attuazione dell’Action Plan numerose iniziative regolatorie sono state realizzate [81], altre sono attualmente in corso di avanzamento. Tra gli atti di attuazione dell’Action Plan si rintraccia anche il reg. (UE) 2019/2088 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 novembre 2019 relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari, introdotto al dichiarato fine di ridurre l’asimmetria informativa in relazione all’integrazione dei rischi di sostenibilità e agli effetti negativi per la sostenibilità degli strumenti finanziari; informativa che a detta del legislatore europeo deve essere armonizzata proprio per evitare divergenze che potrebbero «creare confusione per gli investitori finali e distorcerne le decisioni di investimento» [82], rendendo difficoltosa la comparazione tra prodotti finanziari diversi nei vari Stati. Il regolamento fissa, dunque, regole armonizzate in materia di trasparenza – applicabili a decorrere dal 10 marzo 2021 – per i partecipanti ai mercati finanziari [83] e per i consulenti finanziari [84]-[85] concernenti (i) i “rischi di sostenibilità” e (ii) gli effetti negativi per la sostenibilità «nei loro processi e nella [continua ..]


5. La proposta di direttiva sul corporate sustainability reporting

Nell’aprile 2021 è stata presentata una proposta di direttiva volta a innovare la materia della trasparenza societaria in tema di sostenibilità [94] al triplice scopo di: (i) estendere gli obblighi introdotti della direttiva 2014/95/UE a tutte le imprese di grandi dimensioni, indipendentemente dall’attività esercitata o dalla loro quotazione, e a tutte le società quotate in mercati regolamentati indipendentemente dalla loro dimensione, con la sola eccezione delle micro-imprese [95]; (ii) introdurre uno standard di rendicontazione maggiormente dettagliato e uniforme a livello europeo [96]; (iii) rendere digitalmente leggibili le informazioni di carattere non finanziario [97]. La proposta, da un lato, fa seguito alla pubblicazione degli orientamenti della Commissione europea sulle comunicazioni di carattere non finanziario [98] e con specifico riguardo alle informazioni concernenti il clima [99], muovendo dall’osservazione di co­me tali interventi non siano riusciti nell’intento di migliorare in misura sufficiente la qualità delle informazioni divulgate dalle imprese ai sensi della direttiva 2014/95/UE [100]; e, dall’altro, essa mira a contribuire alla realizzazione degli impegni adottati dalla Commissione europea con il Green Deal Europeo e con il programma di lavoro 2020 [101], mediante il coinvolgimento nel processo di transizione ecologica di un paniere di imprese sempre più esteso. Ad oggi, invero, secondo i dati della Commissione europea, soltanto 11.600 società in tutta Europa (pari, tuttavia, al 47% del fatturato di tutte le società di capitali europee) sono soggette agli obblighi di disclosure della direttiva 2014/95/UE. Se entrasse in vigore la nuova disciplina, le stime della Commissione prevedono la soggezione agli obblighi di redazione della dichiarazione di carattere non finanziario – che prenderebbe il nome di “informativa sulla sostenibilità” – di circa 49.000 imprese, pari al 75% del fatturato di tutte le società di capitali europee. L’estensione dell’obbligo potrebbe così contribuire ad agevolare gli investimenti in imprese e attività a positivo impatto ambientale e sociale, nonché caratterizzate da una governance trasparente, contribuendo altresì, mediante la messa a disposizione del pubblico di informazioni adeguate rispetto ai [continua ..]


6. Riflessioni conclusive sullo stato dell’arte: i doveri di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario in capo alle società italiane

