Rivista Corporate Governance ISSN 2724-1068 / EISSN 2784-8647
G. Giappichelli Editore

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La “sustainable corporate governance” delle società quotate. Note introduttive (di Anna Genovese, Professore ordinario di Diritto commerciale nel Dipartimento di Scienze Giuridiche presso l’Uni­versità degli Studi di Verona)


L’articolo presenta gli sviluppi del dibattito dottrinale, della regolazione, europea e nazionale, e dell’auto­disciplina in materia di sustainable corporate governance delle società quotate. L’analisi si concentra sulle misure europee per il commitment di sostenibilità delle imprese azionarie, industriali e finanziarie. L’arti­colo pone a confronto le diverse prospettive di regolazione in materia di sostenibilità della governance delle società quotate, tra modelli di economia sociale e solidale e modelli di capitalismo classico.

 

The “sustainable corporate governance” of listed companies. Introductory notes

The article presents the developments of doctrinal debate, of European and National regulation and of self-discipline in the field of sustainable corporate governance of listed companies. The analysis focuses on European measures for sustainability commitment of industrial and financial companies. The article compares different regulatory perspectives on sustainability of the governance of listed companies, between models of social and solidarity economy and models of classic capitalism.

Keywords: sustainable – corporate governance – listed companies.

SOMMARIO:

1. Il contesto - 2. Sviluppo sostenibile e impresa - 3. Il piano UE per il commitment ESG delle società quotate e delle imprese finanziarie - 4. La sustainable corporate governance e il diritto dell’UE - 5. I modelli di regolazione della sustainable corporate governance - NOTE


1. Il contesto

A fine 2021, le misure UE di regolazione per la finanza sostenibile – che implementano il Piano d’Azione per finanziare la crescita sostenibile pubblicato dalla Commissione Europea a marzo del 2018 [1] – risultano affiancate da varie altre iniziative. Fra queste spicca la prima emissione di Euro green bond (diretti a finanziare progetti imprenditoriali green previsti dai Recovery plan nazionali post pandemia); e l’introduzione a Piazza Affari di Milano di un nuovo indice borsistico (il Mib ESG Index) che combina la misurazione delle performance economiche delle società quotate con la valutazione dei risultati sul fronte degli impegni ambientali, sociali e di governance, secondo un modello già utilizzato dalla Borsa di Parigi. In generale, nel corso del 2021, ha preso sempre più consistenza il framework normativo che delinea una comune politica degli Stati UE per la transizione green dell’economia del vecchio continente. Le misure UE varate per lo sviluppo e il Mercato Unico sostenibile sono state numerose e sono dislocate in vari plessi normativi [2]. Nel comparto finanziario, esse hanno spinto gli operatori a considerare nelle proprie scelte anche i fattori ESG (i fattori ambientali, sociali e di governo di seguito indicati anche con l’acronimo ESG che sta per Enviromental, Social e Governance) dell’investimento. Ciò ha contribuito a stimolare le imprese industriali a intraprendere piani strategici e attività connotati da intrinseca sostenibilità. La sostenibilità, in questo contesto, è quella definita dai goals e dai target dell’Agenda ONU per il 2030 [3] e del Green New Deal europeo [4]. Misure convergenti sono in via di completamento per orientare nello stesso verso il finanziamento del comparto bancario alle imprese [5]. L’insieme di queste azioni, entro il prossimo decennio dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – ridurre le emissioni di gas serra e l’esposizione del sistema economico europeo a rischi ed esternalità ESG, aumentando, al tempo stesso, il tasso di crescita dell’economia dell’Unione. Nel disegno europeo assume specifico rilievo la declinazione normativa di precisi obiettivi, priorità e tempi di completamento (al 2050) della transizione, e di conseguimento di alcuni risultati intermedi al 2030 e al 2040 [6]. La declinazione degli obiettivi [continua ..]