Volendo svolgere alcune considerazioni di sintesi circa i soggetti interessati da doveri di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario, si rileva l’e­mersione di un quadro normativo stratificato che può essere schematizzato come segue: 1. tutte le società di capitali sono tenute a raccogliere e indicare nella relazione sulla gestione informazioni ESG nel limite in cui queste siano considerate – dalla stessa società – informazioni strumentali alla comprensione dell’andamento della società e dei rischi (finanziari) dell’attività d’impresa (art. 2428, comma 2, c.c.); 2. le società quotate in mercati regolamentati, le banche e le società di assicurazione e riassicurazione che nell’esercizio di riferimento abbiamo avuto in media cinquecento dipendenti e raggiunto la soglia o di 20.000.000 di euro di stato patrimoniale o di 40.000.000 di euro di ricavi netti delle vendite e delle prestazioni, devono redigere la “dichiarazione di carattere non finanziario” regolata, quanto al contenuto, al procedimento di verifica e alle tecniche di sua pubblicazione, dal d.lgs. n. 254/2016; 3. le società quotate, le banche e le società di assicurazione e riassicurazione che siano società “madri” – ovvero tenute alla redazione del bilancio consolidato – di un gruppo che, complessivamente, abbia avuto, su base consolidata, un numero di dipendenti medio superiore a cinquecento e il cui bilancio consolidato mostri un totale dell’attivo dello stato patrimoniale superiore a 20.000.000 di euro oppure un totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiore a 40.000.000 di euro, devono redigere la dichiarazione consolidata di carattere non finanziario in conformità al d.lgs. n. 254/2016 che esenta la società madre e le società incluse nel perimetro di consolidamento dall’obbligo di cui al punto (2); 4. le società diverse da quelle di cui al punto (2) e (3) che volontariamente decidono di redigere la dichiarazione di carattere non finanziario di cui al d.lgs. n. 254/2016 possono apporre l’apposita dicitura sulla stessa ed esonerarsi, in tal modo, dal dovere di cui al punto (1); 5. i partecipanti ai mercati finanziari e i consulenti finanziari devono soddisfare gli obblighi informativi specifici di cui al reg. (UE) [continua ..]


7. La portata operativa degli obblighi di disclosure non finanziaria

È discusso quale sia l’effettiva portata operativa degli obblighi di disclosure di informazioni di carattere non finanziario. In particolare, con riguardo alle dichiarazioni ex d.lgs. n. 254/2016 la specificazione che queste possano essere contenute nella relazione sulla gestione fa sorgere il dubbio se anche a tale dichiarazione sia possibile ricondurre la duplicità di funzioni tipica del bilancio d’esercizio: una funzione esterna, di informazione dei terzi che interagiscono con l’ente, e una funzione endosocietaria, che si riflette sui profili organizzativi dello stesso. Evidentemente la pubblicazione di informazioni non finanziarie è resa al principale fine di orientare investitori e consumatori – o comunque gli stakeholders esterni alla società – anche con il più generale obiettivo di migliorare la fiducia tra imprese e società civile [105]. Sul piano dei rimedi esperibili, con riguardo alle dichiarazioni di carattere non finanziario ex d.lgs. n. 254/2016, come visto (supra, par. 3.7), la Consob è individuata come unica autorità responsabile per l’irrogazione delle sanzioni nei confronti degli amministratori, dell’organo di controllo interno sulla gestione e del revisore legale responsabile della verifica della dichiarazione, a fronte di falsità od omissioni rilevanti [106]. Tale sistema sanzionatorio non sembra tuttavia poter escludere altri rimedi generali offerti dall’ordinamento. Si pensi all’ipotesi in cui una dettagliata dichiarazione mendace riesca ad integrare la fattispecie di concorrenza sleale o di pubblicità ingannevole di cui al d.lgs. 2 agosto 2007, n. 145 [107]. Il rischio è forse più concreto con riferimento alle comunicazioni disciplinate dal reg. (UE) 2019/2088, il quale espressamente rileva l’esistenza di rischi di social- e green-washing. L’art. 13, reg. 2019/2088 dispone infatti che, fatta salva la normativa settoriale più stringente, i partecipanti ai mercati finanziari e i consulenti finanziari devono evitare che le loro comunicazioni di marketing contraddicano le informazioni comunicate in conformità al regolamento; dovere il cui rispetto deve essere assicurato dalle rispettive autorità di vigilanza (art. 14, reg. (UE) 2019/2088). Il rischio di social- o green-washing è ancor più evidente nell’ipotesi in cui i prodotti [continua ..]


8. (Segue): la portata endosocietaria della direttiva sulle dichiarazioni di carattere non finanziario

Soffermandoci sui riflessi della direttiva 2014/95/UE sul piano del governo societario degli enti oggetto di regolazione – che potrebbero ampliarsi copiosamente in caso di entrata in vigore della proposta di direttiva sul corporate sustainability reporting di cui supra par. 5 – è possibile distinguere tra effetti diretti della nuova disciplina e conseguenze indirette sull’esercizio della discrezionalità gestoria. Tra gli effetti diretti della disciplina si rintracciano i seguenti doveri, in parte già esaminati (supra, par. 3.7): 1. doveri di trasparenza degli amministratori, consistenti nell’obbligo di predisposizione della dichiarazione non finanziaria, in conformità al d.lgs. n. 254/2016[109], la cui responsabilità permane in capo agli stessi anche nel caso in cui essa sia contenuta in documento distinto rispetto alla relazione sulla gestione [110]; 2. il dovere dell’organo di controllo, nell’esercizio delle proprie funzioni, di (i) vigilare sull’osservanza dei doveri degli amministratori di cui al punto (1); (ii) riferire su tali questioni nella relazione annuale all’assemblea ed (iii) esprimersi nei confronti degli amministratori nel caso in cui questi intendano avvalersi della facoltà di omettere informazioni capaci di compromettere gravemente la posizione com­merciale dell’impresa[111]; 3. il dovere del soggetto a cui è affidata la revisione legale di indicare in una apposita sezione della relazione di revisione sul bilancio l’avvenuta approvazione da parte dell’organo amministrativo della dichiarazione non finanziaria[112]. Nel dettaglio, gli amministratori, nel predisporre, con «diligenza e professionalità» la relazione di carattere non finanziario sono anzitutto tenuti ad alcuni doveri preliminari concernenti l’individuazione (i) delle informazioni non finanziarie considerate come “rilevanti” per la specifica attività esercitata dall’ente (supra, par. 3.3), (ii) dei rischi ESG, e (iii) delle modalità di gestione degli stessi. Quest’ultimo profilo – che, come visto, è il risultato di una successiva modifica normativa [113] – per quanto non introduca un dovere di perseguire obiettivi di sostenibilità, rende certamente doveroso, per gli amministratori che abbiano individuato i rischi ESG, l’adozione di ogni misura idonea per [continua ..]


9. La proposta di direttiva sulla due diligence e gestione sostenibile delle imprese

Ulteriori doveri informativi potrebbero entrare in vigore nel caso di attuazione della proposta di direttiva sulla “corporate sustainability due diligence” [128] applicabile a società di grandi dimensioni – ovvero alle società che abbiano avuto, in media lungo l’esercizio, almeno cinquecento lavoratori e un turnover complessivo superiore a 150.000.000 di euro [129] – e a società di dimensioni più contenute – più di 250 dipendenti e un turnover superiore a 40.000.000 di euro – operanti in settori imprenditoriali specifici, ritenuti particolarmente sensibili ai rischi ambientali e sociali (come il settore tessile o quella di estrazione di risorse minerarie) [130]. Secondo la proposta di direttiva, tali società sono tenute alla pubblicazione di una dichiarazione di carattere non finanziario dal contenuto conforme agli artt. 19-bis e 29-bis della direttiva 2013/34/UE sopra esaminati, da pubblicare annualmente sul proprio sito web [131]. La proposta di direttiva risulta di particolare interesse perché non si limita a regolare doveri di trasparenza in materia di sostenibilità, ma disciplina obblighi di due diligence circa il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente naturale da parte delle società oggetto di regolazione e con riferimento alla loro intera filiera, imponendo l’identificazione dei rischi in materia di diritti umani e ambientali nonché l’adozio­ne di “misure appropriate” per la prevenzione e mitigazione degli stessi. Per quanto, dunque, la proposta di direttiva in commento non intervenga per definire lo scopo sociale come era stato originariamente discusso – non senza scatenare forti reazioni critiche in sede di consultazione [132] – con essa certamente si valorizzano i profili interni della responsabilità sociale d’impresa e la portata endosocietaria delle informazioni non finanziarie. La direttiva mira, infatti, espressamente a integrare la sostenibilità nel governo societario e a inquadrare le decisioni aziendali in termini di tutela dei diritti umani, prevenzione dell’impatto ambientale e sul clima, così come in termini di resilienza della società nel lungo termine. Ciò si esplica, sul piano del governo societario, sia nell’adozione di “misure appropriate” [133] per l’identificazione e [continua ..]


NOTE