2. Sviluppo sostenibile e impresa

Il Piano di Azione dell’UE del 2018 presuppone un rapporto necessario fra sviluppo sostenibile e modello di amministrazione e controllo dell’impresa, nonché impatto ambientale e sociale dei prodotti, delle pratiche e delle strategie d’impresa. Per il commitment ESG delle imprese industriali e finanziarie, il Piano d’Azione contempla diverse iniziative. In generale, le misure ipotizzate dal Piano d’Azione sono rivolte ad accrescere la trasparenza sui rischi ESG per il mercato dei capitali; a contrastare i comportamenti e le strategie di impresa che non mitigano ma, al contrario, incrementano i rischi ESG; e a incentivare i comportamenti e le strategie che alimentano sviluppo sostenibile. Tuttavia, mentre gli obiettivi di massima sono chiari e condivisi, l’individuazione dei comportamenti e delle strategie su cui intervenire, e quindi degli strumenti regolatori da utilizzare, è controversa. Una delle questioni maggiormente dibattute riguarda i rapporti fra modello di sviluppo economico desiderabile e modelli di gestione e di responsabilità delle imprese. Come è noto, su questo tema regolatorio si è applicata diffusamente la dottrina economica e giuridica del secolo scorso [15]. Fino ai primi anni del nuovo millennio, l’orientamento prevalente puntava sul modello di gestione delle imprese maggiormente funzionale a generare profitti per gli azionisti e a fare crescere le dimensioni e l’ef­ficienza dei mercati. Il vento però è cominciato a cambiare con il mutamento dello scenario complessivo. Segnatamente, dopo la crisi finanziaria globale del 2008 e anche nell’ambito del dibattito che, nel 2015, ha portato le principali Nazioni del Pianeta a sottoscrivere gli Accordi di Parigi sul clima e l’Agenda ONU per il 2030. Semplificando al massimo si può dire che oggi le linee di pensiero a confronto sono essenzialmente due. Una, maggioritaria, include tra le dinamiche critiche per lo sviluppo sostenibile alcuni criteri correnti di remunerazione del capitale investito nelle grandi società azionarie [16]. Questi criteri, infatti, non attribuiscono alcun rilievo alla (positiva o negativa) sostenibilità ambientale e sociale della gestione. E ciò malgrado le scelte di gestione di una attività economica possano avere ripercussioni favorevoli o sfavorevoli per le persone e l’ambiente, per i rischi ESG e per le [continua ..]


3. Il piano UE per il commitment ESG delle società quotate e delle imprese finanziarie

Il piano d’azione dell’UE per il commitment ESG delle società quotate e delle imprese finanziarie, in questo stadio della sua definizione, si focalizza su alcune politiche industriali (Green New Deal e Next Generation UE) e sulla regolazione finanziaria. Gli interventi di politica industriale non innovano la corporate governance. Questi interventi si limitano ad accrescere, con un indice che varia in funzione delle caratteristiche (industriali, finanziarie, proprietarie e manageriali) di ciascuna società, i costi opportunità della mancata destinazione di risorse ad iniziative di mercato che (come l’energia prodotta da fonti rinnovabili o l’economia circolare) sono fattori abilitanti dello sviluppo sostenibile su cui l’UE sta puntando, anche con Next Generation UE. Gli interventi di regolazione finanziaria, invece, influenzano la gestione degli emittenti e in alcuni casi possono innovare la corporate governance e la responsabilità d’impresa. Il framework regolatorio che favorisce investimenti sostenibili e responsabili attraverso la disclosure influenza la gestione degli emittenti in vario modo. Le misure UE per la trasparenza dei rischi ESG – nell’ambito di bilanci di sostenibilità raccordati con i bilanci finanziari – puntano ad auto aggiustamenti che migliorano la gestione dei rischi ESG di cui le società quotate possono essere responsabili e a cui sono esposte. Queste misure di trasparenza si prefiggono, in ultima analisi, di migliorare l’informazione finanziaria sui rischi ESG della società, rendendola più accurata e completa [29]. In questo senso, le misure servono anche a scomputare dal profitto della società gli oneri che servono alla copertura dei rischi ESG a cui questa è finanziariamente esposta. Esse, perciò, possono sia disincentivare le scelte di gestione che non mitigano questi rischi, sia migliorare l’efficienza dei mercati finanziari. Non si tratta di interventi di scarsa portata e non sono ancora risolte, né semplici da risolvere, le numerose questioni tecniche sottese [30]. Particolare rilievo assume la comparabilità delle informazioni e la scelta degli standard tecnici in base ai quali definire la materialità finanziaria di un rischio ESG in termini raffrontabili da emittente a emittente. In ogni caso, con più presidi di disclosure dei rischi ESG a cui la [continua ..]


4. La sustainable corporate governance e il diritto dell’UE

I temi di regolazione riferiti alla sustainable corporate governance toccano delicati ingranaggi di funzionamento dei sistemi economici. Il diritto dell’Unione peraltro fornisce chiare indicazioni di copertura per l’intervento. L’UE funzionalizza la libertà di impresa e considera l’impresa componente della economia “sociale” di mercato altamente competitiva (art. 3 del TUE) che ispira la Costituzione economica europea [41]. Come si evince anche dalla storia dell’approccio europeo alla corporate social responsibility [42]. Piaccia o no, quindi, sarebbe coerente e conseguenziale che la regolazione UE dei mercati finanziari riferita agli emittenti volesse apprestare incisive risposte alle criticità – presenti e prospettiche – di uno sviluppo economico globale giudicato insostenibile (i.e. trainato da imprese che, per crescere, competere e fare profitti, producono e scaricano sull’ambiente e sul tessuto sociale eccessive esternalità negative). La scelta di adottare misure correttive, alla fine, ovviamente sarà politica. Per altro verso, si possono comprendere le resistenze e le preoccupazioni riferite ai possibili effetti dell’ingresso di simili principi di diritto euro unitario nei sistemi giuridici degli Stati dell’Unione. Gli Stati dell’UE, infatti, definiscono secondo il proprio diritto societario e le proprie regole di responsabilità lo “statuto legale” delle attività delle società quotate (che in taluni casi sono anche pubbliche) e di chi le controlla e le gestisce. Parimenti si possono comprendere le preoccupazioni per le possibili ricadute svantaggiose per la competitività delle imprese europee, nella dimensione globale, posto anche che la positiva correlazione fra sostenibilità e performance è controversa [43]. Tuttavia, il rilievo di questo tipo di preoccupazioni è, ancora una volta, essenzialmente politico. Il dato di fatto è che, in materia di regolazione per lo sviluppo sostenibile, l’UE sta vagliando incisive misure di intervento per una corporate governance che favorisca il commitment ESG delle imprese più grandi e strutturate. L’ipotesi sottesa a questo vaglio è che la dinamica della produzione di beni e servizi per il mercato globale stia avendo eccessive conseguenze critiche sull’ambiente, sul clima e sulle disuguaglianze; [continua ..]


5. I modelli di regolazione della sustainable corporate governance

Da queste brevi note emergono alcune acquisizioni. Per rendere la corporate governance delle grandi imprese parte della soluzione delle criticità dello sviluppo economico, un intervento top down UE può azionare diverse leve. Le leve contemplate dal Piano di Azione del 2018 per lo sviluppo e la finanza sostenibile sono di due tipi. Alcune leve (già varate) aumentano la consapevolezza delle criticità della gestione che alimenta sviluppo non sostenibile sul piano ambientale e sociale; altre leve (in fase di valutazione) correggono gli effetti dei meccanismi di “irresponsabilità” che possono orientare la gestione verso obiettivi distonici rispetto a quelli dello sviluppo sostenibile. L’implementazione del Piano d’Azione della Commissione è in corso [46]. Nessuna opzione appare esclusa in questa fase. Vero è che sin qui sono state varate per le società quotate solo misure di trasparenza e di procedura (come quelle riferite ai bilanci di sostenibilità e all’integrazione fra informazione non finanziaria ESG e informazione finanziaria: vedi supra). Non sono affatto escluse però misure più penetranti riferite ai doveri degli amministratori (e quindi ai rapporti fra amministratori e azionisti), ai rapporti fra shareholder e stakeholder e alla responsabilità della società (cfr. la proposta di direttiva che la Commissione UE ha pubblicato il 23 febbraio 2022, quando questo scritto era già in bozze). Commissione e Parlamento UE in effetti sembrano orientati a tacciare come mo­delli di business forieri di sviluppo insostenibile non solo quelli propensi a fare assumere agli azionisti rischi ESG in eccesso o non dichiarati (gestioni spericolate), ma anche quelli in cui i profitti degli shareholders derivano da un eccessivo sfruttamento dell’ambiente e di relazioni squilibrate con stakeholder che, per varie ragioni, non hanno alternative (gestioni opportunistiche). Sembrano altresì orientati a ritenere che la soluzione a queste problemi non debba venire da riequilibri di mercato, sempre possibili nel lungo termine (in termini di alternative di uscita dal rapporto con la società per gli stakeholder insoddisfatti) ma dalla regolazione, perché (come è stato notato) nel lungo termine “saremo tutti morti” [47]. In questo scenario, le questioni dibattute, a livello UE e de iure condendo, si [continua ..]


NOTE